La Regione Ticino - 30 luglio - 2001
Testimone di Genova
Parla il giovane ticinese arrestato durante un corteo antiglobalizzazione
Un pacifista insultato, picchiato e ferito dalle forze dell'ordine italiane
é ancora sofferente per i maltrattamenti subiti dalle forze dell'ordine italiane, ma ha voglia di parlare, di raccontare la sua esperienza di «sequestrato», di persona che ha subito la «legge marziale di Genova». Alex, un ragazzo ticinese poco più che trentenne, da pochi giorni ha lasciato il carcere San Michele di Alessandria, dove è stato trattenuto per quarantott'ore poiché accusato di "resistenza a pubblico ufficiale e violenza aggravata" durante la manifestazione anti-G8 di venerdì 20 luglio. Come capitato a centinaia di attivisti antiglobalizzazione, pure nei suoi confronti le autorità italiane hanno usato le maniere forti. Anche se «tutto sommato»si ritiene «un fortunato», gli uomini in divisa, non gli hanno risparmiato insulti, pugni, manganellate e calci. Un'esperienza allucinante per un giovane che partecipava per la prima volta alla mobilitazione antiglobal: «Sono un pacifista ma non faccio parte di alcun movimento organizzato. Ho deciso di recarmi a Genova con quattro amici perché credo nel potere delle masse. Ho voluto rendermi conto in prima persona di cosa significasse una grande manifestazione di protesta contro quelli che si credono i padroni del mondo e contro le città chiuse, blindate», ci racconta Alex, giunto a Genova il giovedì sera, poco dopo la prima grande manifestazione pacifica a cui hanno preso parte oltre 70 mila persone. Sanitario volontario Trascorsa la notte allo stadio Carlini, Alex si è presentato al corteo previsto per il primo pomeriggio di venerdì. Gli organizzatori cercavano volontari per il servizio sanitario e lui generosamente si è subito messo a disposizione. é stato "assegnato" ad un infermiere professionista con il compito di soccorrere, con acqua e limone, eventuali svenuti per il gran caldo o per la ressa. Ben presto però le minacce per i manifestanti si sono rivelate di ben altro tipo: «sin dai primi passi del corteo - spiega Alex - era chiaro il tentativo di dividere la gente, di spezzare la manifestazione. Per questo è stata usata persino un'ambulanza, che sfrecciava in continuazione (apparentemente senza ragione) in mezzo al corteo. Poi, il primo fitto lancio di lacrimogeni e i pestaggi sistematici. Sembrava la caccia all'uomo. Le forze dell'ordine colpivano con violenza inaudita chiunque capitasse loro davanti. é iniziata una guerra. Era una lotta per la sopravvivenza: o ti difendevi in qualche modo o le prendevi». L'arresto Durante il pomeriggio Alex ha soccorso diverse persone e ha anche perso di vista il suo infermiere di riferimento. Lavorare in quelle condizioni era sempre più difficile, ma si cercava di resistere. Poi, verso le 16 un potente lacrimogeno gli ha «spezzato le gambe»: «mi ci è voluto mezz'ora per riprendermi - spiega - poi mi son detto: basta, non ce la faccio più, restare qui non ha più senso. Mi sono così allontanato dalla manifestazione, con una bottiglia d'acqua in mano. Nonostante il mio compito di soccorritore fosse ben visibile dalla tuta bianca a croci rosse che portavo, improvvisamente sono stato aggredito da 5-6 poliziotti: uno mi ha sferrato un violento calcio ai testicoli che mi ha procurato un'emorragia, che per almeno un mese mi causerà disturbi. Mi hanno colpito anche con calci, pugni e manganellate. Mi hanno poi trascinato in una strada adiacente dove ho dovuto attendere con altre tre persone per diverse ore». Poi, il trasporto con tre auto della polizia alla tristemente famosa caserma di Bolzaneto, trasformata in un vero e proprio lager da un centinaio di agenti del Gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria (Gom), reparto speciale istituito nel 1997 con a capo un ex generale