Corriere della sera 28 luglio 2001
LE TECNICHE

Messaggi in codice e shopping anarchico

Loro lo chiamano «shopping anarchico». Un negozio dopo l’altro, sfasciando meticolosi vetrine, oggetti e prodotti, distruggendo i simboli del capitalismo. Smash. Rimbomba il verbo-slogan in inglese, come incitava uno striscione a Genova: fracassare al rullo dei tamburi le incarnazioni della proprietà privata, frantumare «bersagli strategici» come banche, sedi di multinazionali o di immobiliari, automobili di lusso. Il Black Bloc, il «blocco nero» anarchico ed estremista, sembra inafferabile fin dalla definizione: i primi a usare la parola furono i poliziotti tedeschi negli Anni Ottanta per identificare gli Autonome n più agguerr iti, ma adesso gli studiosi dei movimenti antagonisti dibattono sull’uso corretto di quel termine. Plurale o singolare? E quale articolo: un Black Bloc o il Black Bloc ? Nei manifesti diramati via web dai ribelli vestiti di nero, la formula preferita è «un Black Bloc». Perché durante le contestazioni la formazione di questi drappelli è instabile, fluida, dinamica. Pensata per adattarsi alle situazioni di guerriglia urbana, pronta ad adeguarsi al caos. Le piccole squadre di teppisti che si lanciano nei disordini, preparano blocchi stradali, innalzano barricate sono chiamate «gruppi di affinità». Un insieme di individui (o meglio «individualità») «che si radunano in modo quasi spontaneo a un dato segnale e si organizzano sul campo per azioni di protesta: la tattica usata da un Black Bloc viene decisa da chi ne fa parte».
Ma la strategia complessiva è stata stabilita da tempo su Internet, con scambi di messaggi criptati: quando calano su una città i Black Bloc parlano di «campagna» e qualcuno sospetta una regia internazionale. Sul terreno di battaglia, indossano caschi da moto neri, maschere nere (la divisa classica prevede il passamontagna con sopra occhiali da sci, più protettivi) perché vogliono «essere anonimi ed egualitari». Ma soprattutto per impedire alla polizia di identificare con le telecamere chi commette violenze o atti di vandalismo: «Indossare un foulard non è una questione di romanticismo rivoluzionario, è una triste realtà. Il Grande Fratello ci guarda».
In teoria, un blocco nero prova a evitare combattimenti diretti con le forze dell’ordine: «Il gruppo di cui ho fatto parte a Genova - racconta un italiano in un forum su Internet - si muoveva con la banda musicale al seguito e ha applicato una scrupolosa tecnica di blocco della strada dietro di sé per evitare l’arrivo della polizia alle spalle e puntando in direzione opposta a dove si vedevano divise schierate. Abbiamo preferito le azioni verso le banche e simili allo scontro frontale». L’obiettivo di un Black Bloc può anche essere «liberare» per qualche ora territori nella città, costituire delle Taz (le Zone Temporaneamente Autonome inventate dal filosofo Hakim Bey) dove la presenza del capitalismo sia stata cancellata. In Europa, gli hooligan s del movimento sono considerati gli autonomi tedeschi, assieme a danesi, olandesi, baschi, greci, turchi. Attorno a loro, militanti che si dichiarano «non violenti». Come gli eco-guerrieri inglesi di Reclaim the Streets (Recuperare le vie), gruppo fondato nel 1995 da dissidenti di Greenpeace, o i nuovi radicali della rete Globalization from below (Globalizzazione dal basso), ma anche i giovani antifascisti tedeschi di Afa. Tutti sempre pronti a rispondere agli appelli via web ( Calls for Action ).
Ma è negli Stati Uniti, in un viaggio di andata e ritorno tra l’Europa e l’America, che i Black Bloc riappaiono per la prima volta dopo gli Auto nomen degli anni Ottanta: nel 1988 alle manifestazioni contro il Pentangono, nel 1991 durante i cortei per la Guerra del Golfo, fino alle azioni anti-Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio) a Seattle. E’ in quel novembre del 1999 che il «blocco nero» ridefinisce le sue tecniche e tattiche con l’operazione N30 (30 novembre). Ed «N30» è il titolo del comunicato che gli americani del collettivo Acme diffusero dopo le contestazioni: un bollettino di guerriglia con l’elenco delle vetrine distrutte in 5 ore «di attività», ma anche un manuale di strategia che da allora ispira il Black Bloc.


Davide Frattini dfrattini@corriere.it