Manifesto 26 luglio 2001 L'ultimo
saluto a Carlo
Circa duemila persone ai funerali del giovane
ucciso con due colpi di pistola sparati da un carabiniere negli scontri di venerdì
scorso. Sul feretro, una bandiera giallorossa. Dagli amici rose rosse, una poesia, una
canzone ("Il viaggiatore"), qualche ricordo e due birre da sorseggiare. La sua
vita
AUGUSTO BOSCHI - GENOVA
Sono le nove e mezza e davanti al cimitero monumentale di Staglieno c'è
già una piccola folla. Davanti alle mura che circondano il cimitero considerato, dopo il
Père Lachaise di Parigi, il più bello d'Europa, è stato allestito un palchetto con un
microfono. E' un funerale laico e non religioso, e quindi il feretro non andrà in chiesa
e il ricordo di Carlo sarà affidato agli amici e ai parenti che parleranno dal palco.
Quando le lancette dell'orologio segnano le dieci, lo spiazzo davanti all'entrata laterale
di Staglieno è gremita. A occhio e croce 1.500 persone, forse di più. Amici, semplici
conoscenti, ragazzi e ragazze che Carlo non lo hanno mai conosciuto, uomini con la camicia
e donne già in là con gli anni che si mischiano alle treccine e ai tatuaggi tribali.
Giornalisti, con le telecamere puntate e i microfoni alzati a cogliere un mattino senza
slogan, occupato solo dalle parole a mezza voce di chi ha qualcosa da ricordare, un
episodio da raccontare, un frammento esiguo della breve vita di Carlo da condividere con
gli altri. Poi arriva la bara, salutata da un applauso, e un amico la copre con una
bandiera della Roma. "Ma cosa c'entra il calcio con la politica?", si chiede
qualcuno. Niente, con la politica non c'entra niente. Ma c'entra con la vita di un ragazzo
come tanti, con le passioni, i limiti e gli slanci di milioni di suoi compagni. Sopra la
bandiera giallorossa un drappo dipinto con un paesaggio siderale, e a coprirlo un mazzo di
rose rosse alle quali una ragazza ne aggiunge un'altra. Si resta in piedi, sotto il sole,
mentre gli amici decidono se portare la bara sotto il palco a spalla o usando il carrello.
Alla fine la trascinano fendendo la folla e il primo degli amici di Carlo sale sul palco:
"L'ho conosciuto al liceo, poi abbiamo preso strade diverse, ma mi ricordo la sua
ansia di conoscere. Tutti quelli che l'hanno conosciuto come me sanno quanto era grande la
sua voglia di impegnarsi e la sua generosità. La cosa che gli piaceva di più era
aspettare fuori dalla scuola e aspettare, seduto sul muretto, i suoi amici per parlare di
un po' di tutto e dei suoi genitori, di cui andava fiero. Il suo impegno era in tutti i
campi: infatti aveva scelto di fare l'obiettore di coscienza e prestare il servizio civile
ad Amnesty international". Il discorso continua, il suo ex compagno di scuola
parla di come le diversità non spaventassero Carlo e di come non lo allontanassero dagli
altri. E come esempio, viene letta una lettera scritta da un frate, un suo amico che aveva
però compiuto scelte radi
calmente differenti dalle sue: "Carlo era capace di stare in mezzo alla gente della
strada, aveva una grande angoscia per le ingiustizie del mondo. Era bisognoso e pronto al
dialogo con tutti e sempre. Ha cercato di percorrere le vie più diverse per soddisfare la
sua esigenza di giustizia. Ricordo il suo impegno a scuola come rappresentante degli
studenti, presente nelle comunità e nei centri sociali, la sua collaborazione con Amnesty
international, una generosità che ha dimostrato anche nella vita privata. Sono
innumerevoli i momenti in cui ha dimostrato sentimenti e altruismo fuori dal comune. Era
un cuore grande e un po' tormentato. Ricordo il sincero abbraccio fraterno che mi diede
mentre io stendevo un po' formalmente la mano. Le circostanze drammatiche che hanno posto
fine alla sua ricerca di giustizia ci riportano a una ricerca nuova, non violenta, con la
disponibilità al dialogo fra i diversi che lui altre volte ci aveva mostrato. A chi ha
avuto la fortuna di conoscerlo resta la sua amicizia".
