Corriere della sera 30 luglio 2001
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Foto-ricordo
dove è stato ucciso Carlo Giuliani. La città cerca di cancellare le ferite: vetrine
nuove, ripuliti i muri e i giardini
E sulle strade della
battaglia arrivano i turisti del G8
- DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
GENOVA - Se non fosse per le poche «ferite» ancora aperte non lo diresti mai che Genova
la Superba è appena stata in guerra. E se non fosse per gli indici puntati e i clic delle
macchine fotografiche, tireresti dritto davanti ai luoghi della battaglia. E invece no: ai
turisti e ai curiosi non interessa granché sapere che la città ha fatto quasi miracoli
per risollevare la testa in tempi record dopo i tre giorni infernali del G8. Loro vogliono
il ricordo tangibile di fatti visti solamente in tivù: perché la loro descrizione prenda
forma davanti agli amici che non possono vedere di persona. Così mentre una mano indica o
un’altra fotografa, si sentono sempre gli stessi commenti: «Guarda, questa è la
banca che si vedeva bruciare al telegiornale», oppure «è qui il posto dove hanno ucciso
quel ragazzo» o, ancora, «in quel punto lì era schierata la polizia».
Risultato: una città che fatica a scrollarsi di dosso le tracce dei tre giorni che l’hanno
sconvolta. Anche se, nei fatti, dal punto di vista dell’immagine è passata quasi del
tutto l’ondata di quella piena di violenza: le vetrine in frantumi sono state
sostituite, molte scritte già grattate via dai muri, i portoni e i giardinetti ripuliti a
dovere, le macchine bruciate portate dagli sfasciacarrozze e i cassonetti danneggiati
sostituiti con quelli nuovi.
Le sole note stonate, in questa specie di gara di efficientismo, sono quei negozi, quegli
uffici e quelle banche bruciate o devastate completamente. E a dire il vero nel loro caso
l’efficienza c’entra poco: il fatto è che, tanto per citare un esempio, non
basta una manciata di giorni per rimettere in piedi la finanziaria Agos Itafinco di corso
Marconi, smontata pezzo per pezzo, svuotata fino all’ultimo foglietto e bruciata. Non
basta una settimana nemmeno per riaprire i battenti della Banca Antoniana Popolare Veneta,
pochi metri più in là, distrutta anche lei a forza di sprangate.
Al contrario, in via Torino, uno dei tanti stradoni ridotti male da gruppetti di
manifestanti facinorosi, tutto è tornato come ai tempi del pre-G8. Così anche dalle
parti di via Casaregis, altro punto caldo della protesta violenta. Non ci sono più segni
di battaglia nemmeno sotto il tunnel che collega corso Torino a corso Sardegna, altro
angolo piazzato sul percorso di guerra degli antiglobal. Il Comune è così preoccupato di
restituire al mondo l’immagine di una Genova bella e sicura da aver preparato un vero
e proprio servizio fotografico a disposizione di chiunque lo voglia utilizzare e
diffondere: gli scatti mostrano alcune vie diventate simbolo degli scontri e della
devastazione fotografate una prima volta nei giorni del caos e una seconda nei giorni
appena successivi.
In piazza Alimonda, all’angolo con via Caffa, dove Carlo Giuliani è caduto colpito
da una pallottola, non è ancora tempo di ripulire tutto. Non c’è più il
«sacrario» improvvisato in mezzo alla strada, sostituito da una transenna che evita alle
macchine di passare sul sangue rappreso ancora ben visibile per terra. Ma sul marciapiede,
tre metri più in là, restano cumuli di fiori e bigliettini appiccicati al cancello. Per
la gioia dei turisti del macabro, che arrivano in taxi o in motorino, scattano la foto
ricordo e poi si fermano al bar all’angolo. A vedere altri puntare l’obiettivo,
mettere a fuoco, scattare e portarsi a casa un pezzetto di un storia mai vissuta.
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Giusi
Fasano |
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