Manifesto 27 luglio 2001

Ricerca della verità e scontro tra i partiti

I LACRIMOGENI DELLA POLITICA

di SERGIO ROMANO

L’opposizione chiede un’indagine conoscitiva sulle «repressioni poliziesche» di Genova e sulle responsabilità del ministro dell’Interno. La maggioranza approfitta della sua forza per saldare qualche vecchio conto: vuole la commissione d’inchiesta sull’acquisto delle azioni di Telekom Serbia, ripropone quella su Tangentopoli, vorrebbe una commissione sul dossier Mitrokhin (l’agente del Kgb passato in Occidente). Tutti dichiarano di volere la verità e ogni schieramento pretende la propria commissione o la propria indagine conoscitiva. Ma l’esperienza degli ultimi trent’anni dimostra che commissioni e indagini sono diventate nel Parlamento italiano strumenti di lotta e talvolta terreno d’intesa su cui barattare reciproci favori. La loro composizione riflette il rapporto di forza tra i diversi gruppi parlamentari. Il loro presidente non è sempre un arbitro imparziale, come in altri sistemi politici, ma spesso il rappresentante della maggioranza. Le conclusioni dei loro lavori riflettono le posizioni iniziali degli schieramenti e sono quindi scontate. Non terminano con la proclamazione della verità, ma generalmente con due verità contrapposte. La minoranza non riesce a prevalere, ma scrive la propria relazione e si serve dei lavori per dare maggiore visibilità alle proprie idee. E questo gioco inconcludente lascia in molti italiani, alla fine, un sentimento di incredulità e di sfiducia. Nel caso dell’indagine conoscitiva sui fatti di Genova esiste un altro rischio. Per trarsi dall’imbarazzo in cui si sono cacciati con le loro ambigue posizioni degli scorsi giorni, i Ds e alcuni loro alleati hanno deciso di interpretare certi episodi oggettivamente inquietanti di Genova (le perquisizioni, gli arresti, i maltrattamenti) come espressione di un governo autoritario, poliziesco, indifferente alla tutela dei diritti umani e capace perfino di «rappresaglie cilene», secondo la sorprendente definizione di D’Alema.
Vogliono processare il ministro degli Interni e il governo, ma mettono sul banco degli accusati, in tal modo, le forze di polizia. E trasmettono al Paese la sensazione che fra i due comportamenti - quello dei manifestanti in cerca d’incidenti e quello della polizia - il secondo sia più grave del primo. Non è vero. Gli eccessi della polizia, se saranno accertati, sono i riprovevoli errori di un corpo che difende l’autorità e la dignità dello Stato, l’ordine pubblico e l’incolumità dei cittadini. I responsabili devono essere individuati e puniti. Ma processare un intero corpo di fronte al Paese e intaccarne l’autorità mi sembra, per forze politiche che hanno governato l’Italia sino a pochi mesi fa, una singolare manifestazione di incoerenza e di leggerezza politica.
Non è tutto. Il ricorso a un’indagine conoscitiva in Parlamento diffonde la convinzione che l’Italia viva in stato di continua emergenza e non abbia istituzioni ordinarie e credibili, capaci di indagare, accertare i fatti, attribuire responsabilità. Il ministero dell’Interno ha l’obbligo di aprire un’indagine sul comportamento dei suoi uomini e di comunicarne i risultati al Parlamento e al Paese. I magistrati hanno l’obbligo di aprire azioni giudiziarie e di celebrare processi. E il governo infine ha l’obbligo di fornire la propria versione, di accettare il contraddittorio della opposizione, di provare al Paese che gli errori di Genova sono stati capiti e non verranno ripetuti. Per agire in questo senso Berlusconi può ispirarsi al modello inglese della Royal Commission: una commissione anch’essa, ma composta da tecnici, magistrati a riposo e personalità eminenti della vita pubblica, a cui viene chiesto di accertare i fatti e soprattutto di proporre rimedi. Toccherà poi al Parlamento discutere il suo rapporto e decidere quali proposte meritino di essere adottate. Ma il sistema presenta un notevole vantaggio. Anziché offrire al Paese due verità politiche, come nel caso delle commissioni parlamentari, gli offre una verità per quanto possibile tecnica e neutrale. Non è poco.