La Stampa
«La violenza degli anti global non cesserà»
Lunedì 6 Agosto 2001

«E’ L’UNICA FORMA DI TESTIMONIANZA NELLA SOCIETA’ DELL’INFORMAZIONE GLOBALE»
Cossiga: se ci tengono tanto, lasciamo il summit ai tedeschi

ROMA
A POCHE centinaia di metri da casa sua, sul lungotevere, è riapparsa un’antica scritta: "Kossiga boia", con le due esse runiche, l’ex presidente ci scherza: «L’ho mandata a fotografare, mi fa sentire giovane, il tempo sembra tornato indietro di più di vent’anni». Ma il consueto repertorio di ironie, battute e provocazioni questa volta resta nel cassetto: Francesco Cossiga è seriamente preoccupato dal ritorno della violenza in piazza, pensa che le forze dell’ordine non siano adeguatamente preparate ed equipaggiate, condivide la scelta di Scajola di rimuovere i vertici della polizia, e sostiene che il vertice della Fao non vada fatto a Roma.
Perché è d’accordo con la proposta di spostarlo?
«Non si vede il motivo per cui dobbiamo tenerlo a Roma dopo quello che è successo a Genova, visto che manca anche l’unità delle forze politiche di fronte alla violenza. Per motivi anche simbolici sarebbe molto meglio che si svolgesse in Africa».
Secondo il ministro dell’Interno tedesco Otto Schily "di fronte ai manifestanti lo Stato non deve tirarsi indietro".
«Schily è venuto in Italia a dare lezioni che sembra quasi abbia studiato da ministro dell’Interno fin da bambino e quando sento questi discorsi mi viene da proporre che il vertice si tenga a Berlino. Anzi lasciamogli pure questo onore».
Ma per uno come lei che è stato ministro dell’Interno non è una sconfitta cedere alla piazza?
«Sì, ma Genova ci ha dimostrato che una parte del Parlamento e dell’opinione pubblica pensano che si debba cedere ai manifestanti. E poi pensare che sia possibile mettere in piedi rapidamente una strategia infranazionale anti-anarchica e antiviolenza è una pura illusione. Lo dico perché so bene quanto ci sia voluto a costruire strategie e strutture antiterrorismo negli anni Settanta e Ottanta, e perché ogni nazione sui temi dell’ordine e della sicurezza pubblica tende a privilegiare anzitutto se stessa».
Torniamo a Genova e al movimento di protesta contro la globalizzazione, cosa ne pensa?
«La globalizzazione, che è una realtà inarrestabile, ha messo in luce il divario enorme tra diverse aree del mondo e l’immoralità di politiche nazionali ed internazionali volte alla tutela di interessi sociali ed economici di una sola parte. Non significa essere comunisti o internazionalisti sostenere la profonda ingiustizia e l’immoralità di una tale situazione. Sta però nascendo un’ideologia dell’antiglobalismo nella quale confluiscono l’anticapitalismo, l’utopismo, anche cristiano, l’antiamericanismo e, cosa in parte nuova e dovuta al crollo del comunismo che aveva grande capacità di organizzazione della protesta internazionale, il risorgere in forme nuove dell’anarchismo. Tutte queste componenti hanno un carattere comune: l’antimodernità. Ed in questo sta il carattere utopico dell’antiglobalismo, che spiega anche il fascino sottile che ha nei confronti di molti cristiani, laici ed ecclesiastici. Per questo ho parlato di tute nere, bianche e purpuree».
Purpuree?
«Sì, color porpora, come gli abiti dei cardinali».
Ma come si spiega la violenza?
«Inutile sperare che in questa fase non si usi la violenza, perché questa è l’unica forma di testimonianza nella società dell’informazione globale in cui viviamo. Ci troviamo così di fronte ad un movimento che contiene in sè da un lato valori morali e sentimenti positivi e dall’altro un carattere utopico e una natura inevitabilmente violenta della sua "testimonianza"».
Se è così chiaro perchè la situazione è sfuggita di mano?
«Il fatto è che al risorgere di una violenza di piazza, in cui gruppi di manifestanti, da Seattle in poi, hanno mostrato di conoscere bene le tecniche della guerriglia, le nostre forze di polizia non erano preparate».
Perché?
Perché abbiamo goduto di anni di pace nelle piazze, anche grazie alla funzione di ammortizzatori sociali assolta dai governi di centrosinistra. E poi perché in questi anni abbiamo giustamente investito in uomini e mezzi esclusivamente nel settore della polizia criminale e della lotta alle mafie. Adesso occorre che polizia e carabinieri organizzino reparti preparati al mantenimento dell’ordine pubblico e alle tecniche di antiguerriglia urbana e che abbiano nuovi strumenti di offesa difensiva. E’ inutile e pericoloso dotare chi fa ordine pubblico di armi e munizioni da guerra, come è successo a Genova, perché non vengono usate e se lo si fa ci sono i morti. Meglio l’uso di bombolette di gas, di proiettili di gomma, di armi di difesa elettriche.
Basta cambiare l’equipaggiamento per risolvere il problema?
«No, certo. A Genova non c’era chiarezza nella catena di comando tra polizia, carabinieri e guardia di finanza. Così come è necessaria una riforma in senso europeo dei servizi segreti, in modo cioè che ognuno abbia le sue competenze e non succeda più che ogni servizio fa tutto e tutti non fanno niente».
Era necessario il taglio di teste al vertice della polizia?
«Purtroppo in tali occasioni vi sono motivi di opportunità che richiedono provvedimenti dolorosi».
Cosa pensa delle violenze delle forze dell’ordine nella perquisizione alla scuola Diaz?
«Dò un giudizio negativo. Le valutazioni vanno fatte guardando ai risultati. Se nella scuola avessero trovato armi o una resistenza violenta allora il comportamento della polizia sarebbe stato giustificato. Mi chiedo se queste perquisizioni non siano state frutto di false informazioni, se cioè la polizia non sia stata intossicata ai massimi livelli: ma come è possibile che nonostante fosse presente a Genova il vicecapo della polizia Andreassi, per dirigere l’operazione si siano mandati da Roma il direttore dell’ex Ucigos la Barbera e quello dello Sco Gratteri? Forse questi valenti funzionari erano in possesso di informazioni tali da giustificare quel trasbordante uso della forza. Ma c’è dell’altro che non comprendo».
A cosa si riferisce?
«Non posso condividere la scelta di rimuovere il questore e lasciare in carica il prefetto di Genova. Si sappia che il prefetto in ogni provincia è la massima autorità di pubblica sicurezza, sopra al questore. Oggi il mantenimento del prefetto ne fa una figura patetica e pericolosamente non credibile».