Manifesto 7 agosto 2001 La
zona rossa dei migranti
ROBERTO DEMONTIS, SANDRO MEZZADRA, MARIO PICCININI, FABIO RAIMONDI
Non è solo perché la questione dell'immigrazione si conferma essere
uno dei nodi centrali della dialettica del governo nero - come dimostrano assieme
la proposta di nuova legge e le reazioni da parte confindustriale che è necessario
ritornare sulla prima delle giornate genovesi. Oscurata dai media, sicuramente sovrastata
dai fatti drammatici del 20 e del 21, la manifestazione dei migranti fornisce infatti una
chiave utile e forse indispensabile per leggere l'insieme della dinamica politica delle
iniziative contro il G8. Diciamolo anzi con una certa enfasi: riteniamo che il corteo dei
migranti partito da piazza Sarzano il 19 luglio sia stato uno dei fatti politici
più importanti degli ultimi anni.
Vale la pena di ricordarne le ragioni. Innanzitutto, l'affermazione della centralità del
lavoro migrante azzerava ogni diatriba ideologica sulla globalizzazione, riportando al
terreno concreto di una realtà che ci dice che la globalizzazione c'è già stata e con
essa, con i corpi che vi vengono mobilitati e messi in attività - tra salario e no -, si
deve fare i conti. La "dialettica della miseria" che oppone liberismo e
protezionismo cede il passo alla realtà di un mercato del lavoro nei cui confronti ogni
immagine neo-liberista (apologetica o critica) è solo mistificazione e dove
trasformazione e conflitto investono tanto la dimensione economica quanto quella
politico-costituzionale degli stati.
Oltre la logica delle identità (e oltre e contro ogni ambiguo protezionismo comunitario),
la manifestazione del 19 poneva poi con forza una questione di soggettività politica che
si sottrae alla "congiunturalità" delle politiche governative sui flussi e
investe e interroga l'insieme delle figure del lavoro oggi. Inoltre essa abbassava il
tasso di "simbolizzazione" della scadenza genovese: nessuna ricerca di
visibilità comportamentale, nessuna distinzione tra "buoni" e
"cattivi", ma l'autosufficienza della propria materialità e delle proprie
indicazioni politiche.
Con le difficoltà di calendario, con la città blindata e con la polizia che a Genova
premeva per dissuadere gli immigrati, fossimo stati 20.000 sarebbe stato un trionfo:
eravamo 50.000, forse di più. Ci fosse stata solo qualche scaramuccia sarebbe stato un
successo: abbiamo marciato pacificamente per mezza Genova per ore in un corteo che
cresceva di continuo riportando al proprio interno molti che prima esitavano, soprattutto
tra coloro, i migranti appunto, che con la propria "zona rossa" si confrontano
tutti i giorni. La manifestazione del 19 assegna visibilità a una condizione d'esistenza
capace di avere valenza generale. Di imporsi, cioè, al di là delle differenze dei
gruppi, delle organizzazioni, delle identità e delle appartenenze, come il serbatoio
d'intelligenza viva che fa la ricchezza del movimento e la potenza di un nuovo soggetto
politico: fatto della convergenza di singolarità, della capacità d'unificazione dei
molti, di pratiche generiche di potenziamento e di liberazione collettiva. La condizione
dei migranti, in quanto figure universali della precarizzazione del lavoro e
dell'assenza di diritti nel tempo della sussunzione reale del lavoro al capitale proposto
dal modello di globalizzazione selvaggia perseguito dal G8; la discesa del lavoro negli
inferi della clandestinità, com'è nelle intenzioni di questo governo, significa annerire
il lavoro in genere facendo del lavoro nero la normalità: mai come oggi, infatti, è la
stessa condizione lavorativa ad essere oscurata e segregata, e mentre un silenzio
inquietante si stende sulla condizione operaia, l'accesso ai laboratori segreti della
produzione è interdetto ed essi sono sottratti alla luce dei riflettori della sfera
pubblica. Lo sfruttamento dei corpi e delle intelligenze che, nel perseguimento ossessivo
del profitto, ha ricadute sociali devastanti; la libertà di circolazione per le merci e
non per gli uomini, a meno che questi ultimi non siano disponibili ad accettare di essere
valutati anch'essi come merci: tutti questi elementi, che coinvolgono seppur a livelli
diversi lavoratori italiani e stranieri in questo Paese, sono la verità manifesta dal
corteo dei migranti.
Ma un altro elemento va considerato: la manifestazione del 19 è stata la più importante
manifestazione extraparlamentare da decenni. Il concorso generoso di Rifondazione
Comunista, la presenza determinante del servizio d'ordine della Fiom non ne mutano la
natura materialmente e politicamente estranea alle dinamiche di un sistema politico tutto
intriso di approccio regolazionista e la cui maggioranza poteva guardare al corteo con il
distacco poliziesco senza quelle che per il centro-sinistra sarebbero potute essere
pericolose concorrenzialità politiche, per intenderci, di tipo partenopeo. Ma alcuni
calcoli si sono fatti in fretta: 50.000 persone il 19 voleva dire in proiezione due,
trecentomila manifestanti nei giorni successivi.
Ciò significava per il sistema politico un mutamento o un'accelerazione di scenario,
ponendo un'ipoteca politica sulla prospettiva berlusconiana che dietro le profferte di
dialogo puntava sul controllo e sulla neutralizzazione della piazza, ma mostrando anche la
faccia disastrosamente autolesionista della supponenza ulivista. Basti vedere l'Unità
del giorno 20 dove solo la foto di un corteo imponente disturbava l'intervista al
distratto segretario virtuale della Quercia. Le convulsioni della firezione dei Ds ha
fatto il resto: l'adesione tardiva e politicamente reticente e prontamente rinnegata
l'indomani, ha scaricato sulle strade di Genova tutta la friabilità dell'opposizione
parlamentare: elemento non secondario per la scelta governativa di puntare il giorno 20 e
21 allo scontro frontale, facendo un uso massiccio della provocazione, disarticolando le
piazze e i cortei delle aree tematiche e costringendo in molti casi a forme improvvisate
di autodifesa, come nell'episodio in cui è stato assassinato Carlo Giuliani.
Il black block sta diventando uno dei perni di una debordante immaginazione
mediatica, ma qualche suo figurante sta certo in parlamento. Di che colore è il
passamontagna di chi ancora ieri rimproverava in parlamento a Berlusconi di non avere
blindato anche la zona gialla. Come va definito chi cerca - anche oltre le intenzioni - di
ridurre le giornate di Genova a una questione di gestione dell'ordine pubblico e misura su
questo metro il rapporto tra democrazia e movimento?
Sulle giornate di Genova si ragionerà a lungo. Bisognerà farlo a mente fredda,
comprendendone la dinamica e le scansioni, sapendo che il dopo-Genova è già cominciato,
probabilmente già la notte tra il 21 e il 22, in via Cesare Battisti. Il movimento che vi
si è espresso ha comunque un carattere di radicalità che riapre dopo decenni spazi di
comunicazione politica e investe la questione delle generazioni e le cronologie
dell'esperienza politica (chi insegna a chi?). E' una radicalità che va oltre la sua
condotta e le sue parole e proprio per questo ha bisogno di darsi condotta e parole. Di
ciò si dovrà tenere conto ragionando della forza e dei limiti, della forma e della
composizione, del movimento. Ripartire dal 19 vuol dire riconoscere la scena complessiva
in cui esso si colloca.
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