Manifesto 5 agosto 2001

Indagini a tutto campo, nessun indagato
Superpoliziotti cacciati, interrogatori a raffica e accuse reciproche tra le forze dell'ordine. Ma la verità è ancora lontana
ALESSANDRO MANTOVANI

Prima le orribili immagini dei ragazzi portati via in barella dalla scuola Diaz, coperti di sangue, dopo il massacro a freddo chiamato perquisizione. Poi il terremoto che ha squassato il vertice del dipartimento di Ps, la cacciata dei prefetti Andreassi e La Barbera e del questore di Genova Colucci. Era inevitabile che l'attenzione di poliziotti, magistrati, giornalisti e politici si concentrasse subito - e forse troppo - sulla maledetta notte di sabato 21, sull'irruzione misteriosa nelle scuole Diaz e Pertini, sui 61 feriti, sui computer di avvocati e giornalisti fatti a pezzi dagli agenti, sui 93 fermi che i giudici hanno poi dichiarato illegittimi rifiutandone la convalida per tutti tranne uno.
Quell'azione brutale, violenta, compiuta ben oltre la conclusione del G8 e delle manifestazioni, doveva per forza moltiplicare le accuse e gli interrogativi, fino a mettere in secondo piano le violenze in piazza e la morte di Carlo Giuliani, due giorni di guerra con 600 feriti e 280 tra fermi e arresti, perché aveva l'aria di un'operazione discussa, pianificata e organizzata: il contrario di un incidente. Eppure, non solo grondava sangue, faceva pure acqua da tutte le parti: motivazioni, dinamica e responsabilità di comando sono un giallo, le relazioni di servizio dei poliziotti si contraddicono l'una con l'altra tra reciproche accuse. E tuttora non si capisce quale sia stato il ruolo del capo della polizia De Gennaro, né quando e come sia stato informato il ministro Scajola.
Incautamente il pm Francesco Pinto, di turno quella notte alla procura di Genova, espresse le sue perplessità, se non altro sulle imputazioni per associazione a delinquere formulate a caldo nei confronti dei ragazzi aggrediti nel sonno nella scuola Pertini. In genere quei capi d'accusa sono il prodotto di accurate indagini, osservò Pinto, ricavandone l'estromissione dall'inchiesta. Ma poi i suoi superiori e i suoi colleghi - il procuratore capo Meloni, l'aggiunto Lalla, e via via i sostituti Canepa, Pellegrino e tutti gli altri - su quel blitz hanno continuato a lavorare, interrogando i tredici funzionari presenti e ordinando fin dal primo momento la consegna della lista con i nomi dei settanta agenti impiegati nell'irruzione, quelli del reparto mobile romano.
Sulla pequisizione si è concentrato subito anche Giuseppe Micalizio, di fatto il coordinatore del trio di ispettori incaricati dal capo della polizia di condurre l'inchiesta interna. Il prefetto Arnaldo La Barbera, chiamato a dirigere l'Ucigos (antiterrorismo) dopo una vita di lotta alla mafia, tra appostamenti e sparatorie, è stato rimosso dall'incarico perché era presente al blitz, ma finora nessuno ha chiarito le sue responsabilità, nemmeno in parte. Lo stesso vale per Andreassi, vicario del capo della polizia De Gennaro e super-commissario per il G8, e per il questore Colucci, che hanno partecipato su sponde opposte al presunto scontro verbale tra "falchi" romani e "colombe" genovesi. E vale anche per Francesco Gratteri, capo della polizia criminale (Sco): i suoi uomini erano lì e c'era anche lui; di più, il suo vice Giampiero Calderozzi ha svolto un ruolo importante nella preparazione del blitz alla Diaz e nella prima fase del suo svolgimento, che probabilmente è iniziato con lo sfondamento di una porta secondaria ben prima che la celere aprisse la principale. Nella relazione degli ispettori, infatti, il comportamento di Gratteri è definito "censurabile", ma nessuno l'ha censurato: né Scajola, né tantomeno De Gennaro, di cui Gratteri è il giovane pupillo.
Sulla perquisizione l'unica cosa chiara è che non c'è niente di chiaro. Nemmeno gli obiettivi. Cercavano armi? Così hanno detto, se non altro per giustificare il ricorso al testo unico delle leggi di polizia (art. 41) e quindi l'irruzione senza mandato del pm. Cercavano black bloc o addirittura latitanti? E' stato detto anche questo, con tanto di riferimenti alle segnalazioni di infiltrati presenti alla Diaz. Ma a chi rispondevano questi infiltrati? E cosa hanno segnalato esattamente? Menzogna e reticenza sembrano la regola: all'inizio la polizia aveva detto che la perquisizione è scattata dopo una sassaiola contro auto della Digos, poi pian piano le versioni sono cambiate anche perché non si trovavano macchine ammaccate. E alla fine il rapporto di Micalizio, nelle indiscrezioni arrivate ai giornali, ha concluso con l'inquietante giudizio circa "l'assenza di un comandante" nel blitz, causa ritenuta prevalente degli "errori" e delle "omissioni" che l'ispettore stigmatizza. E' mai possibile che la polizia agisca in quel modo senza precise responsabilità operative e senza che ne rispondano il ministro degli interni e De Gennaro?
