Corriere della sera 1 agosto 2001
La ricostruzione

Assalto notturno alla scuola Diaz: operazione senza un comandante

di GIOVANNI BIANCONI

ROMA - Parlano le deposizioni e le relazioni di servizio, su quello che è accaduto a Genova nella notte tra il 21 e il 22 luglio, ma parlano anche i numeri. Quelli di chi stava all’interno della scuola «Armando Diaz» sono già noti: 93 occupanti, di cui 62 sono stati «refertati», cioè sottoposti alle cure dei medici per le lesioni riportate durante la «perquisizione». Poi ce ne sono altri meno noti, trascritti nella relazione sul blitz consegnata ieri al capo della polizia e al ministro dell’Interno, sui poliziotti rimasti feriti o contusi: sono 17, e il dato rilevante è che di questi 15 appartengono al primo Reparto Mobile di Roma. E’ importante, questo numero, perché è uno dei pochi elementi oggettivi che l’ispettore Giuseppe «Pippo» Micalizio - uno «sbirro» esperto che ha combattuto il terrorismo e Cosa nostra negli anni di piombo e delle stragi mafiose - ha avuto a disposizione per ricostruire quello che è accaduto all’interno della scuola. Un numero che svela come a guidare l’irruzione nell’edificio furono proprio gli uomini venuti dalla capitale e che per tutta la giornata, nonché il giorno precedente, aveva combattuto per le strade di Genova la battaglia del G8.Sono quelli che hanno affrontato la «resistenza» dei giovani che dormivano nella «Diaz» e che, probabilmente, per vincerla hanno picchiato più di altri.
A guidare quel gruppo era il primo dirigente di pubblica sicurezza Vincenzo Canterini, il quale ha riferito: «Coordinando l’operazione, il sottoscritto ha acceduto all’Istituto in una posizione retrostante, ma ciò non ha impedito di notare il forte contrasto opposto dagli occupanti agli agenti operanti». Il nome di Canterini è uno di quelli segnalati dall’ispettore Pippo Micalizio per l’apertura di un procedimento disciplinare che dovrà accertare meglio le singole responsabilità, e il ruolo suo e dei suoi uomini è una delle poche cose che l’indagine amministrativa è riuscita ad acclarare. Per il resto, ciò che più risulta chiaro è che sulla direzione dell’operazione di polizia poco o niente è chiaro.
A parte il gioco di parole, proprio questo è il punto centrale delle trenta pagine consegnate ieri a Scajola e a De Gennaro, dal quale l’ispettore fa discendere le sue conclusioni e le sue proposte: non si è riusciti ad accertare chi era il responsabile della perquisizione, il «direttore effettivo» dell’operazione. Questa è una mancanza grave, perché una delle prime regole, quando si muovono agenti e funzionari in divisa, è che ci sia «sempre e comunque» un responsabile. Probabilmente anche questa «grave carenza» ha determinato la degenerazione della perquisizione, proprio nel momento in cui s’è trasformata da operazione di polizia giudiziaria in operazione di ordine pubblico.
Una carenza addebitata in primo luogo, per lo meno come responsabilità oggettiva, all’autorità locale di pubblica sicurezza, cioè il questore di Genova Francesco Colucci. Lui alla «Diaz» non c’era, ma questa può essere considerata addirittura un’aggravante: in assenza di un’organizzazione predefinita e di un responsabile diretto, a maggior ragione la sua presenza sul posto sarebbe stata necessaria.
Sul questore viene fatta ricadere, sempre sul piano della responsabilità oggettiva, anche la scelta degli uomini da impiegare: quelli del Reparto Mobile di Roma erano forse i più immediatamente reperibili, ma viste le condizioni di stress in cui si trovavano era proprio necessario impiegare loro? E non era forse consigliabile attendere l’alba per intervenire nella scuola? Per queste e altre ragioni, l’ispettore inviato da Roma propone la rimozione del questore Colucci.
