Quella tracciata da Carlo Briccola è una visione idilliaca, idealizzata della
globalizzazione, lontana purtroppo anni luce dalla realtà. Gli squilibri prodotti negli
ultimi decenni dall'ondata di globalizzazione commerciale e finanziaria sono
statisticamente documentati e pertanto indiscutibili: il divario fra ricchi e poveri è
più che raddoppiato, lo sfruttamento scriteriato delle risorse esauribili del pianeta
continua imperterrito e lo ''sviluppo sostenibile'', nel quale a parole i principali Stati
si riconoscono, rimane quasi ovunque concetto vuoto di contenuti. L'unica superstite
superpotenza è in procinto di espandere la sua egemonia economica e culturale sul resto
del mondo, mentre l'Unione europea divisa da contrasti ideologici, non è ancora in grado
di erigere con la necessaria unità d'intenti un baluardo contro la colonizzazione
americana. E' vero che il controverso vertice del G8 - forse anche sotto la pressione
crescente dei dissidenti - ha generato alcuni risultati positivi volti all'attenuazione
della miseria che affligge gran parte del pianeta. Le misure prospettate saranno efficaci
solo se la remissione dei debiti dei paesi più poveri non sarà ancora una volta legata a
spietati ''aggiustamenti strutturali'', che mai fino ad oggi sono andati a beneficio delle
popolazioni sofferenti, ma hanno anzi provocato regolarmente una lievitazione del costo
della vita non controbilanciato da un adeguamento delle retribuzioni ai lavoratori. Caso
contrario ne traggono vantaggio solo le oligarchie al potere, generalmente indifferenti
alla sorte dei cittadini loro affidati, oligarchie per motivi ''strategici'' protette e
foraggiate, apertamente o meno, dagli Stati Uniti: fra America Latina e Indonesia, fra
Nigeria, Sudan e Afganistan, gli esempi si sprecano.
Con quale fatica i paesi europei riescano ad alzare la testa, ad affermare la loro
autonomia e compiere un modesto primo passo per frenare il deterioramento del clima
terrestre, è dimostrato un'altra volta dalla recente conferenza di Bonn, dove George W.
Bush, asceso al potere con la complicità di brogli mai indagati a fondo, ha avuto
l'ardire di mettere in guardia i partner europei contro decisioni di politica ambientale
che potessero danneggiare l'economia americana! Nel contempo, l'amministrazione
repubblicana riesuma il progetto di difesa antimissilistica, che ricalca in versione
ammodernata il sogno reaganiano delle ''guerre stellari'', progetto che costa un multiplo
di quanto sarebbe necessario per riformare la politica energetica e sventare il collasso
climatico. Bella coerenza per una nazione responsabile di oltre un quarto
dell'inquinamento globale e che si atteggia a "leader morale" dell'umanità!
Lo sconfinato esercito degli oppositori (''Popolo di Seattle'') stenta ad articolare
una posizione univoca da tutti condivisa perché infiniti sono i rigagnoli che lo
alimentano. Questa apparente mancanza di obiettivi comuni chiaramente visibili viene
strumentalizzata dalla controparte per sminuire la credibilità del movimento di
dissidenza. Sarà pertanto fondamentale che le grandi organizzazioni ambientaliste,
umanitarie, di aiuto allo sviluppo e di difesa dei consumatori, che ne formano la colonna
portante, possano prendere il sopravvento e formulare una serie di obiettivi
irrinunciabili, che i ''grandi'' devono impegnarsi a concretizzare per assicurare
vivibilità e governabilità futura al pianeta.
Il ''mercato'' non è uno strumento idoneo a regolamentare le attività umane presenti
e future, in quanto ne ignora i costi ambientali e sociali. E' un feticcio invocato dalle
multinazionali e dagli apostoli del neoliberismo per dare legittimità allo sfruttamento
insostenibile delle risorse e dell'essere umano bisognoso.
Senza una radicale correzione di rotta, la protesta non si placherà, ma assumerà
dimensioni sempre più incontrollabili. Genova deve servire da monito. Un monito che
dovrà essere seriamente meditato soprattutto dall'Organizzazione mondiale del commercio
WTO adattando le proprie proposte di riforma alle regole democratiche consolidate, in
vigore nei paesi avanzati. Regole democratiche alle quali i popoli evoluti, fra cui
annovero senz'altro il nostro, non sono disposti a rinunciare. L'abrogazione di norme di
tutela territoriale, sociale e ambientale, a nome della ''libertà di commercio''
mondializzata, non sarà tollerata. |