La Repubblica 2 agosto 2001

La rivolta dei "celerini"
"Non ci faremo stritolare"

Una giornata nel Reparto Mobile di Roma sotto accusa per i pestaggi al G8

DANIELE MASTROGIACOMO


ROMA - «Sì, siamo arrabbiati. Molto arrabbiati. Non si vede? E lo siamo soprattutto con voi, della stampa e della tv. Con quelle immagini passate e ripassate per ore, giorni interi. Sempre le stesse. Adesso si parla solo della scuola e della caserma. Caserma e scuola. Dei ragazzi picchiati e immortalati dalle telecamere. Basta: siamo incazzatissimi e stufi. Ci stanno massacrando».
Tira aria da tempesta nel reparto mobile di Roma, la vecchia Celere degli Anni 60 e 70, i duri dell'ordine pubblico, gli agenti specializzati nel fronteggiare gli scontri di piazza. Un'atmosfera pesante che si avverte a pelle. Nello sguardo che ti fulmina appena ti qualifichi. Nei modi bruschi e sbrigativi. Nella gran voglia di dirla tutta, fino in fondo e nel timore, crescente, di pagare un prezzo troppo alto. Il capo, anzi il grande capo Vincenzo Canterini, il funzionario che rischia più di altri la mannaia del ministro degli Interni, non c'è. E se c'è non ha voglia di parlare. Soprattutto in queste ore, con il dossier degli ispettori spediti a Genova sul tavolo del ministro Scajola.
«Qualsiasi frase», spiegano i suoi uomini, «potrebbe essere interpretata in modo distorto. Quando la realtà delle cose è chiarissima. Non ha bisogno di spiegazioni. E' stata sotto gli occhi di tutti: si sa chi ha cominciato, chi ha scatenato tre giorni di guerriglia urbana, chi ha sfasciato vetrine, rovesciato e incendiato auto, negozi, banche».
Un momento, obiettiamo: bisogna distinguere tra le violenze di piazza, ampiamente documentate e l'incursione, notturna, alla scuola Diaz di Genova. Un gesto di stizza con la mano e una frase detta in un soffio di rabbia: «Lasci perdere. E' proprio questo modo di ragionare che esaspera gli animi». La discussione alterna ragionamenti pacati a momenti di insofferenza. Agenti e funzionari escono ed entrano dal portone. Si fermano, ascoltano, sbuffano, si allontanano. Qualcuno grida: «Siete sempre voi, della stampa». Cerchiamo qualcuno disposto a ragionare con freddezza a razionalità. Ma è un tentativo quasi impossibile. Persino i dirigenti sindacali, gli uomini che in questi frangenti riescono a sfoderare l'arma della moderazione e della mediazione, troncano sul nascere ogni discorso fuori dalla posizione ufficiale. Una posizione semplice ma chiarissima: «E' vergognoso buttare tutto questo fango sulle forze dell'ordine. La polizia è un'istituzione sana, autorevole e ha agito nell'interesse della collettività. Non siamo disposti a farci strumentalizzare».
Sono in corso molte iniziative, ci fanno sapere gli agenti. Raccolta di fondi, collette, consultazioni con legali. «Capisco e sono d'accordo», spiega Michele Alessi, segretario provinciale del Siulp e membro della direzione del sindacato di categoria. «Noi siamo i primi a voler fare chiarezza sui fatti di Genova. Ma non siamo disposti a mettere in discussioni ruoli e responsabilità». Ma in questo modo, osserviamo, c'è il rischio opposto: poca chiarezza e molta confusione. Gli episodi, e sono tre, vanno distinti. L'incursione alla scuola ha inquinato molto l'immagine della polizia.
I pestaggi sono documentati, ci sono centinaia di denunce, governi stranieri protestano per gli arresti giudicati illegali di molti loro concittadini. E sostenere che tutto è nato per una reazione spropositata, violenta e aggressiva, da parte di chi stava all'interno dell'edificio non ci sembra una difesa che regga il riscontro delle prove. «La magistratura sta indagando e trarrà le sue conclusioni», replica Alessi. «La stessa cosa stanno facendo i superispettori del ministero. Noi chiediamo solo di tutelare i poliziotti. I poliziotticittadini. I quali, anche loro, hanno riportato feriti, alcuni molto gravi. La cosa che ci fa più rabbia è assistere a questa speculazione, continua quasi ossessiva, nei confronti di tutti quegli operatori che hanno dovuto affrontare tre giorni di inferno. Non siamo disposti a farci stritolare, come professionisti e come uomini, in un meccanismo che non ci appartiene. I politici facessero i politici. Noi pensiamo a garantire la sicurezza di tutti. Lo abbiamo fatto, tra mille difficoltà, anche durante il vertice del G8». I risultati, tuttavia, non ci sembrano molto brillanti. «Se si riferisce a quel ragazzo morto, lasci stare», taglia corto il dirigente del Siulp. «E' stata durissima: una vera battaglia. Ma adesso è troppo facile scaricare le responsabilità».