del Sisde (i servizi segreti), e già protagonista di un durissimo intervento di repressione nel carcere di Opera. Alex non ha subito le violenze e le umiliazioni di cui la stampa ha narrato nei giorni scorsi, ma anche lui ha incassato la sua dose di insulti e provocazioni: «bastardi comunisti» gridava un agente, dimostrando di aver ben assimilato la "dottrina berlusconiana"; «Cosa sei venuto a fare a Genova? dovevi stare a casa tua, bastardo!» diceva un altro, forse meno "politicizzato". Il carcere Sbattuti in cella, gli arrestati sono stati costretti per ore in piedi con le mani contro il muro. «Di tanto in tanto gli agenti ci tiravano calci e pugni, ci facevano sgambetti nel tentativo di provocare una nostra reazione. Ad un ragazzo che sanguinava hanno tirato un pugno in faccia, rompendogli il naso, ho poi saputo. A turno ci facevano le foto e ci prendevano le impronte digitali». Ad un certo punto Alex non si reggeva più in piedi e, grazie all'intervento di un agente in borghese, ha ottenuto il trasferimento in infermeria, dove ha assistito ad altri pestaggi, ad altri soprusi: «A una ragazza hanno strappato tutti i piercing che portava, ad un giovane un agente ha spento la sigaretta sul corpo» racconta. Qualche ora dopo, verso l'una di notte, il trasferimento in ambulanza all'ospedale militare di San Martino, dove soltanto dopo dieci ore è stato sottoposto ad un'ecografia. Sabato pomeriggio verso le 16, l'incarcerazione ad Alessandria, nella prigione di San Michele, dove è rimasto fino a lunedì sera alle 21.30. Gli davano da mangiare una sola volta al giorno, in una cella sporca e un gabinetto in condizioni igieniche precarie. All'inizio ai reclusi non volevano dare nemmeno le lenzuola, poi l'intervento del cappellano ha fatto cambiare idea agli uomini del Gom. Proprio attraverso il religioso, Alex ha tentato di comunicare il suo arresto alla famiglia e agli amici, ma anche lui, ha poi appreso, non si è mosso. Intanto il detenuto continuava a non conoscere le ragioni dell'arresto e veniva invitato a «rassegnarsi». La giustizia che verrà Il primo contatto col mondo esterno è avvenuto solo lunedì mattina: l'assistenza consolare dapprima, poi l'incontro con l'avvocato e in seguito con il giudice delle indagini preliminari, che ha convalidato l'arresto e deciso la scarcerazione, avvenuta in serata. Alex è stato accusato di resistenza a pubblico e ufficiale e violenza aggravata. Uniche "prove" a suo carico: delle gomitiere da roller e un piccolo apriscatole, indispensabile per chi decide di trascorrere alcuni giorni in un campeggio. Verrà convocato, fra otto o nove mesi per il processo, dal quale, assicurano gli avvocati, uscirà perfettamente pulito. Nel frattempo Alex chiede però giustizia e si associa alle centinaia di persone che presenteranno denunce penali contro le forze dell'ordine, sulle quali, nonostante tutto, esprime ancora giudizi pacati: «Fra i poliziotti c'erano anche persone per bene, così come fra i manifestanti c'erano alcuni violenti e imbecilli che distruggevano la città, cadendo così nel tranello del governo italiano. Governo che ha creato un clima ideale perché si sviluppasse la violenza, utile per screditare l'intero movimento». «Il problema della violenza - aggiunge Alex - non riguarda però solo le manifestazioni di piazza ma la vita di tutti i giorni. Il modello di società che ci è imposto, proprio dai "grandi" che si sono riuniti a Genova, ci rende egocentrici, egoisti, arrabbiati, spingendoci facilmente alla violenza». Agli antiglobal dunque il compito di proporre e attuare un modello alternativo: «La prossima volta bisogna scendere in piazza tutti in maglietta e pantaloncini, senza nessuna protezione. Questa deve essere la nostra sfida. Alla polizia non dobbiamo più dare nemmeno un alibi per ripetere le giornate cilene di Genova» conclude Alex. c.c.