Manifesto 31 luglio 2001 LETTERA
Noi poliziotti, non tutti picchiatori
PAOLO MIGGIANO *
Egregio direttore,
il suo giornale del 26 luglio, a pagina 6, pubblicava un pezzo dal titolo "In
pizzeria", nel quale due poliziotti raccontavano la loro esperienza a Genova, che si
concludeva con il seguente interrogativo: "...Chissà se esiste qualche altro
poliziotto democratico (?) che ha voglia di parlare...". L'appello veniva subito
accolto e due giorni dopo, il manifesto pubblicava la testimonianza di un lettore,
intitolata "La festa della caserma", nella quale un altro appartenente alle
forze dell'ordine descrive il suo stato d'animo in seguito ai fatti di Genova. Non dubito
che quanto raccontato dal giovane appartenente alle forze dell'ordine sia davvero accaduto
in una caserma del Veneto. Non condivido, però, la parte finale della lettera, nella
quale il giovane poliziotto annuncia di voler lasciare presto il suo lavoro perché ha
ribrezzo di indossare la divisa che lo fa sentire un nemico del popolo. Non condivido la
sua decisione, perché ritengo che persone come lui siano più utili all'interno che
all'esterno di istituzioni che ancora sembrano essere tanto impregnate di separatezze e di
valori antisociali.
Lavoro da ventotto anni in Polizia ed anche io, come il giovane poliziotto, in un
particolare momento della mia vita professionale, allorquando si verificò un fatto grave,
avevo deciso di abbandonare. Non ho ceduto e ho scelto di continuare a lottare in nome di
chi aveva subito quel torto grave. Ho pagato un prezzo personale anche piuttosto alto, ma
qualcosa è cambiato e di alcuni retaggi ora non c'è più traccia.
Tra giorni calerà il sipario sui fatti di Genova, un sipario rosso di sangue e di
vergogna, ma su quei drammatici giorni non dovrà scendere l'oblio a cui l'Italia è
purtroppo tanto abituata. L'eccesso e le ingiustizie del lungo fine settimana di Genova
così come hanno creato una profonda divisione tra cittadini e forze dell'ordine,
inevitabilmente hanno creato spaccature anche all'interno delle caserme. A Genova sono
stati in molti a sbagliare, quasi tutti. Continuare a sbagliare non gioverebbe a nessuno.
E' stato un errore, per una parte del Gsf, non respingere con fermezza ogni tipo di
violenza. Allo stesso modo commette un errore chi costruisce l'equazione Gsf uguale
a violenza. A mio avviso, considerare tutti i poliziotti d'Italia come un'orda di
scalmanati e violenti che credono di essere al di sopra delle leggi è altrettanto un
gravissimo errore. Noi poliziotti del "Silp per la Cgil", dopo i fatti di
Genova, abbiamo cominciato a lavorare per ricucire lo strappo tra istituzioni e società
civile. A Napoli sono stato personalmente promotore di un incontro tra il nostro sindacato
e una delegazione dell'associazione "Giuristi Democratici", reduci da Genova che
ci hanno raccontato le loro drammatiche esperienze. A Roma, la segreteria nazionale si è
fatta promotrice di un incontro con i vertici del Gsf per capire e fare comune
autocritica. Alla manifestazione di Napoli del 24 luglio organizzata per ricordare i fatti
di Genova, c'ero. Non ero dietro lo striscione sul quale vi era scritto
"assassini", ma c'ero. C'ero, per capire, per ragionare, per comprendere di
più. Per capire se dietro a quella terribile parola ci fosse davvero dell'odio per quanto
accaduto. Mi è sembrato che non ve ne fosse.
Nella Polizia ci sono ancora i luoghi dove le persone possono praticare la partecipazione
democratica, anche scontrandosi con quei pochi poliziotti che cantano marcette fasciste,
ostentano cimeli del ventennio e commentano le drammatiche immagini di questi giorni,
dicendo che "è poco".
In questi giorni sono state mosse gravissime accuse al governo e alle forze dell'ordine.
Alla classe politica di maggioranza spetta spiegare al paese quali siano state le sue
priorità per la sicurezza del G8 di Genova. All'opposizione spetta il compito di
stimolare, con ogni mezzo democratico, l'accertamento delle responsabilità politiche,
mentre alla magistratura, ancora una volta, spetta quello di stabilire le responsabilità
di quanti si sono resi partecipi di azioni contro le leggi democratiche di questo aese. A
noi poliziotti spetta il compito di rimanere ai nostri posti e continuare a manifestare e
affermare i più nobili principi democratici e i diritti fondamentali dell'uomo,
opponendoci ad ogni forma di violenza e di comportamenti antisociali dei nostri colleghi.
Solo in questo modo possiamo continuare a chiedere al governo (sempre che la smetta di
scaricare le sue responsabilità politiche solo sulle forze dell'ordine) e
all'amministrazione di ragionare se gli strumenti della sicurezza utilizzati a Genova
siano stati quelli giusti. Questa è la strada per capire, tanto per fare un esempio, se
in futuro sarà ancora possibile mandare in contesti di guerriglia urbana come quelli di
Genova giovani carabinieri di leva dentro camionette che non hanno neanche la blindatura
dei vetri, mentre ogni forma di blindatura viene prevista per la protezione dei grandi del
mondo.
Sui fatti di Genova e non solo, abbiamo molte domande da fare al governo e
all'amministrazione, per questo dico al collega: non mollare, continuiamo a resistere,
tenendoci stretti.
* Consigliere nazionale Silp per la Cgil
|