Corriere della sera 8 agosto 2001

A SAN SEBASTIAN / Si studiano i filmati del G8 in cui appaiono manifestanti con simboli nazionalisti. Ma i leader della protesta negano: «In Spagna il Black Bloc non esiste»

Tracce delle Tute nere fra gli estremisti baschi

I duri del movimento anti-global usano le stesse tecniche dei guerriglieri indipendentisti: si indaga su possibili legami

DAL NOSTRO INVIATO
SAN SEBASTIAN - Il brevetto è qui. Senza voler togliere nulla all’inventiva dei Black Bloc, le «Tute nere» hanno poco da insegnare in Euskadi, l’insanguinata regione autonoma basca, al nord della Spagna. Uno spettacolare campo minato dove anche le parole vanno maneggiate con cura e, quasi mai, esiste un’identica traduzione dallo spagnolo e dal basco per gli stessi fatti. Per esempio, la «kale borroka» è per Madrid l’anticamera del terrorismo separatista, la «violenza urbana», o addirittura la palestra giovanile dell’Eta.
Per gli indipendentisti baschi, invece, è idealizzata nella «lotta di strada», praticata e praticabile per colpire i simboli dell’«imperio»: l’incendio sistematico di banche, poste, multinazionali, concessionarie di automobili. Guarda caso, gli stessi obiettivi delle «Tute nere». Una devastazione mirata e selettiva che Genova non aveva mai visto, ma che nei Paesi Baschi è uno stillicidio quotidiano. Includendo la vicina Navarra, ed escludendo i falsi allarmi, la cronaca regionale ha registrato 310 atti di «kale borroka» nei primi sette mesi di quest’anno, con un incremento del 22,5% rispetto allo stesso periodo del 2000, quando furono «soltanto» 240. Gli ultimi dieci giorni sono stati un inferno: 44 assalti e agguati, l’ultimo dei quali - tre giorni fa - con molotov piene di acido che hanno ustionato e ridotto in fin di vita due poliziotti baschi.
Negli uffici della polizia scientifica italiana si studiano le immagini raccolte nei giorni del G8 intorno alla zona rossa e soprattutto gli «zoom» sui manifestanti che sventolano bandiere e distintivi nazionalisti baschi. Si confrontano i graffiti lasciati a Genova con le scritte «Gora Eta», viva l’Eta, che coprono i muri della provincia basca. Forse la più ricca di Spagna, tre milioni di abitanti con un reddito medio pro capite di oltre 40 milioni di lire, ma ancora insoddisfatta dalle ampie e progressive concessioni di autonomia ottenute da Madrid negli ultimi trent’anni. Ci si chiede se esistano punti di contatto fra l’ala violenta degli anti G8 e le allenate pattuglie della «kale borroka». Gli uni e le altre agilissimi nel colpire e dileguarsi. Si cerca l’affinità tra nazionalismo radicale e opposizione barricadera al neo liberismo globale. E il confine, se c’è, fra tutto questo e il terrorismo. Nell’Irlanda spagnola è un’indagine quasi impossibile.
Polizia e fonti ufficiali non commentano, a San Sebastian come a Pamplona, o Iruñea, il capoluogo navarro. Si limitano a far notare, informalmente, che le pittoresche esibizioni dei Black Bloc si conciliano male con la strategia dell’Eta e dei suoi satelliti, fondata sulla clandestinità o, meglio, sull’insospettabilità dei suoi adepti. L’accusa, documentata, di partecipazione ad atti di guerriglia urbana vale da sola una condanna ad almeno due anni di carcere. Se non comporta il sospetto ben più grave di coinvolgimenti in azioni terroristiche. Per la cupola dell’Eta, il «bloque negro» è probabilmente poco più di un oscuro, trascurabile fenomeno folcloristico, mosso da ideali anche condivisibili, ma da esigenze meno concrete di una secessione, come quella a cui punta ostinatamente la dinamite basca.
Sono due mondi accomunati dalla convinzione che il fine giustifichi i mezzi, ma non sembrano intenzionati a fondersi né a confondersi. Nemmeno il movimento ufficiale basco antiglobalizzazione tiene a essere accostato alle imprese dei Black Bloc e al loro gusto estetico per le parate in divisa. «Qui il blocco nero non esiste - è pronto a mettere la mano sul fuoco Sabino Cuadra, 52 anni, attivista del Komite Internazionalistak, seduto a un tavolo della Iruñazarra, una taverna del centro di Pamplona - e dubito anche che esistano Tute nere nel resto della Spagna».