"Come sua madre era il più piccolo tra tutti i cugini; come sua madre aveva un cuore
grande come una montagna; di suo padre aveva la determinazione: per la testardaggine non
aveva che l'imbarazzo della scelta". Tocca al cugino il compito di ricordare Carlo:
"Sapeva amare; la sua perdita è incommensurabile, inconcepibile, insopportabile.
Dentro di sé aveva molta rabbia perché non poteva sopportare l'ingiustizia. Il dolore
aumenta la rabbia e la rabbia aumenta il dolore". Un fotografo si arrampica fin sopra
il muro di cinta per fare alcuni scatti della bara e della folla: si alzano le mani degli
amici, infastiditi, lo invitano a scendere.
Un suo amico, un ragazzo che era con lui quel giorno, a piazza Alimonda, lo ricorda così:
"Ho un bambino piccolo e sono separato dalla mia compagna. Carlo conviveva a volte
con loro due e un giorno mi ha detto: 'Sai? Tuo figlio mi è corso incontro e mi detto:
ciao. Sono più felice che se avessi trovato un milione per strada". C'è una poesia,
da leggere: "L'ho scritta prima che succedesse tutto questo, a Carlo era piaciuta
molto", spiega l'amico che arriva con la voce commossa all'ultimo verso:
"Bizzarri questi normali umani e se dio esiste veramente non può non vergognarsi per
questo teatro senza estro e fantasia. Chissà se anche lui ha qualche rimorso, qualche
rimpianto".
Sul palco sale Giuliano, il papà, e la piazza lo ascolta, in silenzio. Ascolta, seduto in
prima fila, don Andrea Gallo. Ascoltano i rappresentanti del Gsf: Vittorio
Agnoletto, le Tute bianche; i compagni della Cgil del padre Giuliano; il vicesindaco
Claudio Montaldo e la presidente della Provincia Marta Vincenzi; Piero Bernocchi dei Cobas
e i rappresentanti di Rifondazione in Regione e in Comune Nesci e Bruschi. Ascoltano in
silenzio, senza bandiere e senza striscioni.
"Grazie a chi ha telefonato, scritto, ci ha stretto la mano e ci ha riempito di
teneri abbracci", dice Giuliano: "Ma soprattutto voglio ringraziare Carlo che
nella sua vita breve ci ha dato tante cose e tanto ci ha dato in questi giorni. La forza
di stare in piedi, di continuare a parlare, cercare di ragionare. Ci ha regalato l'affetto
di tutti voi, ci ha fatto rincontrare amici cari che per vicissitudini della vita avevamo
perso; ci ha fatto ritrovare la forza delle idee, dei pensieri, di conoscere di più i
suoi amici. Ci ha, mi ha insegnato delle cose. Ho imparato che non si deve giudicare un
ragazzo per la maglia sdrucita, il pantalone bucato, le scarpe rotte, le treccioline che
ha in testa, il piercing che ha sul viso. Perché sotto quelle maglie sdrucite e quelle
treccioline ci sono cuori pieni, teste che pensano, tanta voglia di fare e un'insaziabile
sete di giustizia. Le cose che vogliamo sono le stesse: un mondo migliore, persino meno
schifoso". Il discorso viene interrotto dagli applausi della gente. Un suo amico
accorda la chitarra e intona, con la voce spezzata, una canzone dal titolo "il
viaggiatore". Poi la bara viene portata dentro le mura. Alcune mani vi posano sopra
un pacchetto di sigarette, dei bigliettini, due bottiglie di birra. Chi passa, può bere
un sorso: se Carlo potesse, sarebbe lui a offrirlo.
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