Manifesto 3 agosto 2001 Un
blitz noto a tutti
All'assalto alla scuola Diaz parteciparono
anche i reparti speciali
AUGUSTO BOSCHI - GENOVA
La notte del 21 luglio, ad aspettare le ambulanze con il loro carico di
ossa rotte e volti tumefatti, davanti al pronto soccorso dell'ospedale San Martino ci sono
agenti di polizia e carabinieri schierati per sorvegliare l'arrivo dei feriti. Fresca di
quanto appena visto alla scuola Diaz, del tourbillon di uomini in divisa e personaggi in
borghese che davano ordini nel cortile dell'istituto, una collega di un'agenzia di stampa
si avvicina a un poliziotto con i gradi e gli chiede: "Ma chi c'era alla
scuola?" "Chi c'era?", risponde il poliziotto con un sorriso ironico,
"c'erano Minnie, Pippo e Topolino". E forse, a cercare bene sotto i caschi
azzurri e dietro i fazzoletti tirati sul viso, magari ci si potevano trovare pure
Paperino, Pluto e Clarabella. Sì, perché quella notte c'erano tutti. C'erano quelli che
dovevano esserci e quelli che invece avrebbero dovuto stare da un'altra parte. Quelli
chiamati lì apposta e quelli che passavano per caso. C'erano, per esempio, i vertici e
gli agenti dello Sco, il Servizio centrale operativo, l'unità che deve gestire
l'attività degli organismi investigativi della polizia di Stato e che in soldoni si
occupa di dare uniformità di indirizzo alle indagini e di razionalizzare l'impiego delle
risorse nella lotta al crimine. Eppure Franco Gratteri e Gilberto Calderozzi, capo e vice
capo dello Sco, insieme con una dozzina dei loro uomini, si trovavano nel bel mezzo
dell'azione.
Segnati nella lista dei funzionari presenti al blitz consegnata alla magistratura, i due
dirigenti sono stati interrogati ieri. Gratteri è rimasto a colloquio con il procuratore
aggiunto Francesco Lalla per un paio d'ore, mentre il suo vice è stato ascoltato dai
piemme Canepa e Pellegrino. Cosa ci faceva il capo dello Sco alla perquisizione?
"Avevo del personale alla Diaz, e io vado sempre dove ci sono i miei", è stata
la risposta. Seguita poi dalla precisazione che "l'inchiesta penale è in corso,
parlo solo con i magistrati" e la convinzione che, da tutto questo affare, la polizia
non ne uscirà con le ossa rotte. A questo punto la domanda è: perché gli uomini dello
Sco erano alla Diaz? Cosa ci facevano? Erano loro gli agenti in borghese che sono entrati
nella palestra? Si possono azzardare alcune ricostruzioni, sebbene soltanto a livello di
ipotesi basate su alcune voci che circolano nei corridoi del tribunale. Verso le 22 una
macchina della polizia viene bersagliata da un lancio di oggetti provenienti dalla scuola.
Uno degli agenti a bordo chiama subito un suo amico che si trova in via Trento, la via
cioè che passa proprio dietro alla sede del Gsf. L'amico in questione è Gilberto
Caldarozzi che, in quel momento, sta effettuando dei "controlli" insieme a
sette/otto agenti dello Sco. Questo fatto viene confermato da Lalla. Ma che ci faccia
Caldarozzi in via Trento resta ancora un mistero: lo Sco, secondo il piano di sicurezza,
doveva occuparsi della zona rossa e non del pattugliamento delle strade. A questo punto
gli agenti vanno sul luogo. Piovono sassi. Secondo la ricostruzione fatta l'altro giorno
dal procuratore aggiunto Lalla, le macchine sarebbero tornate in questura a riferire e
quindi, dopo un sopralluogo, si sarebbe deciso il blitz.
Forse è andata così, forse invece si sono allontanate di poco limitandosi ad avvisare
che sì, nella palestra della scuola Pertini, di fronte alla sede del Gsf, c'erano
davvero i black bloc. In quel momento, nella stanza dei bottoni, oltre al questore di
Genova Francesco Colucci c'è pure Ansoino Andreassi, il vice di De Gennaro. Che come
tutti i bravi vice tiene informato minuto per minuto il suo capo di quello che sta
succedendo. Andreassi dà il via all'operazione, Colucci non può che ubbidire e mettere
in moto il meccanismo. Si sparge la voce che è stato trovato il santuario dei black bloc
e quindi, oltre ai tariconi del reparto mobile, sul posto accorrono gli specialisti,
mentre la squadra mobile si occupa di sorvegliare la zona e i carabinieri formano un
cordone intorno all'edificio e bloccano gli accessi di via Battisti. E' difficile capire
chi comanda, in quell'inferno, perché ci sono tutti gli alti funzionari: nessuno vuole
mancare; nessuno vuole rimanere fuori dall'operazione che metterà fine al movimento dei
black bloc. E' la dimostrazione implicita del teorema che il Gsf è colluso con le
tute nere, che li ospita e addirittura - come verrà detto in seguito - li cura in quella
che viene definita un'infermeria per i feriti negli scontri dei giorni precedenti. E
mentre piovono le manganellate sugli ospiti della palestra, un altro gruppo di poliziotti
entra nell'edificio di fronte, la sede del Gsf, sfondando il cancello sul retro e
si precipita al primo piano, dove c'è l'ufficio legale del Gsf. Qui, oltre ai
manganelli, entrano in azione i cacciaviti con cui vengono aperti i computer per estrarne
gli hard-disk.
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