La Stampa
Il premier: l’incontro a Roma non serve neanche alla Fao
Lunedì 6 Agosto 2001

BERLUSCONI STRETTO FRA LE ACCUSE DI DEBOLEZZA E IL PERICOLO DI UNA «SALDATURA» DEI DIVERSI MOVIMENTI DI PROTESTA
Umberto La Rocca
DISAPPUNTO. Che neanche il panorama mozzafiato della veranda di villa La Certosa a Punta Lada riesce a dissipare. Disappunto per la lettura di alcuni giornali, che definiscono l’idea di "delocalizzare" il vertice della Fao «un cedimento» alla piazza. Disappunto per le parole da primo della classe del ministro dell’Interno tedesco Otto Schily, «lo Stato non si deve tirare indietro». Disappunto che il presidente del Consiglio lascia trapelare durante la solita serie di telefonate, tra le quali una particolarmente lunga con Claudio Scajola. Conta, certo, il fatto che la "lezioncina" venga dall’esponente di un governo che ha manifestato fin dall’inizio freddezza nei confronti del nuovo esecutivo italiano. Ma la preoccupazione di Silvio Berlusconi ha cause ben più profonde e tutt’altro che infondate. Dopo aver passato un mese difficilissimo grazie al G8, ora si trova fra l’incudine e il martello. Deve scegliere se offrire un’immagine di debolezza, insistendo sullo spostamento del vertice da Roma, oppure esporsi al rischio di nuove imprese di Tute nere e ala estremista del movimento anti-global. Pericolo concreto. Tanto più che l’incubo evocato in questi giorni è quello di avere in piazza a novembre due schieramenti incattiviti dalla battaglia di Genova, dalla morte di Carlo Giuliani e dalle punizioni che hanno colpito dirigenti della polizia, due schieramenti pronti a «vendicare» le offese subite. Una miscela esplosiva.
Quanto alle differenze tra la tavolata degli otto potenti e la Fao, l’organizzazione che affronta il problema della fame del mondo, «che cosa volete che importino a chi viene a Roma solo per avere l’occasione di mettere a ferro e fuoco la città?». Senza contare che uno dei temi in discussione è proprio quell’agricoltura geneticamente modificata indicata dagli antiglobalizzatori come uno degli obbiettivi principali da contrastare. Commentava ieri un alto funzionario della presidenza del Consiglio: «Mi fa ridere Veltroni quando dice che è pronto a ospitare il vertice. In che senso è pronto? Schiererà i vigili urbani contro il black bloc? La verità è che la sinistra oggi ci attacca per la nostra presunta debolezza, dopo gli inevitabili incidenti ci salterà addosso». Considerazioni che, in forma diversa, il presidente del Consiglio ripeterà al sindaco di Roma nell’incontro previsto per giovedì.
«Dopo gli inevitabili incidenti»: sarebbero nuove polemiche, ministro e forze dell’ordine ancora sulla graticola, senza neanche poter più scaricare parte delle responsabilità sul passato governo; sarebbero settimane perdute per la realizzazione del programma, di quella «rivoluzione economica» sulla quale Silvio Berlusconi ha puntato tutto. E allora? «Allora», è quanto ha ripetuto il premier ai suoi interlocutori, «bisogna insistere. Spiegare che una riedizione di Genova non serve a nessuno. Non serve all’Italia, ma neppure alla Fao che vedrebbe i risultati del suo vertice oscurati dai problemi di ordine pubblico. Bisogna ricordare che le sedi di queste riunioni internazionali erano state decise prima che nascesse la contestazione violenta, ora cambiare è ragionevole». D’altra parte, «nessuno ha ritenuto debole il Canada perché ha convocato il prossimo G8 in una sperduto paese sulle Montagne rocciose».
Insistere per spostare il vertice, quindi. Anche perché c’è un’ultima preoccupazione che aleggia per le stanze della presidenza del Consiglio. E cioè che il movimento anti-global possa saldarsi con la protesta sociale «nostrana». Con i metalmeccanici della Fiom che ancora non hanno chiuso il contratto, con il movimento dei precari della scuola, con la rinascita della pantera studentesca resuscitata dai provvedimenti della Moratti. Per non parlare di che cosa potrebbe succedere se il tavolo su welfare e pensioni partorisse «strappi». Alla saldatura fra i diversi fronti lavorano tanto Rifondazione quanto settori dei Cobas, ma l’obbiettivo incontra perplessità e resistenze. Anche senza un’intesa politica però, le piazze potrebbero sovrapporsi. E per il governo sarebbe un’altra brutta gatta da pelare.