La Regione Ticino 30 luglio 2001
Globalizzazione fra mito e realtà
di Eva Feistmann
Quella tracciata da Carlo Briccola è una visione idilliaca, idealizzata della globalizzazione, lontana purtroppo anni luce dalla realtà. Gli squilibri prodotti negli ultimi decenni dall'ondata di globalizzazione commerciale e finanziaria sono statisticamente documentati e pertanto indiscutibili: il divario fra ricchi e poveri è più che raddoppiato, lo sfruttamento scriteriato delle risorse esauribili del pianeta continua imperterrito e lo ''sviluppo sostenibile'', nel quale a parole i principali Stati si riconoscono, rimane quasi ovunque concetto vuoto di contenuti. L'unica superstite superpotenza è in procinto di espandere la sua egemonia economica e culturale sul resto del mondo, mentre l'Unione europea divisa da contrasti ideologici, non è ancora in grado di erigere con la necessaria unità d'intenti un baluardo contro la colonizzazione americana. E' vero che il controverso vertice del G8 - forse anche sotto la pressione crescente dei dissidenti - ha generato alcuni risultati positivi volti all'attenuazione della miseria che affligge gran parte del pianeta. Le misure prospettate saranno efficaci solo se la remissione dei debiti dei paesi più poveri non sarà ancora una volta legata a spietati ''aggiustamenti strutturali'', che mai fino ad oggi sono andati a beneficio delle popolazioni sofferenti, ma hanno anzi provocato regolarmente una lievitazione del costo della vita non controbilanciato da un adeguamento delle retribuzioni ai lavoratori.

Caso contrario ne traggono vantaggio solo le oligarchie al potere, generalmente indifferenti alla sorte dei cittadini loro affidati, oligarchie per motivi ''strategici'' protette e foraggiate, apertamente o meno, dagli Stati Uniti: fra America Latina e Indonesia, fra Nigeria, Sudan e Afganistan, gli esempi si sprecano.

Con quale fatica i paesi europei riescano ad alzare la testa, ad affermare la loro autonomia e compiere un modesto primo passo per frenare il deterioramento del clima terrestre, è dimostrato un'altra volta dalla recente conferenza di Bonn, dove George W. Bush, asceso al potere con la complicità di brogli mai indagati a fondo, ha avuto l'ardire di mettere in guardia i partner europei contro decisioni di politica ambientale che potessero danneggiare l'economia americana! Nel contempo, l'amministrazione repubblicana riesuma il progetto di difesa antimissilistica, che ricalca in versione ammodernata il sogno reaganiano delle ''guerre stellari'', progetto che costa un multiplo di quanto sarebbe necessario per riformare la politica energetica e sventare il collasso climatico. Bella coerenza per una nazione responsabile di oltre un quarto dell'inquinamento globale e che si atteggia a "leader morale" dell'umanità!

Lo sconfinato esercito degli oppositori (''Popolo di Seattle'') stenta ad articolare una posizione univoca da tutti condivisa perché infiniti sono i rigagnoli che lo alimentano. Questa apparente mancanza di obiettivi comuni chiaramente visibili viene strumentalizzata dalla controparte per sminuire la credibilità del movimento di dissidenza. Sarà pertanto fondamentale che le grandi organizzazioni ambientaliste, umanitarie, di aiuto allo sviluppo e di difesa dei consumatori, che ne formano la colonna portante, possano prendere il sopravvento e formulare una serie di obiettivi irrinunciabili, che i ''grandi'' devono impegnarsi a concretizzare per assicurare vivibilità e governabilità futura al pianeta.

Il ''mercato'' non è uno strumento idoneo a regolamentare le attività umane presenti e future, in quanto ne ignora i costi ambientali e sociali. E' un feticcio invocato dalle multinazionali e dagli apostoli del neoliberismo per dare legittimità allo sfruttamento insostenibile delle risorse e dell'essere umano bisognoso.

Senza una radicale correzione di rotta, la protesta non si placherà, ma assumerà dimensioni sempre più incontrollabili. Genova deve servire da monito. Un monito che dovrà essere seriamente meditato soprattutto dall'Organizzazione mondiale del commercio WTO adattando le proprie proposte di riforma alle regole democratiche consolidate, in vigore nei paesi avanzati. Regole democratiche alle quali i popoli evoluti, fra cui annovero senz'altro il nostro, non sono disposti a rinunciare. L'abrogazione di norme di tutela territoriale, sociale e ambientale, a nome della ''libertà di commercio'' mondializzata, non sarà tollerata.