Manifesto 4 agosto 2001 Vedi
Napoli e poi botte
Quando la polizia cominciò a picchiare sul
serio: pestaggi e insulti, la caserma Raniero come la Bolzaneto. Col marchio del
centrosinistra
ANGELO MASTRANDREA
" Ci hanno portati alla caserma di polizia Raniero, dove ci hanno
identificati, perquisiti e fotografati tutti. C'era un sacco di gente ferita e buttata a
terra in uno stanzone. Si accanivano in particolare contro i ragazzi stranieri e le
ragazze. Agli stranieri dicevano di tutto pensando di non essere capiti, io per esempio li
ho sentiti dire vicino a un gruppo di loro: 'Questi sono come la mucca pazza, dovremo
sterminarli tutti'". Avrebbe potuto essere il racconto di un "testimone di
Genova", invece è ciò che è accaduto a un "testimone di Napoli", uno dei
tanti portati da piazza Municipio o dai pronto soccorso degli ospedali partenopei nella
caserma di piazza Carlo III. In 70 hanno raccontato le loro disavventure in un libro
intitolato "Zona rossa", tantissimi altri si sono sfogati sul web o scrivendo
lettere ai giornali. Ma solo in quindici se la sono sentita di denunciare alla
magistratura gli abusi compiuti dalle forze dell'ordine a Napoli durante e soprattutto
dopo le manifestazioni contro il Global Forum. Con inquietanti, e profetiche, analogie con
quanto accadrà quattro mesi dopo a Genova. Analogie usate in questi giorni dalla stampa
di destra (vedi Panorama e Il Foglio di ieri) per affermare che anche il
centrosinistra non ha la coscienza pulita e così assolvere l'operato del governo
Berlusconi.
Ma facciamo un passo indietro. Esattamente alle ore 12 di un insolitamente caldo 17 marzo.
Il corteo che chiuderà la settimana di manifestazioni contro il Global Forum è fermo in
una piazza Municipio letteralmente assediata da polizia, carabinieri e guardia di finanza,
tutti in assetto antisommossa. Fino a quel momento, tutte le manifestazioni si erano
svolte pacificamente, spesso con iniziative divertenti, come quella di oscurare con la
vernice le numerose telecamere del centro storico di Napoli. Protagonisti: gli attivisti
della Rete no global (centri sociali, Prc, associazioni, disoccupati organizzati),
il cui quartier generale sarà fissato nel Laboratorio occupato Ska di piazza del
Gesù e nella vicina facoltà di architettura, occupata per ospitare le migliaia di
manifestanti provenienti da ogni parte d'Italia. Ma è quando il corteo dei trentamila si
avvicina all'area blindata che la situazione rapidamente precipita. La "disobbedienza
civile" che avrebbe dovuto portare allo sfondamento della "zona rossa"
viene travolta dagli scontri e dalle cariche della polizia. Le prime due di
alleggerimento, la terza violentissima. Gli agenti caricano da tutti i lati, anche la coda
del corteo, travolgendo i Cobas come gli studenti medi e i disoccupati, e tanta gente
comune, tra i quali molti ragazzini. Chiusa ogni via di fuga, i manifestanti vengono
malmenati per un'ora abbondante. Per sfuggire alle manganellate e ai lacrimogeni, in molti
si lanciano pericolosamente nel fossato che separa dal Maschio Angioino. Riparati tra
l'impalcatura di un palazzo in corso di restauro, osserviamo il pestaggio di un gruppetto
di manifestanti da parte dei finanzieri. Nessuno di loro verrà fermato, ci si accontenta
di lasciarli a terra nel loro sangue. Quattro ore prima, nel bar Mexico di piazza
Garibaldi, un agente in borghese della Digos ci aveva rassicurato, davanti a un buon
caffè, che tutto sarebbe filato liscio. Fin qui la piazza.
