Il Manifesto 1 agosto 2001
La tortura, crimine globale
IGNAZIO JUAN PATRONE*
L' arrestato è stato tirato per i capelli; ha dovuto correre lungo un
corridoio lungo il quale i poliziotti si erano allineati per farlo incespicare; è stato
costretto a mettersi in ginocchio (...); un poliziotto gli ha mostrato il pene dicendogli
'succhialo' e poi gli ha orinato addosso; è stato minacciato con un cannello da fiamma
ossidrica e con una siringa (...); il ricorrente ha subito delle violenze ripetute e
prolungate durante numerosi giorni di interrogatorio".
Siamo nel Cile di Pinochet, nell'Argentina di Videla o durante la "pulizia
etnica" in Bosnia? No, siamo in Francia e si tratta di una "normale"
indagine per stupefacenti, l'arrestato è un nordafricano con il quale la polizia decide
di usare "le maniere forti". La descrizione dei fatti riportata non è contenuta
nella denuncia del malcapitato ma nella sentenza con la quale la Corte europea dei diritti
dell'uomo di Strasburgo ha condannato la Francia per tortura, non solo perché la sua
polizia aveva commesso le violenze ma anche perché le autorità non avevano adeguatamente
indagato sulla denuncia del torturato.
La Corte di Strasburgo deve spesso occuparsi di tortura e di altri trattamenti
"inumani o degradanti"; si tratta in gran parte di casi che riguardano la
Turchia e la guerra al popolo curdo, ma che a volte toccano anche paesi della civilissima
Unione europea; nel 2000 anche l'Italia è stata giudicata per tortura (sentenza Labita
del 6 aprile 2000) e se l'è cavata per un solo voto (nove giudici contro otto) da una
condanna in relazione al comportamento degli agenti di custodia del carcere di Pianosa,
quello che il ministro Castelli vorrebbe riaprire. E anche in quel caso la Corte ha
censurato il ritardo e l'assoluta ineffettività delle indagini svolte dalla magistratura
sulla denuncia del detenuto.
La Corte europea, nelle sue sentenze, ha ripetutamente scritto che il divieto di tortura e
di trattamenti inumani non ammette deroghe, neppure in caso di lotta al terrorismo ed alla
criminalità organizzata o quando un paese si trovi in situazione di emergenza, ma la
verità è che la tortura da parte di chi detiene un potere, di fatto o di diritto, sulle
persone arrestate o detenute continua ad essere un crimine globale, così come globale ne
è - purtroppo con scarsa efficacia - la proibizione.
Vi sono (tutte ratificate e rese esecutive in Italia) la Convenzione dell'Onu del 1987
(quella che è "costata" l'estradizione a Pinochet), l'art. 3 della citata
Convenzione europea del 1950 cui si è aggiunta una specifica Convenzione contro la
tortura, gli Statuti dei tribunali internazionali dell'Aja e di Arusha per i crimini nella
ex Jugoslavia e in Ruanda, e ora anche l'art. 4 della Carta dei diritti dell'Unione
europea proclamata a Nizza; e c'è anche l'art. 13 della Costituzione, che proibisce
"ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di
libertà".
La verità è che è gravemente carente il sistema di accertamento e verifica dei fatti
denunciati, troppe volte affidato proprio alle stesse autorità dello Stato che sono sotto
accusa, oppure, come davanti alla Corte europea, a un ricorso individuale che
necessariamente può essere presentato solo dopo molto tempo dai fatti e quando le vie
interne di ricorso sono state tutte inutilmente esaurite.
Ecco quindi che, quando mancano accertamenti rapidi e completi da parte degli inquirenti,
questi reati gravissimi contro i diritti umani restano per lo più impuniti e le sanzioni
minacciate non esercitano quindi alcun deterrente.
I giudici per le indagini preliminari di Genova, trasmettendo alla procura i verbali di
interrogatorio degli arrestati della notte alla scuola Diaz con la segnalazione delle
lesioni che presentavano gli "indagati per resistenza" hanno mostrato di essere
sensibili a questo aspetto della vicenda, che è quello che giuridicamente appare di
maggior gravità. Ora dobbiamo sperare che la risposta della procura sia altrettanto
rassicurante, con indagini rapide ed effettive.
C'è un compito di verità e di giustizia da assolvere visto che nessuna circostanza può
giustificare l'accanimento fisico e morale nei confronti di chi si trova in stato di
arresto o di soggezione al potere della polizia e che la credibilità internazionale del
paese nella tutela dei diritti fondamentali dell'uomo verrà misurata proprio dalla
capacità che dimostreranno i pubblici ministeri nel perseguire i reati che risulteranno
esser stati commessi dai funzionari pubblici.
In caso contrario il rischio è che si allontani Strasburgo e si avvicini,
minacciosamente, Ankara.
*Esecutivo nazionale
di Magistratura democratica
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