La Repubblica 2 agosto 2001

Le accuse al Reparto mobile
"Il comandante è da licenziare"

Nel dossier si parla della foto in cui il vice della Digos Perugini pesta un manifestante a terra

LIANA MILELLA


ROMA - Ci sono alcune pagine, tra le trenta del rapporto sul blitz alla scuola Diaz, su cui il ministro dell'Interno Scajola si è soffermato a lungo. Sono quelle in cui il superispettore Pippo Micalizio ammette che sì, dai suoi colleghi funzionari, una ventina in tutto, non è riuscito a cavare una sola assunzione di diretta responsabilità. Erano in tanti, decisamente in troppi, quella notte di sabato 21 luglio, ma nessuno, pur avendo alte cariche e responsabilità, alla fine ha detto: «Sono entrato alla Diaz e ho visto i miei uomini picchiare quei ragazzi». Invece tutti hanno sostenuto: «Sono entrato quando era già tutto finito. Quindi non ho potuto vedere nulla». C'è perfino un caso estremo: è quello di Vincenzo Canterini, il comandante del Reparto mobile di Roma che guidava i suoi 70 uomini. Lui ha tentato di cavarsela così: «Nella confusione e nella calca sono entrato qualche minuto dopo i miei. Non solo: il mio reparto è stato travolto da quelli della squadra mobile e della Digos». Ma i referti medici riportati nella relazione lo smentiscono: perché 15 dei 17 agenti feriti appartengono proprio al suo reparto. Che dunque è stato il primo a reggere l'impatto del blitz. Per Canterini, ed è la sanzione più dura tra tutte, Micalizio propone il licenziamento perché «un capo ha il dovere di condurre gli agenti e non di seguirli».
Potrebbero sembrare delle fiction, ma purtroppo non lo sono, i tre rapporti dei superispettori. Raccontano di una battaglia perduta per disavvedutezza, imperizia, disobbedienza a una regola fondamentale: ogni operazione deve essere guidata da un capo e i capi si debbono comportare come tali. Si scopre così, sulla caserma di Bolzaneto, che l'ispettore Salvatore Montanaro ha additato proprio quella carenza. Ecco, agli atti, l'ordinanza del questore Francesco Colucci che nomina due responsabili del carcere provvisorio: sono il capo della Digos Spartaco Mortola e quello della Mobile Nando Dominici. «Ma né l'uno né l'altro - si legge nel dossier - hanno mai impartito direttive». E quindi dovranno rispondere, dopo i pestaggi e le violenze su tanti fermati, di «omissione di controllo e vigilanza».
Ma può capitare anche che un capo perda la testa e picchi in pubblico un manifestante: è successo al vice della Digos Alessandro Perugini che, come racconta l'ispettore Lorenzo Cernetig, viene sorpreso in una bella immagine mentre pesta una persona per terra. E proprio il dossier sull'ordine pubblico riserva altre sorprese: perché, con un lavoro certosino, sono stati ricostruiti i singoli episodi di violenza per strada cercando di risalire ai diretti responsabili. E poiché è impossibile individuare ogni singolo poliziotto, a essere puniti potrebbero essere i tanti funzionari che comandavano i pattuglioni.
Amare sorprese per il capo della polizia De Gennaro e il ministro Scajola. Come la meticolosa ricostruzione del blitz alla Diaz. Sono in molti a sospettare che quella perquisizione fu discussa già a Roma nel pomeriggio di sabato, ma il superispettore, a cui non spettava andare oltre Genova nel ricostruire la catena di comando, scrive che fu deciso perché il capo della Digos Mortola aveva avvistato «un centinaio di tute nere». Nessuno dei tanti capi, critica Micalizio, «ebbe dubbi su quella segnalazione». Ci fu una riunione in questura: vi presero parte il questore Colucci, il vice capo vicario della polizia Ansoino Andreassi, il capo dell'Ucigos Arnaldo La Barbera, il vice Gianni Luperi, il capo dello Sco Francesco Gratteri, il vice Gilberto Caldarozzi e i dirigenti locali. Si decise per il blitz. Subito dopo La Barbera diresse un briefing sulle modalità operative, invitò alla prudenza, vietò i lacrimogeni. Ma, «violando le norme per la polizia giudiziaria e l'ordine pubblico che obbligano alla presenza di un solo capo», quell'»armata Brancaleone» composta di tanti capi romani e genovesi partì alla volta di via Battisti. «Non c'era - dice la relazione - alcuna idea di come dovessero essere suddivise le responsabilità sul posto». La Barbera, con il casco in testa come raccontano testimoni, fu tra i primi ad arrivare, ma poi sparì durante l'operazione. C'erano in tutto 260 uomini, oltre ai funzionari: i 70 del reparto mobile, cento tra Mobile e Digos, 30 del Reparto prevenzione crimine, 60 Cc per il cordone esterno. Andò male da subito. Non cedeva il cancello di ferro e dalle finestre cominciò un lancio di oggetti. Ma non furono buttate le due molotov e questo, in fondo, dice qualcosa sulla non bellicosità di chi stava lì dentro. Forzato il portone, lo scontro si giocò in cinquesei minuti. Ma nessuno dei capi vide. La confusione si aggravò perché gli uomini non si conoscevano tra loro e non sapevano a chi rispondere. Il giudizio dell'ispettore è sintetico, ma senza scuse: «Ognuno avrebbe dovuto essere responsabile dei suoi, ma nessuno ha fatto quanto doveva, comandando il suo reparto, per evitare le violenze».
Inutile dirlo: c'è chi, sul posto, capì subito il guaio mostrando maggiore sensibilità, chi dovette aspettare la lunga sequenza delle ambulanze. Fu calato dalle finestre un telo con gli oggetti requisiti e questo fece gridare ad Agnoletto «C'è il morto» accrescendo la tensione. Il blitz si chiude all'alba, in questura, con la decisione di arrestare tutti i 93 presenti contestando l'associazione a delinquere, ma senza una valida prova. In questo, il superispettore ravvisa una responsabilità di Gratteri che, da capo dello Sco e investigatore esperto, avrebbe dovuto riflettere più degli altri. Alla fine parlano le richieste: censura e trasferimento ad altro impiego per La Barbera, procedimenti disciplinari per Gratteri, Luperi, Caldarozzi e via a scendere per «accertare e sanzionare le negligenze in relazione al grado e al luogo», trasferimento per il questore che «nella fase preparatoria non individuò i capi dell'operazione», licenziamento per Canterini. Richieste dolorose che, al di là dell'esecuzione, scatenano un quesito: ma se il G8 di Genova era così importante perché «quella squadra ha lasciato tanto a desiderare?».