Sulla genesi dell’operazione, la ricostruzione di Micalizio non si discosta da quanto è emerso finora. Intorno alle 22,30 di sabato due auto della polizia furono aggredite da persone che sostavano nei pressi della «Diaz», circa duecento ragazzi «molti dei quali indossanti capi di abbigliamento di colore nero, simile a quello tipicamente usato dai gruppi definiti Black Bloc», come ha scritto un vice-questore che si trovava a bordo di una delle volanti. Nel giro di un’ora, fino alle 23,30, sono stati svolti gli accertamenti sui presunti occupanti dell’edificio dal capo della Digos di Genova, Spartaco Mortola. Qualche funzionario è andato a fare un rapido sopralluogo per studiare le modalità di intervento, e al suo ritorno è maturata la decisione di perquisire la scuola, «frutto di valutazione collettiva».
Nella sua relazione Micalizio dà atto che non c’è stata alcuna decisione di procedere ad una spedizione punitiva, né di usare le maniere forti; nessuna premeditazione, dunque, e nessun dolo per quello che poi è accaduto. Anzi, agli uomini inviati alla scuola sarebbe stato raccomandato di usare prudenza e cautela. Solo che poi la situazione è degenerata.
Al loro arrivo, «alle 23,30 circa», i poliziotti hanno trovato chiuso il cancello d’ingresso dell’edificio. Da questo momento comincia l’operazione «senza testa», cioè senza un dirigente che in loco
avesse il compito di dare gli ordini e farli eseguire, e proprio per questo l’ispettore ha rilevato altre responsabilità oggettive. Lì erano presenti il prefetto Arnaldo La Barbera, capo della polizia di prevenzione, e il suo vice, il questore Giovanni Luperi. Sono i dirigenti più alti in grado che hanno partecipato all’irruzione, e secondo Micalizio il loro comportamento «non è indenne da censure», evidentemente per non aver saputo prendere in mano le redini della situazione.
Sul loro conto ogni valutazione è rimessa nelle mani del capo della polizia e del ministro, mentre su un altro questore presente ai fatti ma arrivato dopo, il direttore dello Sco Francesco Gratteri, la relazione si limita a suggerire l’apertura di un procedimento disciplinare per acclarare le eventuali responsabilità; per lui come per gli altri dirigenti e funzionari che hanno partecipato alla «perquisizione», dal questore vicario di Genova al vice di Gratteri, ai numeri uno e due della Digos cittadina e altri ancora.
Al momento dell’ingresso nella scuola i poliziotti vengono «fatti oggetto» di lancio di sassi e altri «corpi contudenti». La ricostruzione esclude che siano stati sparati dei lacrimogeni all’interno dell’edificio - anzi, s’era esplicitamente stabilito di non farne uso - , e il poliziotto che ha ricevuto la coltellata al momento d’entrare nella scuola solo in un secondo momento s’è accorto di avere il giubbotto di protezione lacerato. Per questo non è stato possibile identificare l’aggressore che nel frattempo era accompagnato nel gruppo degli arrestati.
Sull’identificazione di chi ha picchiato e s’è lasciato andare alle violenze, la relazione non è in grado di fare luce, sia per le difficoltà oggettive sia perché su questo punto è in corso un’inchiesta della magistratura. Sulla durezza con la quale la polizia ha risposto alla pur «vigorosa resistenza» dei contestatori alloggiati alla «Diaz» parlano ancora una volta i numeri, oltre al sangue sui muri, sui corridoi e sui termosifoni.
Una pagina considerata non certo onorevole per il prestigio della polizia dall’ispettore Micalizio, che con le sue conclusioni suggerisce una strada per restituire all’istituzione di cui fa parte un’immagine migliore di quelle trasmesse da tutte le televisioni. Ma ora le decisioni spettano al prefetto De Gennaro e al ministro Scajola.
Giovanni Bianconi