La Repubblica 31 luglio

"Su Genova voglio piena luce"
Il monito di Ciampi: sono silente ma non assente

GIORGIO BATTISTINI


ROMA - "Piena luce" su Genova, chiede Ciampi. E si "attende" che venga fatta. Subito quella richiesta, quelle parole tanto aspettate nei giorni seguiti agli scontri sul G8, diventano indiretto, autorevole sostegno a chi chiede d'indagare a fondo. A chi vuole l'inchiesta parlamentare (infatti il centrosinistra torna alla carica forte delle parole del presidente), ma anche ai magistrati che hanno aperto sei procedimenti e agl'ispettori ministeriali al lavoro. Il giudizio del presidente sugli eventi di dieci giorni fa è duro e deciso. Alla città di Genova "è stata fatta violenza", dice. "Sin dal primo giorno del vertice aggressioni e devastazioni da parte di gruppi di facinorosi hanno turbato l'ordine pubblico. Hanno danneggiato e offeso i cittadini. Nuocendo anche a chi, soprattutto giovani, era arrivato lì per testimoniare a favore dei Paesi più poveri".
Una richiesta austera e decisa, quella del capo dello Stato. Una "doverosa", dice, pretesa di verità che pare contenere segni d'impazienza: "Attendo, auspico che si faccia piena luce su quant'è accaduto" scandisce davanti allo stato maggiore dell'informazione parlamentare e quirinalizia, riunita sotto le scintillanti dorature del salone degli Specchi per la tradizionale consegna del "ventaglio" che precede ogni sospensione estiva dell'attività politica. Perché piena luce è esattamente "ciò che vogliono tutti gli italiani. Senza distinzione alcuna". Si riferisce, con tutta evidenza, a entrambi gli schieramenti politici che si contrappongono in Parlamento. Al centrosinistra d'opposizione come al centrodestra di governo.
Il Quirinale ha rotto il silenzio. Domenica pomeriggio Ciampi s'è chiuso nel suo studio e ha scritto la traccia del discorso che aveva in animo. Ieri mattina l'ha rivisto insieme ai più stretti collaboratori. Attendeva il momento giusto, il presidente, per uscire da un riserbo che gli pesava ogni giorno di più. Un silenzio rotto la sera di venerdì 20 luglio, poche ore dopo l'uccisione del giovane dimostrante, con quell'angosciato messaggio in tv, di fianco a Berlusconi, poco prima della gran cena. Messaggio rinnovato la mattina dopo, lasciando Genova per rientrare nella capitale.
Poi più nulla. La tempesta di foto, filmati, resoconti, testimonianze che piovevano da ogni angolo d'Europa e d'Italia, imbrattando di sangue e violenza l'immagine d'un vertice tutt'altro che vacuo, ha gettato nello scoramento il capo dello Stato, che per quell'appuntamento s'era impegnato a fondo. La delicatezza del momento l'ha in certo modo condannato al silenzio, pur "avvertendo", come ha voluto spiegare ieri, tutto il "peso dei fatti di Genova che ho vissuto intensamente". Obbligato al silenzio anche perché, ha aggiunto, "sono in corso indagini, approfondimenti, valutazioni da parte degli organi costituzionali competenti, l'esecutivo, la magistratura, il Parlamento. E in queste circostanze qualsiasi mia dichiarazione sarebbe indebita interferenza".
Riserbo dovuto, dunque. Tuttavia, dato che nelle istituzioni la forma è sempre sostanza, il presidente (infastidito da critiche sui silenzi del Colle) tiene a far sapere che in tutta questa vicenda "il Quirinale è silente ma non è assente". Vale a dire che il Palazzo ha mantenuto sempre un operoso (e doveroso) riserbo formale senza tuttavia risparmiare consigli e suggerimenti ai vertici istituzionali. Dunque una discreta, intensa stagione di moral suasion, come amano dire i collaboratori del presidente. E il riferimento è alle indiscrezioni di questio giorni che hanno parlato di frequenti telefonate con Pera e Casini e lo stesso Berlusconi, contatti di Gifuni con Letta per coordinare una diplomazia che sottraesse la politica a uno scontro muro contro muro sul terreno più delicato.