La Repubblica 27 luglio 2001 Berlusconi
va in aula ma minaccia
"Non mi farò chiamare Pinochet"
Il premier oggi al Senato sul G8. Mediazione di Pera. L'Ulivo: però non
elogi la polizia
ROMA - «La sinistra sta veramente perdendo la testa», sospira rassicurante Gianfanco
Fini, «stanno alzando il tono oltre ogni misura. Parlano addirittura di desaparecidos, ma
puntano sul cavallo sbagliato. Non credo proprio che in questo momento la credibilità dei
contestatori antiglobal sia molto elevata. Il paese reale è con noi». A confortare
Palazzo Chigi ci sono i sondaggi commissionati negli ultimissimi giorni. «A dirla
brutalmente, la piazza è forcaiola», confermano a Datamedia. L'ultima rilevazione
fornita al presidente del Consiglio rivela che ben il 60% degli italiani non vuole saperne
di politica del dialogo: di fronte alle auto bruciate e ai negozi saccheggiati, chiede la
linea dura. Proprio quella che ha scelto il governo. Eppure Silvio Berlusconi è
preoccupato. Arrabbiato e preoccupato.
Sono le prime ore del pomeriggio. L'aula della Camera ha appena travolto di applausi il
durissimo j'accuse pronunciato da Massimo D'Alema in risposta alla relazione del ministro
degli Esteri sugli esiti politici del G8. «Non erano questi i patti, non eravamo
d'accordo così, ci hanno fregato», sbotta infuriato il ministro per i Rapporti con il
Parlamento, Carlo Giovanardi, precipitandosi fuori dall'aula. Non erano questi i patti, si
sfoga con i suoi il presidente del Consiglio. Il governo doveva venire a riferire in
Parlamento sulla politica estera: che diavolo c'entra adesso questa cosa della violenza,
non ha già spiegato abbastanza Scajola?
Il problema è che oggi, alle 13, tocca al premier in persona varcare la soglia di Palazzo
Madama per parlare a sua volta del G8. «Anche qui, una relazione di politica estera, mica
un mattinale della Questura», sibilano a Palazzo Chigi. Ma dopo questo precedente di
Montecitorio, con il centrosinistra che scatena la bagarre e travolge il povero Ruggiero,
chi può garantire che non capiterà lo stesso, o magari peggio, in Senato? Berlusconi non
vuole correre rischi: «Se le cose stanno così, io nella loro imboscata non mi ci vado a
ficcare. Non posso correre il rischio di farmi gridare "Pinochet" nell'aula del
Senato. Piuttosto non vado proprio». I fedelissimi sono d'accordo. Gianni Letta, Paolo
Bonaiuti, non hanno dubbi: Silvio non deve rischiare, bisogna blindare il dibattito, non
c'è alternativa. Piuttosto, non si va.
In missione a Palazzo Madama viene inviato di gran carriera proprio Giovanardi. Il
ministro sale scuro in volto al secondo piano, si chiude nello studio privato di Marcello
Pera per un lungo consulto: «Capisci Marcello, il presidente vuole giustamente delle
garanzie». Pera ascolta, annuisce, alza il telefono. E chiama uno per uno i leader
dell'opposizione. Angius, Bordon ma anche Amato, che il presidente del Senato apprezza e
stima da sempre. I capigruppo del centrosinistra si consultano fra loro. Che si fa? E'
giusto rispettare il tema del dibattito, e visto che il tema sono gli esiti politici del
G8, va bene, si parlerà di questo. «Ma è chiaro», avverte Angius, «che alla prima che
Berlusconi dice su quant'è stata brava la polizia, anche noi diciamo la nostra». Tutti
d'accordo, quindi? Tutti d'accordo: niente imboscate, parola di gentiluomini. E in serata
Pera può telefonare al premier la buona notizia.
(b.j.) |