La Repubblica 6 agosto 2001 I primi
Black bloc davanti al giudice
"Quei saccheggi con sassi e bastoni"
Sono tre, volti da bravi ragazzi e mani dure. Il tribunale deve decidere
sulla richiesta di libertà provvisoria il processo
MARCO MAROZZI
GENOVA - Il pubblico ministero Anna Canepa la prima volta che li ha visti è
sobbalzata: «Sono ragazzini, sembrano angioletti». Poi i carabinieri del nucleo
operativo hanno mostrato le mani dei giovani che avevano bloccato: piccoli graffi,
escoriazioni, le unghie segnate. «Come di chi avesse tolto pietre da un selciato». «No,
è stato per i lavori di accampamento» hanno ribattuto gli arrestati.
Volti da bravi ragazzi e mani dure, legami che nessuno riesce ancora a definire e
misteriose maglie nere, indagini che corrono su Internet e in una estrema sinistra senza
sigle, bastoni e fascicoli che crescono. Ormai riempie una stanza la storia senza verità
dei giovani, delle ragazze in carcere a Genova accusati di essere del Black Bloc. Sono 47,
i primi tre stamane saranno portati davanti al tribunale del riesame, chiamato a decidere
sulle richieste di libertà dei difensori. Due vengono da Torino, dal centro sociale
Askatasuna: uno ha vent'anni, l'altro 47, è nato in Siria, è cittadino italiano, è
senza una gamba, ha una protesi. Sono accusati di aver distribuito bastoni da un furgone
bianco con la scritta «Cobas di Torino». Dei sindacati di base avevano le magliette
bianche e rosse. Li accusano di essere gli armieri di strada del Black bloc. Loro, nel
gioco impossibile delle doppie verità, ripetono: «Non è vero, portavamo le aste per le
insegne dei Cobas. Partecipavamo alla manifestazione di massa, non agli scontri».
Con loro arriverà in tribunale una tedesca di 27 anni arrestata nei giardini di Quinto
perchè sull'auto aveva - dicono i verbali - vestiti neri, armi improprie, un rullino di
foto di Genova in fiamme. Tutti e tre, come gli altri 44, quasi tutti stranieri, sono
accusati di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione ed al saccheggio.
E sulla possibilità di tenere in piedi il reato associativo si gioca il futuro della
prima inchiesta al mondo sul Black bloc: i magistrati stanno infatti tentando di mostrare
che la «disorganizzazione organizzata» proclamata sui siti Internet del Blocco Nero in
realtà ha collegamenti che dalla Rete passano alle piazze, ai legami internazionali, alle
decisioni tattiche e le scelte strategiche. «No, non è così. I Black bloc possiamo
piuttosto paragonarli ai teppisti degli stadi» attacca l'avvocato Emanuele Filiberti, uno
dei difensori. «E mai si è pensato di attribuire agli ultras, per quanto violenti, il
reato associativo. La giurisprudenza della Suprema Corte è costante in materia». «A
sostenere l'accusa di associazione per delinquere - recita il legale - devono essere
elementi ben precisi come l'accordo stabile fra persone per commettere una serie
indeterminata di reati».
I magistrati tengono duro: «Noi lavoriamo, vedremo». Un pool indaga, studia, cerca di
decifrare. Hanno coinvolto polizie di mezzo mondo per cercare se alcuni degli accusati, i
loro giri appaiono in altre inchieste, in altri scontri. L'indagine viaggia su Internet
fra parole d'ordine, disposizioni del movimento. Rilegge ogni possibile associazione per
delinquere per capire come è stata definita: dal terrorismo fino alla mafia e alla ndrangheta.
Giurisprudenza, antropologia dei gruppi criminali, semiotica del linguaggio. «Sapendo di
dovere fare le proporzioni, di scavare fra distanze incommensurabili». E davanti agli
occhi le facce di ragazzi come Michael David Kohl, Peter Kunze, Michael Kodritsch di cui
ieri sono state diffuse le foto, di altri come loro. Facce pulite, coltelli e
passamontagna e caschi nell'auto. «Per il campeggio» è la risposta che viene sempre
data come spiegazione. Gentilezza nelle risposte agli interrogatori, improvvise durezze
quando si cerca di capire da quale progetto politico arrivino |