La Stampa
Ritirare la mozione di sfiducia? L’Ulivo si divide
Mercoledì 1 Agosto 2001

Amato: sono scandalizzato, il centrosinistra si mette in mano a Bertinotti
Maria Teresa Meli
ROMA «Sono scandalizzato: il centrosinistra è nelle mani di Bertinotti». Parola di Giuliano Amato. «D’Alema e la Quercia parlano di fascismo per coprire il vero responsabile dei fatti, cioè De Gennaro». Parola del rifondatore Ramon Mantovani, a cui si aggiunge quella del suo compagno di partito Giovanni Russo Spena: «I Ds vogliono l’indagine e non la commissione perché puntano a salvare gli amici di Violante nelle forze dell’ordine». Chi ha ragione? L’ex premier o i due esponenti del Prc? E se ce l’avessero l’uno e gli altri? Fatto sta che quella di martedì è una giornata di divisioni: nel centrosinistra, tra Margherita e Ds, all’interno degli stessi partiti. Chissà se seguire sin dall’inizio l’ennesimo tormentone diessin-ulivista può aiutare a fornire una risposta.
Apre la scena la riunione dei capigruppo dell’Ulivo di Camera e Senato. Violante (insieme al verde Marco Boato) rintuzza l’ennesimo tentativo dei colleghi di Palazzo Madama di ritirare la sfiducia. Afferma il presidente dei deputati della Quercia: «Se ritiriamo la mozione, verdi, comunisti italiani e alcuni dei miei firmeranno e voteranno quella di Rifondazione, perciò non si può fare. Non posso spaccare il mio gruppo». Con il fantasma di Bertinotti appollaiato lì sulla spalla, Violante spiega perché non si può più tirare indietro. Però aggiunge anche che si deve dire di «sì» all’indagine, che quella è «la strada per conoscere la verità». Altro palcoscenico: l’assemblea dei senatori dell’Ulivo. Nicola Mancino è su tutte le furie: «L’indagine - dice l’ex presidente di palazzo Madama - non porta da nessuna parte: lo sappiamo bene che in questo modo non si arriverà a nessun risultato. C’è un’unica strada: ritirare la mozione e chiedere la Commissione d’inchiesta, che è l’unico strumento con cui si può cercare di accertare sul serio la verità».
Ecco un esempio dell’identità di vedute all’interno dell’Ulivo. La medesima identità si registra in seno agli stessi partiti. Nei Ds Violante dice una cosa e Angius il suo contrario. E nella Margherita l’andazzo non è diverso. Alla riunione congiunta dei capigruppo di Camera e Senato Pierluigi Castagnetti latita. C’è solo il povero Willer Bordon, che il giorno prima si era convinto della bontà della proposta di posticipare la mozione di sfiducia. Peccato che il suo collega di Montecitorio la pensi in modo diametralmente opposto. Come spiega lo stesso Castagnetti in un’altra riunione ancora (ieri il centrosinistra non ha fatto altro che incontrarsi, discutere e dividersi da mane a sera), quella dell’esecutivo della Margherita. Lì il segretario del Ppi dice: «Non possiamo ritirare la mozione per due ragioni. Perché dobbiamo mantenere questa pressione esterna nei confronti del governo. E perché poi lo sappiamo benissimo che cosa scriverebbero i giornali: che abbiamo patteggiato con il centrodestra».
In quella sede la gran parte dei Democratici - e qualche popolare come Enrico Letta - la pensa diversamente dal loro capogruppo. E anche Arturo Parisi ha una linea più morbida. Però in lui prevale questa preoccupazione: «Non prendiamo - ammonisce - posizioni divaricate rispetto ai Ds». Inevitabile, la battuta, di qualcuno lì dentro: «Ma se i diessini sono divaricati tra di loro!». Tira le fila di una riunione in cui è stato messo sotto accusa «perché non ha frenato la deriva dell’Ulivo verso Rifondazione», Francesco Rutelli: si faccia l’indagine parlamentare e la mozione non si ritiri, però si metta in un canto. Tanto si fa sempre in tempo a dissotterrare quest’ascia di guerra nel caso in cui dall’indagine dovessero emergere fatti inquietanti. D’altra parte non si può sconfessare Ciampi che si è impegnato, pure pubblicamente, per un’intesa bipartisan sull’accertamento della verità. Questa è l’unica convinzione comune a tutto il centrosinistra. Se ne fa carico l’Ulivo alla Camera, ma anche al Senato, perché pure chi, come Mancino, vuole la commissione d’inchiesta, nel contempo propone il ritiro della mozione, motivandolo con queste parole: «Non possiamo essere noi a far fallire la mediazione del Capo dello Stato».
La scena madre della giornata, però, è quella che si svolge alla Camera, dove si compie il miracolo ulivista, il cui massimo artefice è Violante. In conferenza dei capigruppo con Casini, il centrosinistra accetta la strada dell’indagine. Non si chiama «patteggiamento», bensì intesa. E la mozione che a tutti i costi non si voleva ritirare? Scomparsa, come d’incanto. Nelle dichiarazioni dei presidenti dei deputati dell’opposizione non se ne fa più cenno. Ma se l’indagine dovesse produrre delle prove inquietanti? «Allora si può fare la commissione d’inchiesta», è la risposta. Della mozione sembrano essersi dimenticati tutti, ora che il fianco sinistro nei confronti di Bertinotti non è più scoperto. Del resto, il ministro dell’Interno Scajola ha già inviato messaggi rassicuranti: «I vertici delle forze dell’ordine non si toccano». Ma allora chi aveva ragione? Amato? La coppia Mantovani-Russo Spena? O tutti e tre? CORTEI ANTI-GLOBAL ALLARME «INFILTRATI»