Corriere della sera 4 agosto 2001
Tre
dimostranti feriti tornano con gli inquirenti nella caserma delle presunte violenze. La
denuncia: ragazze fotografate nude
Sopralluogo a Bolzaneto: i
pm trovano tracce di sangue
«Per noi è stato come
rivivere un incubo»
- DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
GENOVA - Dieci ore. Dalle 8 alle 18. Tra interrogatori, sopralluoghi, ricognizioni,
accertamenti. Per capire cosa accadde la notte tra il 21 e 22 luglio nella caserma di
Bolzaneto. Mentre alla scuola Diaz esplodeva linferno, qui nel VI reparto mobile
della Polizia di Stato venivano radunati i ragazzi arrestati. «E picchiati», come sta
emergendo dalle indagini e dalle tracce di sangue accertate dai periti e da alcuni
filmati: non in quantità drammatiche come alla sede Gsf, ma significative per una
possibile conferma delle violenze. «Picchiati», e non solo. Secondo le denunce che
mercoledì saranno depositate in Procura «alcune ragazze sarebbero state vittime di
molestie sessuali», sottolinea lavvocato Ezio Menzione che finora ha 20
testimonianze. Sarebbero state costrette a spogliarsi, andare in bagno con la porta aperta
sotto gli occhi di tutti; una tedesca sarebbe stata fotografata nuda. «Molestie da
provare», dice il legale del Foro di Pisa che ricorda altri reati da accertare:
«Sequestro di persona o falso in atti dufficio».
Violenze descritte dai primi 3 ragazzi interrogati ieri dai pm Enrico Zucca e Patrizia
Petruziello, imputati di reato alle manifestazioni anti G8 e testimoni. «Tre ragazzi di
buona famiglia», per gli inquirenti, passati per via Sardorella 57, «il lager di
Bolzaneto», sdrammatizza un funzionario di polizia. «Non è uno scherzo, è una
terribile realtà», dicono i due padri di Davide Repetto, 19enne fresco di diploma, e di
Luca Arrigoni, 20 anni, universitario, amici di Savona. I primi due a tornare in quella
caserma. «E stato come rivivere un incubo», dice Luca. «Ma lo rifarei, subito.
Per 10, 20, infinite volte se servisse a far scoprire la verità», aggiunge Davide. Con
loro, lavvocato Ennio Pischedda, di Genova. Da loro i magistrati si aspettavano
molto. «Hanno ricordato tutto, nei dettagli», dice il legale. Il fermo sabato in via
Rossetti «in un garage», le «botte prese allarresto», i «pestaggi» da
poliziotti e agenti penitenziari nelle 10 ore a Bolzaneto. «Nella nostra cella, una delle
10 allestite, e mentre passavamo nel corridoio. Anche nel carcere di Alessandria, dove
siamo stati portati». Violenze sistematiche, quelle emerse dai racconti, non legate ad
azioni di resistenza dei detenuti nella caserma, il cui ufficiale responsabile di
collegamento era Alessandro Perugini, vice capo della Digos di Genova. Domenica sera, la
scarcerazione. «Abbiamo saputo dellarresto da un loro amico», dice Lorenzo
Repetto. A entrambi avevano sequestrato documenti e cellulari. «A Bolzaneto ci hanno
detto: "Se non hanno chiamato, non hanno voluto farlo". Ma era una bugia. Una
delle tante».
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Davide
Gorni |
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