Corriere della sera 31 luglio 2001
L’INTERVISTA

«Guerriglia vergognosa, indegna di un Paese civile»

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
GENOVA - «Censura, sospensione dall’impiego per un massimo di sei mesi, o esonero dal servizio: sono queste le sanzioni disciplinari in cui potrebbero incorrere, qualora siano accertati inadempienze o errori, i funzionari di polizia che hanno diretto la perquisizione nella scuola Diaz».
Nel suo ufficio al dodicesimo piano del Palazzo di Giustizia genovese, Nicola Marvulli, Procuratore generale in partenza verso la Corte di Cassazione (ricoprirà il ruolo di primo presidente), non nasconde l’amarezza per la «vergognosa guerriglia» scatenata da una parte dei manifestanti durante i tre giorni del G8, ma ora i suoi pensieri sono soprattutto concentrati su quanto accaduto durante il sanguinoso blitz notturno alla scuola «Armando Diaz», sede del Genoa Social Forum, e in particolare sul comportamento tenuto da alcuni dei funzionari di polizia giudiziaria che dirigevano l’operazione.
Nei confronti di questi ultimi, tutti i giudici per le indagini preliminari che si occupano dell’inchiesta hanno chiesto al procuratore generale Marvulli l’apertura di un procedimento disciplinare, ritenendo che il blitz non rientrasse nelle attività di ordine pubblico previste per il G8 e contestando i presupposti sui quali vennero effettuati gli arresti.
Procuratore Marvulli, quali saranno i suoi primi atti?
«La mia competenza riguarda esclusivamente l’azione di carattere disciplinare e si indirizza solo nei confronti degli ufficiali di polizia giudiziaria, non quindi di tutti coloro che presero parte alla perquisizione all’interno della scuola Diaz. Diciamo che i miei compiti sono in questo caso limitati».
Ha già aperto un fascicolo d’indagine?
«No, allo stato non c’è alcuna iniziativa da parte della Procura Generale. E non ci sarà fino a quando non sarà conclusa l’inchiesta penale avviata dalla Procura. Il procedimento disciplinare e quello penale seguono due percorsi distinti. Nulla deve turbare il lavoro dei magistrati, anche se è evidente che eventuali elementi che scaturissero dall’indagine penale potrebbero avere una rilevanza anche sul piano dell’azione disciplinare. Ma, ripeto, i due percorsi sono autonomi uno dall’altro».
Potrebbe quindi accadere che i funzionari di polizia escano indenni dall’inchiesta penale, ma vengano poi sanzionati a livello disciplinare?
«Certo, è un’ipotesi che potrebbe verificarsi».
Dalla relazione degli ispettori inviati a Genova dal Viminale emerge che, durante il blitz, alcuni funzionari furono costretti ad allontanare dalla scuola una dozzina di agenti perché troppo focosi nei confronti dei manifestanti. Le risulta?
«Di questo non parlo».
Prevede tempi lunghi per la sua indagine?
«E’ presto per dirlo. Dipenderà dalle cadenze e dalla direzione che imboccherà l’indagine penale, che naturalmente noi seguiremo con la massima attenzione».
Qual è la sua opinione su quella che tutti ormai chiamano la battaglia di Genova?
«E’ stata una vergogna. Non è stata una manifestazione civile degna di un Paese democratico, ma solo guerriglia...».
Non se lo aspettava?
«No, al massimo potevo ipotizzare qualche azione goliardica, qualche intemperanza. Invece in certi casi si è trattato di una deliberata aggressione alle libertà altrui. La presenza a Genova di alcune delle frange più esagitate era molto probabilmente antecedente all’inizio dei lavori del G8 e quindi non siamo di fronte ad una violenza occasionale, ma ad un’associazione armata con predisposizione di mezzi per compiere atti di violenza».
Le era già capitato di assistere a scontri di questa portata?
«In occasione del trasferimento dei cantieri navali da Genova a Trieste ci furono proteste piuttosto intense. In quel caso, però, c’era una motivazione seria e comunque non si arrivò alla devastazione della città: niente di simile a quanto accaduto stavolta».
E le lettere esplosive?
«Un altro fenomeno allarmante. Azioni del genere non avvennero nemmeno nel ’60, durante gli scontri che provocarono la caduta del governo Tambroni. Lo stesso terrorismo sceglieva i propri bersagli. Qui, invece, siamo di fronte a devastazioni e saccheggi: sono stati mandati in pezzi i negozi e le auto di poveracci che non c’entravano niente con la globalizzazione».
Francesco Alberti