Manifesto 29 luglio 2001 Memoria
del G8 e media
FRANCO CARLINI
Iquotidiani di questi giorni, a proposito del G8 genovese, andrebbero
riletti e certamente qualche corso universitario di Scienze della Comunicazione starà
già assegnando delle tesi di laurea in proposito. Con essi andrebbe accuratamente
studiata e conservata tutta la documentazione web, la quale è per sua natura cancellabile
con pochi colpi alla tastiera e dunque rischia facilmente di andare dispersa. Servono a
memoria nostra (per riflettere e meglio capire) e serviranno a chi si interrogherà in
futuro su questi giorni tristi.
Ma intanto alcune riflessioni calde sono possibili. La prima è la seguente, peraltro non
nuova: i giornali, le radio e la tv, insomma i mezzi di comunicazione di massa, hanno una
funzione civile e democratica non soltanto perché forniscono informazioni utili in senso
stretto (quanto valgono le azioni Olivetti, che tempo farà domani, quali sono le farmacie
di turno), ma perché costruiscono e consolidano le comunità dei cittadini attorno a un
comune sentire. Questa funzione non è affidata tanto ai commenti quanto alle cronache.
Anche in tempi meno drammatici, facilmente una comunità locale si plasma e si riconosce e
trova di che discutere o litigare, attingendo alla comune cronaca bianca, nera e rosa.
Incidentalmente questa è la forza della stampa locale la quale continua a reggere e
talora a prosperare, sia in Italia che negli Stati Uniti, attorno a testate piccole e
strettamente confinate dal punto di vista geografico, sia per il bacino di notizie che
forniscono che per quello di distribuzione. Giornaletti minuscoli di contea offrono
all'americano medio dell'Idaho o del Montana quella rete di notizie umane che alle grandi
reti generaliste non interessano e che in ogni caso non vogliono dare. Ovviamente si può
sorridere - tutti l'abbiamo fatto - di tali notizie-pettegolezzo, minute e provinciali. E'
informazione spazzatura rispetto alle grandi questioni? Occorrerebbe andarci cauti con
simili giudizi presuntuosi, perché ogni comunità in qualche modo è anche figlia e
espressione delle sue pagine di cronaca.
Per questo esse sono state così preziose nei giorni del G8, le corrispondenze di strada
dei cronisti delle manifestazioni, a qualunque testata appartenessero. Salvo pochi casi di
forzature violente e militanti, sostanzialmente concentrati nelle due principali testate
della Casa delle Libertà, ovvero il Giornale e Libero, le cronache dei
giornalisti italiani sono state serie e oneste, documentate con la forza dei fatti e delle
immagini. Un vero servizio ai lettori. E' bene che sia successo e non era scontato, vista
la crisi acuta, anche di fiducia in se stessi, che i giornalisti italiani stanno vivendo
da tempo.
Questa forza dei fatti era tale che anche i titoli, che di solito costituiscono sempre un
livello di elaborazione successiva e più ideologica, sono risultati, nella maggioranza
dei casi, adeguati e coerenti, non manipolatori. Non sempre, tuttavia. Se la Stampa
ha aperto martedì scorso su cinque colonne con le virgolette di Scajola ("A Genova
una strategia eversiva"), è evidente che sta facendo propria quella lettura. C'è
chi si adegua, in evidente consonanza con le genuflessioni già praticate da Giovanni
Agnelli. Che poi ogni testata abbia arricchito le cronache con proprie analisi e commenti,
era inevitabile e ognuna ovviamente ha detto a suo modo e secondo inclinazione, chi
alternando pareri diversi, volutamente dissonanti (è l'impostazione tipica del Corriere
della Sera), chi invece esaltando il rapporto stretto con lettori caratterizzati
politicamente (il manifesto, l'Unità, Repubblica).
La cosa importante di questo mezzo tradizionale che sono i quotidiani è che la
collocazione, il formato e lo stile narrativo dei diversi generi giornalistici sono
comunque riconoscibili e decodificabili dai lettori. Un lungo percorso di reciproca
alfabetizzazione tra chi scrive e chi legge ha infatti prodotto un insieme di codici
impliciti che separano i generi e permettono letture facili e più oneste. Il caso più
esemplare al riguardo è il famoso Wall Street Journal, dove la redazione di
cronaca e quella dei commenti editoriali sono fisicamente separate sia nelle pagine che
negli spazi fisici dell'edificio e per così dire "non si parlano". Così la
forte vocazione conservatrice dei commentatori non impedisce inchieste spregiudicate
contro i poteri economici e politici.