Il blitz ha dunque focalizzato l'attenzione di inquirenti e osservatori. Ma i fatti di Genova sono ben più complessi, forse ne sapremo qualcosa solo tra dieci anni. Subito dopo la Diaz è venuto fuori un altro capitolo agghiacciante: Bolzaneto, la caserma degli orrori, il pestaggio sistematico e le umiliazioni, fino alla tortura, nei confronti di manifestanti già arrestati. C'è voluta la testimonianza anonima di un poliziotto, intervistato da (La Repubblica), per far emergere le responsabilità del Gom, il gruppo mobile della polizia penitenziaria, accusato di essere il reparto speciale dei picchiatori. Sulle prime la presenza del Gom è stata negata risolutamente, poi i vertici dell'amministrazione penitenziaria (Dap) hanno ammesso che quattro o cinque di loro forse c'erano e infine hanno riconosciuto, dichiarandolo anche ai giudici, che i Gom in servizio a Genova erano ben 140. Tra qualche settimana cos'altro dovremo scoprire?
I magistrati cercano responsabilità penali, personali per definizione. La prima delle otto inchieste penali aperte a Genova riguarda i pacchetti bomba spediti alla vigilia del G8 al Tg4, alla Benetton di Treviso e soprattutto alla caserma dei carabinieri di San Fruttuoso, dove il militare che aprì il plico rimase seriamente ferito. Un secondo fascicolo concerne l'omicidio di Carlo Giuliani in piazza Alimonda: il carabiniere che ha fatto fuoco è indagato per omicidio volontario. Sui fatti della Diaz le inchieste sono due: quella sui reati contestati agli occupanti, per lo più resistenza e violenza a pubblico ufficiale, e quella che ipotizza per agenti e funzionari l'abuso d'ufficio e le lesioni, ma su questo versante non ci sono indagati, solo persone informate dei fatti sentite in quanto tali dai pm. Si tratta dei tredici funzionari presenti, da La Barbera a Gratteri al questore Colucci e ai capi della Digos Spartaco Mortola e Alessandro Perugini, nessuno dei quali ha confermato la versione del collega: siete entrati prima voi, no prima voi. Esiste poi una specifica indagine sulle violenze delle forze dell'ordine a Bolzaneto e nelle piazze: potrebbe travolgere tra gli altri il vicecapo della Digos genovese Perugini, sorpreso da una telecamera durante i cortei mentre infieriva a calci su un manifestante già a terra, e chissà quanti altri tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e Gom, che però entrano in azione soprattutto a volto coperto rendendo "difficile se non impossibile" -a giudizio degli stessi dei magistrati - l'individuazione dei responsabili. Altri due fascicoli riguardano le devastazioni e i saccheggi del black bloc e la discussa raccolta di immagini e testimonianze a tutto campo. Infine, l'ottava inchiesta è quella annunciata ieri su ritardi e omissioni del comando delle forze dell'ordine durante le manifestazioni, di cui riferiamo in questa pagina.
Saranno indagini lunghe, complesse, anche a prescindere dalla volontà dei magistrati genovesi che in qualche caso si sono mostrati un po' troppo morbidi e rassegnati ai misteri. Anche su di loro c'è un'indagine aperta al Csm: riguarda le palesi violazioni del diritto alla difesa, il blocco dei colloqui con gli avvocati dei fermati e degli arrestati.
Rapidissima, invece, è stata l'inchiesta interna del Viminale affidata a Micalizio, Lorenzo Cernetig e Salvatore Montanaro, che come si è detto si sono concentrati sui fatti della Diaz. Gli ispettori ricercavano responsabilità gerarchiche, per questo una volta concluso che alla Diaz non c'era un comandante è arrivata la mannaia del ministro: via Andreassi, vice di De Gennaro e supercommisario per il G8 nominato da Scajola, cioè il numero uno dei poliziotti spediti a Genova; via La Barbera, il più alto in grado alla Diaz; e via Colucci perché, come ricorda egli stesso, il questore è comunque la suprema autorità di ordine pubblico, chiamato a rispondere di quanto avviene anche se la questura - secondo Colucci e non solo - era di fatto commissariata da Roma. Ma senza mettere in dubbio la serietà dei tre superpoliziotti e del loro lavoro, è chiaro che le responsabilità vanno ben oltre. E non certo perché coinvolgono Vincenzo Canterini, il capo della celere romana addestrata alla guerriglia nel campo di Ponte Galeria, per il quale il procedimento disciplinare potrebbe concludersi con l'espulsione dalla polizia, o il "picchiatore televisivo" Perugini o magari anche Gratteri e il suo vice allo Sco. Le vere responsabilità hanno carattere politico e riguardano l'intera organizzazione dei servizi di ordine pubblico nei giorni del G8, investendo la catena di comando delle forze dell'ordine ma anche il ministro dell'interno e il governo nel suo complesso. La militarizzazione della zona rossa, l'ordine di marciare compatti battendo sugli scudi, di caricare indiscriminatamente manifestanti inermi, di "fare - come hanno raccontato molti poliziotti - più arresti possibile. E poi l'impiego di infiltrati (legittimo, a patto che si spieghi a cosa servono) e di armi da fuoco, non solo in piazza Alimonda e non solo contro Giuliani. Quali ordini sono stati dati? Che ruolo hanno avuto la Cia, citata da Scajola a proposito della segnalazione di cinquemila block bloc (e già sono fioccate le interrogazioni parlamentari), e i servizi segreti stranieri? Qualcuno dovrà indagare su quanto avvenuto in piazza, non solo sul disastro della Diaz. Di sicuro non lo farà il Viminale e forse, pare di capire, non lo farà fino in fondo la procura di Genova. Toccherebbe al comitato parlamentare d'indagine, che magari finirà per indagare sui proclami di Luca Casarini, sulle fantomatiche catapulte di cartapesta e sulle accuse di aver coperto i violenti rivolte a Vittorio Agnoletto e ai parlamentari di Rifondazione.