di Gian Enrico
Rusconi «LEuropa vuole la verità su Genova» - scrivono
polemicamente alcuni giornali italiani. «Sono i giornali a protestare, non i governi
europei, che si limitano a chiedere soltanto informazioni» - così replica il ministro
Ruggiero. E una risposta infelice, da diplomatico nel senso più convenzionale della
parola. Come se il vertice di Genova non fosse stato concepito originariamente, in
analogia con tutti i G8, come un grande evento mediatico, compiacenti tutti i capi di
governo convenuti. Come se questi capi di governo non fossero stati avvertiti - dopo le
cattive esperienze precedenti, in particolare dopo quella di Göteborg - dei pericoli che
correva il vertice di Genova.
Qui sta la grande leggerezza di tutte le autorità politiche e di polizia non soltanto
italiane ma anche europee. A Genova infatti, in occasione di un evento pubblicizzato e
realizzatosi come fatto transnazionale, si è visto che lordine pubblico non è più
un bene di competenza nazionale, ma è diventato letteralmente un «bene comune» europeo.
E sacrosanto che si presentino davanti al giudice quei rappresentanti delle forze
dellordine che sono responsabili di inaccettabili comportamenti, documentati anche
sugli schermi televisivi di tutto il mondo.
Ma questa azione di giustizia non dovrebbe certo essere compiuta soltanto per dare
soddisfazione ai nostri amici europei. Vorremmo anzi che essi stessi chiedessero ai loro
governi e alle loro autorità di polizia che cosa hanno fatto di concreto per mettere la
polizia italiana nelle condizioni migliori di agire con efficacia. Sappiamo che lelemento
scatenante della violenza a Genova, nella prima fase, è imputabile allazione di
estremisti militarizzati, parecchi di nazionalità tedesca. E inspiegabile lincapacità
delle forze di polizia di contrastare questo gruppo militarizzato la cui presenza era
prevista e annunciata da tempo sui giornali. Si è fatto tutto il possibile da parte delle
autorità tedesche e italiane per prevenire il prevedibilissimo comportamento del
cosiddetto «blocco nero»?
Non cè stato qui il primo fatale errore di valutazione? E stato un errore
condiviso dalle polizie dei due Paesi. A disastro avvenuto, si è capito che lordine
pubblico a Genova non poteva essere garantito spezzando la città tra unarea
riservata alla politica (recintata a «zona rossa») e ad unarea di parcheggio,
riservata ai movimenti dei dimostranti. Questo modello è stato reso obsoleto dallattualità
e dallurgenza stessa dei problemi dibattuti e dalla carica motivazionale dei
manifestanti. Per questo è bastata la presenza del ristretto gruppo degli estremisti
militarizzati per far detonare il tutto. Poi, purtroppo, cè stata la seconda fase:
quella del pestaggio dei manifestanti inermi e la violenta perquisizione della scuola.
Quasi impotente vendetta postuma. Lanalisi fatta sin qui evita intenzionalmente di
far intervenire affrettate spiegazioni politico-ideologiche per quanto è successo. Questo
vale anche per alcune letture «politiche», che vengono fatte in questi giorni allestero
sui fatti di Genova.
Con faciloneria si suggerisce un rapporto diretto tra la nota inefficienza italiana (in
questo caso delle forze dellordine), con residui di immaturità democratica
(comportamenti fascistoidi di alcuni poliziotti) e la presenza di un governo di
centrodestra, già in sospetto per altri motivi. E un ragionamento a corto circuito
che può far piacere a qualche commentatore italiano ma che non soddisfa. Forse però
così si spiega lattuale singolare congiuntura dellEuropa nei confronti dellItalia:
ritegno dei governi e loquacità della stampa. |
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