Vuol dire che tra gli antiglobalizzatori spagnoli non esistono frange violente o che non vestono di nero? Sabino Cuadra si stringe nelle spalle: «Da poco più di un anno nei paesi baschi c’è un’organizzazione di riferimento, Hemen eta Munduan, che significa "Qui e nel mondo", per gruppi e collettivi che si riconoscono nei suoi ideali. C’è di tutto: pacifisti-pacifici, pacifisti-resistenti e altri che invece considerano accettabile la violenza come strumento di lotta. Si sono uniti a noi anarchici, sindacati libertari, ecologisti, femministe, organizzazioni non governative, antirazzisti, anticapitalisti». Per un totale di quante persone? «Non lo so. Non ci siamo ancora contati. A Genova sono andati in 70 o 80, erano nel corteo delle Tute bianche. A Barcellona eravamo molti di più. Alla manifestazione c’erano almeno 25.000 persone. I Black Bloc non erano più di 50». Isolati dagli altri? «Diciamo indipendenti. Quel che mi fa sorridere è che, prima di Genova, i cattivi erano le Tute bianche. Adesso il diavolo è cambiato: sono arrivate le Tute nere. A me pare tutto un montaggio della stampa o delle forze dell’ordine», sospetta Sabino Cuadra.
Interviene Iñaki, 24 anni, del collettivo «Ixim», che in basco significa «Mais», filozapatista: «Io a Genova c’ero. Il nostro gruppo non si è mai staccato dal corteo pacifista. Le Tute nere le abbiamo viste anche noi, ma in distanza. Se anche avevano bandiere basche, questo non significa nulla: forse erano tedeschi o italiani. Anch’io posso mettermi una maglia con i simboli dell’esercito zapatista, ma non sono del Chiapas». Sabino, in politica da quando aveva 15 anni («sì, c’era ancora Franco al potere), risponde con una risata alle domande sulla sua carriera di «antagonista», ma assicura di aver imparato i trucchi del mestiere e anche della controparte: «Il sistema vuole creare confusione, per poter criminalizzare tutto il movimento. Sarebbe un errore mescolare i Black Bloc tedeschi o americani agli anarchici baschi», avverte.
Iñaki è anche più deciso: «E’ falso, assolutamente falso che noi siamo arrivati a Genova una settimana prima per pianificare la guerriglia, come è stato detto e scritto. Dai Paesi Baschi è partito un solo pullman ed è arrivato a destinazione la sera di giovedì, alla vigilia dei primi scontri intorno alla zona rossa. Noi eravamo con il corteo delle Tute bianche ed eravamo accampati allo Stadio Carlini. Per fortuna ce ne siamo andati il sabato sera, prima dell’intervento della polizia alla scuola Diaz». Un solo basco è finito in cella a Genova: Aitor Balbas, 31 anni, anche lui di Pamplona, dove già aveva scontato un anno di detenzione per renitenza alla leva. «Non ci lasceremo fermare neanche dai mezzi di dissuasione disumani», ha dichiarato a «Gara», il quotidiano basco della sinistra indipendentista che riporta il resoconto delle botte incassate dal conterraneo nella scuola Diaz. «Ci hanno accusato di appartenenza a banda armata. Ma volevano solo distruggere le prove custodite nella scuola che incriminavano la polizia e i servizi segreti», è la versione di Balbas. Le proteste degli antiglobalizzatori contro la repressione si sono limitate a una simbolica occupazione del terrazzo del consolato italiano a Pamplona e a un sit in di dimostranti incatenati davanti alla sede diplomatica di Bilbao, velocemente sgomberati dalla polizia. La «kale borroka» non si distrae dai suoi obiettivi tradizionali, e a Berlusconi è dedicata solo una riga di insulti nella toilette dell’Herrico Taberna, il ritrovo politico nel centro di San Sebastian, dove si celebra, come una martire, la concittadina Olaia Kastresana, puericultrice 21enne, morta mentre maneggiava dieci chili dinamite in un appartamento di Torrevieja, sulla costa di Alicante.
Probabilmente la sua prima bomba, il suo battesimo del fuoco nell’Eta. L’esplosivo ha sbriciolato il corpo dell’insospettabile maestrina dalla faccia pulita. Il suo cuore è stato ritrovato per caso nella piscina del complesso residenziale dove, con il fidanzato coetaneo Anartz Oiarzabal, preparava l’inizio della campagna estiva dell’Eta. Il ragazzo è ricercato, i resti di Olaia hanno ricevuto al ritorno onori tali da far aprire alla magistratura un’inchiesta per apologia di reato. I muri dei vicoli vicino al porto parlano solo di lei, così come le bandiere di Euskadi, una croce bianca e una «x» verde in campo rosso, listate a lutto. Così come le promesse di «continuare la lotta» al suo posto, senza escludere gli stessi metodi. E adesso comincia a diventare già un po’ più chiaro perché la terribile reputazione dei Black Bloc, nell’idioma basco, faccia appena sorridere. Senza essere sottovalutata: Bilbao aspetta con apprensione l’imminente concerto di Manu Chao, basco per parte di madre, e il comune ha dimezzato il numero degli spettatori ammessi, da 15 mila a 8 mila, per motivi di sicurezza. Il bardo degli antiglobal potrebbe essere un richiamo anche per il «bloque negro».