I feriti che, ingenuamente, preferiscono le cure ospedaliere a quelle
"alternative" nell'infermeria frettolosamente allestita nello Ska
finiscono con regolarità dal pronto soccorso alla questura. Sono circa 200, mentre i
fermati saranno un'ottantina. Molti di loro denunceranno gli abusi della polizia in
caserma (in particolare, la Raniero di piazza Carlo III, come abbiamo scritto sopra). Solo
due non saranno rilasciati: un ragazzo basco, studente universitario in Italia con il
progetto "Erasmus"; e un ragazzo ventunenne di Bari, Giuseppe Innamorato. Il
primo verrà condannato per direttissima a tre mesi e 20 giorni di carcere, con la
sospensione condizionale della pena. Per il secondo il processo è stato rimandato al 28
settembre. Il giudice dovrà valutare due filmati: uno della polizia, che testimonierebbe
la partecipazione del giovane ad alcuni scontri, l'altro dalla difesa, che mostra con
chiarezza il feroce pestaggio da parte della polizia. Ma, quello che è più importante,
Innamorato ha denunciato le violenze subìte in caserma, con l'imposizione a baciare un
ritratto di Mussolini e altre amenità. Sotto inchiesta finiscono anche altri tredici
manifestanti, accusati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. Ma per diversi di
loro è già arrivata l'archiviazione.
Accanto alle due inchieste aperte alla procura della repubblica contro i manifestanti,
c'è un terzo fascicolo sul tavolo del procuratore Del Gaudio, e riguarda quindici denunce
contro la polizia. "Purtroppo siamo riusciti a raccoglierne poche, perché molti
hanno avuto paura di accusare le forze dell'ordine o si sono sentiti minacciati",
racconta l'avvocato Mario D'Alessandro, uno dei legali che seguono le vicende del 17
marzo. "In compenso, abbiamo trovato numerose persone disposte a offrire la loro
testimonianza negli eventuali processi", continua. Ovviamente non sarà semplice
inchiodare i responsabili degli abusi alle proprie responsabilità, anche perché tutti o
quasi hanno agito a viso coperto e con i caschi. Ma l'avvocato D'Alessandro ha avuto
un'idea: "Se non è possibile individuare gli autori delle violenze, allora bisogna
agire contro i responsabili dei reparti - che tra l'altro conoscono i nomi dei loro uomini
- in base a quelle norme del codice penale che impongono l'obbligo giuridico di impedire
gli abusi". Per questo i legali hanno consegnato, insieme alle testimonianze e agli
altri documenti, tre sentenze della Cassazione che affermano il principio del concorso
morale nelle lesioni e nell'abuso di ufficio.
Sui fatti di Napoli si è mossa anche Amnesty international. In una lettera datata
27 aprile e indirizzata al ministro dell'interno Enzo Bianco (già nel mirino delle
critiche perché durante gli scontri non si era scomodato dal pranzo con il corrispettivo
tedesco, in un ristorante di Posillipo), l'organizzazione per i diritti umani esprime
"la propria preoccupazione" su quanto accaduto e chiede l'istituzione di una
commissione d'inchiesta indipendente "che indaghi in maniera completa e imparziale
sul comportamento e le tattiche usate dalla polizia durante la manifestazione". Il
ministro risponde annunciando un'inchiesta amministrativa interna, di cui non si saprà
più nulla. Nel frattempo, cambia la maggioranza di governo, e il 6 giugno, al termine di
un corteo dei metalmeccanici Fiom, una trentina di attivisti della Rete No global
che tentano di consegnare un "foglio di via" al comandante della "European
vision", la nave dei Grandi attraccata al porto di Napoli, vengono caricati ancora
una volta dalla polizia. Il 28 giugno, dopo i gravi fatti di Göteborg (un manifestante
ridotto in fin di vita con due colpi di pistola durante le contestazioni al vertice Ue),
ancora una volta i No global campani inviano al neoministro dell'interno Scajola un
bossolo di proiettile. Con questa provocazione chiedono che le forze dell'ordine siano
disarmate, onde evitare gli spiacevoli "incidenti" che puntualmente si
verificheranno. Insieme al bossolo, recapitano al ministro una copia del libro "Zona
rossa", lo stesso che lunedì prossimo sarà inviato alle procure di Genova e di
Napoli, insieme a una lettera di accompagnamento dei legali. Il 6 luglio è ancora Amnesty
international a scrivere a Scajola, per sapere che fine ha fatto l'inchiesta
napoletana, citando il pestaggio gratuito del 6 giugno e chiedendo rassicurazioni per
Genova. Ma dal Viminale non è arrivata finora alcuna risposta. Per Roberta Moscarelli
della Rete No Global ci sono pochi dubbi: "La questione è stata
insabbiata". Per cui la domanda, rivolta questa volta al governo Berlusconi, è
sempre la stessa: fare luce su quanto accaduto durante il corteo contro il Global forum e
nella caserma Raniero.
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