Manifesto 26 luglio 2001 Ripartiamo
dal sociale
Dopo Genova: costruire legami e rapporti
forti, solidali, democratici. Antiliberisti
PIERLUIGI SULLO
Qual è il passo successivo? In giro per il paese, nelle città, stanno
avvenendo, all'indomani delle giornate di Genova, due cose contemporanee. Da una parte, ci
sono da governare gli effetti di quel che è accaduto. Si sta organizzando, ad esempio,
una gigantesca raccolta di testimonianze (buona parte delle quali, quelle raccolte dal
manifesto, Radio popolare e Carta, si potranno leggere sul sito www.mir.it)
per smentire le menzogne della polizia e di Scajola. Poi, ci si prepara a una possibile,
nuova ondata di denunce e arresti, che potrebbero colpire i più esposti tra chi ha
lavorato per il Genoa social forum. In questi giorni è in corso, sui media liberisti e da
parte del governo, un tentativo di linciaggio della figura pubblica di Vittorio Agnoletto,
dipinto come "leader" di un raggruppamento di "fiancheggiatori" dei
violenti. Ora, Vittorio è uno del movimento, medico e della Lila, che ha prestato la sua
voce e la sua faccia alle necessità di tutti quanti. Se colpiranno lui, colpiranno tutti.
E questo vale naturalmente per qualunque altro compagno.
Le manifestazioni di martedì sono state, anche in questo senso, un grandissimo sollievo.
Non solo erano enormi, in ognuna delle decine di città in cui si sono tenute, ma avevano
un tono preoccupato e indignato, non vendicativo e aggressivo. E' il segno che il
movimento, nonostante l'intollerabile aggressione, non si lascia trascinare nel gioco
della guerra. Abbiamo, credo, tutti sottovalutato la tattica scelta dal governo e dalla
polizia. Per esempio, abbiamo pensato che a fare quella scelta siano state le autorità
italiane da sole, quando si dice che esisteva una "sala operativa", in un certo
luogo di Genova, sostanzialmente diretto da funzionari dei servizi nordamericani. Quando
diciamo che il comportamento di poliziotti e carabinieri è stato "cileno",
diciamo una cosa parziale: è stato invece più simile alla gestione della piazza che le
polizie nordamericane fanno nei confronti dei "riot" nei ghetti metropolitani.
Per la prima volta, in Italia, un'opposizione sociale capace di portare in piazza 300 mila
persone è stata trattata come un "disturbo" da eliminare, senza alcuna
mediazione, né politica né fattuale. I tipi che governano l'Italia non sono
"fascisti", sono peggio: sono liberisti.
Ma, se questo è vero, sarebbe un errore terribile pensare di affrontare un combattimento
frontale, di strada e politico, partecipando per di più agli show organizzati dai media
liberisti. Giornali e televisioni, nonostante le vistose crepe che si sono aperte tra i
giornalisti (testimoni e malmenati), hanno avuto un ruolo decisivo nel montare il
"set" di un film che non era "Beautiful", come dice Massimo Cacciari,
ma appunto la rivolta di Los Angeles (e per questo è stato così importante il lavoro dei
nostri media, non per caso bersaglio finale dei rastrellamenti).
Una seconda cosa però sta avvenendo. E' come se, nelle città e nelle piazze, nelle
associazioni e nelle mailing lists, fosse in corso una gigantesca "assemblea" in
cui, oltre a chiedersi come difendersi, ci si domanda in che direzione fare il passo
successivo: anche noi di Carta ne abbiamo discusso per un pomeriggio, tornati da
Genova, e vorremmo quindi fare il nostro "intervento"
nell'"assemblea".
Il nuovo movimento antiliberista è tanto enormemente cresciuto, tra l'altro frantumando i
Ds e incrinando vistosamente l'atteggiamento da "né aderire né sabotare"
(tragica tradizione: dalla prima guerra mondiale al '68) del segretario della Cgil
Cofferati, perché si è creato un nesso tra le organizzazioni sociali diffuse, e i
giovani e giovanissimi che le riempiono, e il grande popolo di sinistra e solidarista
cattolico. Ed è riuscito a creare questo nesso perché è diverso da ogni altro movimento
sociale del passato; è figlio legittimo del nuovo secolo e del mondo globalizzato. Questo
movimento non cerca di competere per il governo o il potere, in qualunque forma questo si
sia fatto in passato; pensa piuttosto che la democrazia vada ricreata nei luoghi in cui la
gente vive, nelle città. Non rivendica alcunché da chi, i governi, è a sua volta
soggetto all'imperio dell'economia; crede piuttosto che il legame sociale, e altri modi
dell'economia vadano sperimentati in modo diffuso. Non compare nel "dibattito
pubblico" fasullo che forze politiche e media inscenano ogni giorno; si organizza
invece per riaprire spazi pubblici cittadini e transnazionali. Non promuove una
organizzazione "nazionale" e "verticale"; si organizza piuttosto come
un reticolo, che certo ha la necessità di collegamenti nazionali e internazionali, e di
elaborare strategia e progetto (in questo senso, l'esperienza di lavoro collettivo del
Genoa social forum è preziosa e su di essa si dovrà riflettere a fondo), ma cerca questo
esito attraverso l'inclusione, il dialogo, il laborioso cammino della democrazia e del
dubbio. Il movimento ignora i tempi istantanei della coscienza contemporanea; al
contrario, ha un suo proprio orologio, sa coltivare la memoria e immaginare il futuro.
Se ci si immagina di scontrarsi con il potere usando le sue armi, nelle piazze e nei
media, si è già sconfitti. Il movimento sarà invincibile se, di ritorno da Genova,
saprà rinsaldare le coalizioni locali, i tanti "social forum" nati per
preparare la protesta contro il G8, facendone una presenza influente nelle città, diffusa
in ogni quartiere, con i suoi messaggi, la sua critica degli effetti del liberismo, la
controinformazione su Genova e le sue pratiche inclusive. Dobbiamo re-immergerci nella
società, sparire alla vista del potere e dei media, che letteralmente non hanno occhi per
vedere al di sotto del mondo di plastica che si sono fabbricati.
Questo non significa non consolidare "presidi sanitari": sul piano legale, del
rapporto con l'opposizione politica (che ha il suo proprio compito), o della
documentazione degli eventi, o ancora del rapporto con i media. Significa però che nelle
città, nelle scuole e università, nei luoghi di lavoro, nelle campagne e ovunque
possibile si devono consolidare legami, accumulare esperienze nuove, riflettere sul nuovo
scenario che Genova ha presentato: di modo che si possa convocare in autunno un Forum
sociale che sia preparatorio a quello mondiale di Porto Alegre e, al tempo stesso,
pienamente italiano, in cui non si discuta solo di repressione, ma del suo opposto, la
democrazia.
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