La Repubblica 1 agosto 2001

Un pool di psichiatri
curerà i "reduci" del G8

Aiuterà le persone sotto choc per le violenze che hanno visto

FERRUCCIO SANSA


GENOVA - Sono sparite le barricate. Nelle strade di Genova non ci sono più le auto bruciate, il fumo, le reti, i blindati. Ma per molti il G8 non è finito. E forse non finirà mai. Per chi c'era, per chi ha visto sarà difficile dimenticare i lacrimogeni, i colpi di manganello, il sangue. Un ragazzo che ti muore davanti agli occhi. La ferita si riapre ogni giorno: crisi di panico, vomito, insonnia, terrore del buio, buchi nella memoria, depressione. Sono i sintomi che colpiscono i reduci del G8, manifestanti, poliziotti, medici o semplici passanti. Sono decine, centinaia, tanto che un gruppo di psichiatri genovesi si sta organizzando per curare questa che forse un giorno sarà chiamata la «sindrome di Genova».
«È come dopo una guerra», racconta Giovanni Guasto, che dirige il gruppo. E aggiunge: «Disturbi come questi erano frequenti tra le popolazioni del Kosovo. Lo choc a volte emerge dopo giorni e può durare a lungo». È la storia di Luisa, 25 anni, milanese, volontaria del servizio di soccorso del Genoa Social Forum: lei, pacifista convinta, c'era, in piazza Alimonda vicino a Carlo Giuliani. Ha cercato di rianimarlo: «Sentivo il battito del cuore che diventava sempre più debole. E... mi sentivo disperata, impotente. Non ho potuto fare altro che guardarlo...Sì, di guardarlo come avrebbe fatto sua madre. Ma anche in quei momenti, mentre cercavamo di fargli il massaggio cardiaco, i carabinieri hanno continuato a colpirci, a spingerci». Da quel giorno la finestra di casa sua è sempre illuminata. Di giorno e di notte. «Il buio mi terrorizza. Appena chiudo gli occhi rivedo tutto... Rivedo gli occhi di Carlo». La notte, il buio, la paura. Amedeo, 29 anni, avvocato del Gsf si guarda le mani, le braccia, mentre racconta: «Non potete capire che cosa siano quei brividi terribili. Mi prendono all'alba, è un gelo dentro le ossa. Ci sono trenta gradi e io mi devo coprire, come fosse inverno. Allora esco di casa e comincio a camminare, a correre». Amedeo era negli uffici del Gsf quando un gruppo di poliziotti ha aggredito un suo collega. «Lo hanno circondato, appena lui ha detto che era avvocato hanno preso a insultarlo. Poi lo hanno riempito di calci e alla fine gli hanno puntato un fucile per lacrimogeni in mezzo agli occhi». No, Amedeo non riesce a dimenticare. Alla fine si piega sul lavandino e vomita.
Chissà se Luisa e Amedeo si rivolgeranno all'équipe di psichiatri che presto comincerà a lavorare ("a livello di volontariato" precisa Guasto). Ma gli assistiti, c'è da giurarlo, saranno molti. E tra loro non mancheranno i bambini. Prendete Fausto, 9 anni. Lui il G8 neanche sapeva cosa fosse, la sua «colpa» è stata di passare in piazza Tommaseo quando sono arrivati i Black bloc. «Lo stavo portando dal medico, all'improvviso ci siamo trovati davanti quella gente vestita di nero», racconta la nonna. E aggiunge: «Hanno dato fuoco a un'auto. Io sentivo la mano di Fausto che tremava dentro la mia. Abbiamo fatto appena in tempo a infilarci in un portone, una signora ci ha aperto». Salvi, ma ora Fausto non riesce a stare solo, vuole che la madre lo accompagni ovunque.
«Il panico, la solitudine profonda, nascono dalla consapevolezza di non avere via di fuga, dal disorientamento che si prova vedendo chi doveva proteggere farti del male», spiega Guasto. Ma subito aggiunge: «Anche le forze dell'ordine non sono immuni da questi disturbi, il nostro centro sarà aperto anche a loro. Immaginate un ragazzo di vent'anni costretto a stare un giorno intero sotto il sole con la tenuta antisommossa e poi aggredito, obbligato a combattere». È la storia di Maurizio (il nome è di fantasia), da più di dieci anni in forza alla polizia di Genova. Nei giorni del G8 anche lui c'era nelle strade di Genova. Fino a domenica: «Ero appena tornato a casa, guardavo la televisione con mia moglie. Ho visto i miei colleghi che picchiavano quei ragazzi e mi è sembrato d'impazzire». Anche per Maurizio il G8 continua ogni notte, appena spegne la luce e sogna: «Vedo la polizia, i miei colleghi che suonano alla porta e portano via tutto».