La Stampa 26 luglio 2001
Giovedì 26 Luglio 2001

Prodi: non criminalizzate tutto il movimento
«In nessuna persona che ho incontrato c’era alcun desiderio di violenza»
Enrico Singer
corrispondente da BRUXELLES A Genova c’erano i violenti - «centinaia o migliaia, per i quali la condanna non può essere mai sufficiente» - e poi c’erano «centinaia di migliaia di persone pacifiche che volevano esprimere l’esigenza di una maggiore attenzione per un mondo in cui le speranze di sviluppo stanno diventando sempre più scarse». Romano Prodi ricorda i tre giorni passati al G8 e si sente che l’emozione è ancora forte. La rabbia, anche. «Noi eravamo chiusi dentro il palazzo, fuori c’era una città deserta, soleggiata, meravigliosa e pacifica: poi c’era un terzo girone con le dimostrazioni e gli scontri. Se c’era un senso fisico dell’isolamento di chi doveva prendere decisioni per il futuro della società, era proprio questo».
Romano Prodi ha appena finito di illustrare un Libro Bianco sulla «governance» dell’Unione europea e molte domande riportano l’attenzione ai fatti di Genova. Un «segnale allarmante» anche per la Ue. Un segnale dello scollamento tra i leader e l’opinione pubblica. Ma quella che manifestava in pace, precisa Prodi, perché i violenti, quelli arrivati al G8 per scatenare la guerriglia e le distruzioni «sono un’altra cosa». Ma non ci sono state ambiguità, contatti, tra il Genoa Social Forum e i violenti? «In nessuna delle persone che ho incontrato c’era il minimo desiderio né di violenza, né di essere accomunata con l’altra parte», risponde Prodi. «C’era soltanto l’ansia per il miglioramento delle condizioni di vita dell’umanità e per la riduzione delle diseguaglianze».
A queste istanze Romano Prodi non è indifferente. Lo aveva scritto nell’articolo per La Stampa sulle «tre ingiustizie» pubblicato proprio nel giorno d’apertura del vertice e lo ripete adesso. «Mentre condanno la violenza con tutta la forza possibile, non mi sento certamente estraneo alle ragioni di chi ha manifestato pacificamente». A chi gli fa notare che, in piazza a Genova, era difficile capire la differenza tra i manifestanti pacifici e quelli violenti, il presidente della Commissione europea risponde: «La differenza è semplice. I violenti non sono mai venuti a discutere. Nei miei incontri ho sempre trovato di fronte a me frati, suore, assistenti sociali, padri di famiglia. Mai ho trovato i bastonatori. Mi sembra una differenza semplice, ma molto forte».
Sul comportamento della polizia e dei carabinieri, Prodi non vuole fare commenti: «Per chi come noi era impegnato nel vertice, il distacco con quanto avveniva fuori era così drammatico che non mi sono potuto nemmeno fare un’idea dei rapporti tra polizia e dimostranti». Il dopo-Genova, però, deve «insegnare qualcosa». Deve far riflettere, secondo Prodi, ai pericoli che si nascondono nel paradosso che sta vivendo anche la costruzione dell’Europa. Esattamente un mese fa, a Goeteborg, il vertice europeo - prima del G8 - era stato sconvolto dalla guerriglia urbana.
Già allora Prodi aveva lanciato l’allarme. «Da una parte c’è una grande voglia di sforzi comuni per risolvere i problemi, dall’altra l’incomprensione e la sfiducia nelle istituzioni». E’ una deriva molto pericolosa. Verso i violenti «la condanna non è mai sufficiente», con gli altri «bisogna recuperare il dialogo».