Diversamente le cose sono andate con le televisioni. Così come i documentaristi della
vita selvaggia girano tanta pellicola e poi montano un documentario in cui la cosa
centrale è solo il leone che abbatte la gazzella, di fatto alterando la realtà della
vita di savana, così, anche quando i servizi erano protratti, il conformismo mentale dei
registi-montatori-direttori di testata, ha fatto sì che "dovendo" scegliere, la
proporzione tra gesti di pace e gesti di guerra è risultata alterata violentemente. Chi
ha visto, per esempio, la chiesa più snob di Genova, quella di Boccadasse, tappezzata di
striscioni contro il debito, lì appesi dai boy scout della parrocchia? Chi ha filmato i
sorrisi dei ragazzi che dormivano a fianco dicendosi che erano lì per un mondo almeno un
po' migliore? Chi ha raccolto nei loro volti la fatica e insieme la determinazione di
Vittorio Agnoletto e degli altri Gsf?
Nell'occasione del G8 alcuni hanno elogiato la copertura totale degli eventi realizzata
dalla televisione privata genovese Primo Canale, la quale, senza alcuna gara, aveva
ricevuto dalla Struttura di Missione del G8 l'incarico retribuito per tale lavoro. Certo
immagini ne sono state fornite molte, sia in diretta che in differita molto ravvicinata,
non diversamente peraltro da quanto hanno fatto le altrettanto locali e più povere
Telecittà e TeleGenova. Ma qui è entrato in gioco un altro meccanismo tipico del mezzo e
del linguaggio.
Anche se le immagini di per sé "parlano da sole" (così si suppone, un po'
ingenuamente), o forse proprio per questo, Primo Canale ha sentito un irresistibile
bisogno di arricchirle con un proprio valore aggiunto, il quale era affidato, nello
specifico, a una direttora di buona presenza video, ma di poca cultura nel merito della
globalizzazione, la sua virtù principale essendo il tono presuntuoso con cui si
esercitava nelle interruzioni agli ospiti o ai filmati. Gad Lerner ha fatto scuola,
purtroppo. Il valore aggiunto dunque è diventato quello della voce e del volto che,
sovrapponendosi o intervallandosi, ti dicono "guarda qua, guarda là". Al di là
di ogni valutazione di merito politico, che qui non interessa, quello che conta in questo
caso è il mescolamento dei generi notizia-analisi-commento, con un classico effetto
marmellata. E' tipico della televisione, di tante televisioni.
Del ruolo svolto in queste giornate dai siti Internet e dalle radio come Radiogap, il manifesto
ha molto detto e documentato. Va solo ricordato che c'è una quota di comunicazione
sociale da molti a molti, che ha avuto un ruolo fondamentale di circolazione delle notizie
e di dilatazione del discorso. E' quella affidata alla posta elettronica, ai Brevi
messaggi di testo (Sms) e alle centinaia di migliaia di chiamate cellulari.
Grazie alle e-mail, molti si sono trasformati in narratori e cronisti e quei resoconti,
grazie al fatto di essere smistabili a altre decine di indirizzi con pochi colpi di mouse
hanno arricchito conoscenza e partecipazione. Una di queste lettere era al terzo forward
quando è arrivata a chi scrive e se ognuno dei precedenti mittenti l'ha inviata a 100
persone fanno 100x100x100 = un milione di lettori, ovvero più di quelli di Repubblica
o del Corriere. Ma non c'è solo questo: spesso si fa proseguire il messaggio
aggiungendo delle frasi e quelle che incapsulano questo testo, emesse da Carolina, Dagbar,
Maestro, non sono però commenti politici, ma si riferiscono, responsabilmente, ai criteri
di attendibilità delle notizie: "Io davvero spero che nessuno di voi si stia facendo
traviare dai mezzi di comunicazione. Chi di voi ha partecipato insista a raccontare come
davvero sono andate le cose" scrive Dagbar. E Carolina a sua volta: "Vi mando
questo e-mail che mi è arrivato chissà come, ma del cui contenuto ho avuto pienamente
conferma da tre persone (tra cui mia madre) che erano presenti a Genova. Leggetelo!".
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