Corriere della sera 2 agosto 2001
«In Parlamento c’è chi ha protetto i violenti»

Fini attacca l’opposizione: Dio non voglia che si scoprano collusioni. Angius (Ds): fai i nomi

ROMA - Parla a braccio. Bolla come contrario «alla pubblica intelligenza» l’accostamento fatto da D’Alema fra il Cile e l’Italia. Ci tiene a ricordare che «il nostro è uno Stato democratico in cui nessuno ha il diritto di pensare che vi siano soppressioni di libertà». Poi comincia l’affondo: «Non ricordo da esponenti della sinistra dichiarazioni polemiche nei confronti di chi ha dichiarato di andare a Genova per scatenare la guerriglia». È il prologo di parole che pesano come macigni: «Dio non voglia che per i Black Bloc emergano responsabilità di collusione, protezione e copertura da parte di qualche collega parlamentare». Gianfranco Fini scandisce le parole. Ha appena varcato il confine fra responsabilità politiche e penali. Dentro l’aula del Senato, dove si sta discutendo della mozione di sfiducia contro il ministro dell’Interno, lancia un sospetto che sembra avere destinatari precisi. Il quadro di riferimento del vicepremier è l’accertamento di quella «rete logistica, di protezione, di collusione e di complicità di cui godono all’interno del movimento e all’interno di certe frange dell’ultrasinistra i Black Bloc e gli eversori che hanno saccheggiato Genova».


PROTESTE - Dai banchi dell’opposizione arrivano le prime proteste. Il dito di Fini è puntato contro di loro. L’accusa, pesantissima, appare indirizzata a quei partiti, soprattutto Rifondazione e Verdi, che hanno offerto più parlamentari alle manifestazioni di protesta durante il G8. Ma c’è ancora spazio per un’allusione: «Con sei inchieste avviate verrà fatta luce - continua Fini, replicando alle proteste dei senatori del centrosinistra - e la magistratura genovese sta accertando una verità che molto probabilmente non sarà gradita».
Immediata, poco dopo, arriva la replica. Il capogruppo dei Ds prende la parola, alza la voce, scandisce per due volte la stessa frase: «Fini faccia i nomi o taccia e ritiri quello che ha detto». Risponde anche Nando Dalla Chiesa, della Margherita: «Da oggi risulta ancora più chiaro che il vero ministro dell’Interno è Fini. È stato lui a seguire direttamente gli eventi, collocandosi al di sopra del titolare formale del ministero. Il governo esprime una cultura che identifica senza scrupoli manifestanti e sovversivi, Ulivo e sovversivi, e a trasformare le critiche a singoli uomini in ostilità contro tutte le forze dell’ordine».


SCONTRI - Ma a Fini replicano soprattutto i parlamentari che a Genova sono andati a manifestare, che hanno trascorso la notte fuori la scuola Diaz mentre erano in corso perquisizione e scontri. «Quando un governo tenta di criminalizzare il Parlamento siamo alla vigilia di un regime - accusa a sua volta Paolo Cento -. Noi Verdi siamo andati a Genova con un osservatorio, per favorire la mediazione, ricomporre il conflitto dentro un’area comunque democratica. E anche le Tute bianche hanno fatto uno sforzo positivo introducendo nell’area antagonista il terreno della disubbidienza civile, diversa dalla violenza».


INTIMIDAZIONI - Aggiunge Gabriella Mascia, di Rifondazione, anche lei a Genova durante il G8: «Quelle di Fini sono intimidazioni. La verità è che è stata la polizia a voler confondere Tute nere e manifestanti pacifici». «Rivendico di avere partecipato al corteo della disubbidienza civile che aveva dichiarato di voler violare senza armi la zona rossa», conclude il compagno Ramon Mantovani.
Ma le polemiche della giornata, sui presunti legami fra sinistra e movimento antiglobal, non sono finite. Ritorna la storia della consulenza offerta dall’ex ministro Livia Turco a Luca Casarini, fra i leader della protesta di Genova. Chiede informazioni Marco Zacchera, An. L’esponente dei ds sbuffa, risponde di averne già parlato «dieci volte», rivendica «con orgoglio di avere dialogato anche con le realtà scomode come i centri sociali». Una risposta «esecrabile» per il leghista Roberto Calderoli: «Allora il Viminale potrebbe concedere consulenze agli uomini della mafia».

Marco Galluzzo