La Stampa
Martedì 31 Luglio 2001

L’ULTIMO A CEDERE ALLA MEDIAZIONE DEL PRESIDENTE È STATO IL LEADER DI AN FINI
Quel pressing discreto del Quirinale
La svolta venerdì in due telefonate a Pera e al premier

ROMA
DA attento lettore di quotidiani, Ciampi aveva chiara la distinzione tra «facinorosi» e «manifestanti» fin dal giorno seguente la morte di Carlo Giuliani. E anche la richiesta di «fare luce» sui fatti di Genova, che ieri ha rivolto pubblicamente, l’aveva già espressa privatamente al presidente della Camera Pier Ferdinando Casini mercoledì scorso, quando l’ipotesi di un’indagine parlamentare appariva ancora controversa.
I servizi del TgUno di giovedì sera, però, hanno impressionato profondamente il capo dello Stato. E anche la signora Franca, che d’abitudine segue il telegiornale della sera con il marito nell’appartamento privato al Quirinale, è rimasta scossa sia dalle parole di Giuliano Giuliani, sia dalle immagini dei ragazzini e delle donne in lacrime per il dolore e l’umiliazione delle manganellate. Immagini che hanno rafforzato la convinzione del presidente che non è possibile confondere poche centinaia di distruttori con migliaia di manifestanti, e che anche loro siano rimasti vittima delle violenze di Genova.
Quelle stesse immagini, nelle stesse ore, hanno colpito anche il presidente del Consiglio, al punto da indurlo a cambiare approccio alla questione. Per Ciampi si è trattato piuttosto di una conferma della propria interpretazione della prima ora - fin da sabato mattina, lasciando Genova, aveva distinto i violenti da «coloro che manifestano pacificamente» -, e della propria linea di pressione discreta affinché si arrivasse, in tempi rapidi, a una decisione condivisa da maggioranza e opposizione sui modi per cercare verità e chiarezza.
Il giorno dopo, venerdì, la scena si è trasferita un po’ più in là spostandosi al Senato. E Ciampi si è mosso allo scopo di attutire le rigidità di entrambi gli schieramenti. Ha telefonato al presidente di Palazzo Madama Marcello Pera, per incoraggiarlo a premere sui capigruppo di Polo e Ulivo. Ha chiamato direttamente Silvio Berlusconi. Ha parlato con il ministro per i rapporti col Parlamento Carlo Giovanardi. Attraverso il segretario generale del Quirinale Gaetano Gifuni, ha fatto sentire la sua voce anche a Gavino Angius e Luciano Violante (con cui Ciampi aveva parlato personalmente la notte della morte di Carlo Giuliani). Un lavoro che non è rimasto privo di riscontri.
Già dopo l’intervento al Senato, pranzando con Pera, Berlusconi ha assicurato di non essere contrario a un’indagine conoscitiva. Venerdì pomeriggio, nuova telefonata tra Pera e Ciampi. Poi è arrivata l’apertura di Giovanardi - sì all’indagine in cambio del ritiro della mozione di sfiducia a Scajola - e il via libera di Violante.
L’ultimo a cedere è stato Gianfranco Fini. Berlusconi chiedeva garanzie per Scajola: non possiamo, ha spiegato ai suoi interlocutori istituzionali, legare all’indagine la sorte del ministro dell’Interno e indirettamente il prestigio del governo; di qui la scelta di far precedere l’inizio dell’indagine dal voto sulla mozione di sfiducia al ministro dell’Interno.
Fini valutava negativamente anche la prospettiva di un’inchiesta che gettasse ombre sul lavoro di polizia e carabinieri. Un tema su cui Ciampi ha evitato di impegnarsi: non spetta a me - ha ripetuto nelle sue conversazioni - entrare nel merito né dei fatti di Genova, né delle forme che governo e parlamento adotteranno per chiarirli; ma questo non significa che io intenda rinunciare a chiedere la verità. Per lo stesso motivo - evitare di pronunciarsi nel merito, di oltrepassare le responsabilità che la Costituzione gli attribuisce - il presidente non accoglierà la richiesta del portavoce del Genoa Social Forum Vittorio Agnoletto a essere ricevuto, né risponderà direttamente all’appello dei cinquecento intellettuali pubblicato dall’Unità.
Se, però, Ciampi ha badato ieri a non esprimersi sull’operato delle forze dell’ordine, è anche perché le testimonianze da Bolzaneto l’hanno turbato. Non è in discussione «l’impegno per proteggere Genova», che il presidente ha riconosciuto nei giorni del G-8, e neanche la violenza inflitta a una città che gli è particolarmente cara (Ciampi considera la mattinata passata l’anno scorso a Staglieno davanti alle tombe di Mazzini, Mameli e Parri come uno dei punti emotivamente più intensi del suo viaggio in Italia). Ma il presidente ieri ha evitato di ricorrere a formule di prammatica, di fornire coperture a priori. Da una parte perché la sua fiducia nell’affidabilità democratica delle forze dell’ordine è implicita. Dall’altra perché il «peso» dei fatti di Genova «l’intensità» con cui Ciampi li ha seguiti è tale che, nella visione del Quirinale, qualsiasi dichiarazione in un senso o nell’altro verrebbe interpretata come un pregiudizio. E anticipare un giudizio, è stato il ragionamento del presidente, avrebbe contraddetto l’aspettativa degli italiani (e delle cancellerie europee).
Così domenica pomeriggio, nella tranquillità di Castelporziano, Ciampi ha «staccato» per due ore e ha scritto di proprio pugno le quattro pagine del discorso di ieri. Compresa l’immagine del «Quirinale silente ma non assente», che è destinata a entrare nel lessico della politica come metafora di questo inizio di settennato.