Manifesto 8 agosto 2001

POLEMICHE
Niente chiacchiere da Seattle
PAOLO COSTANTINI *
 

In quanto appartenente al cosiddetto "popolo di Seattle" - ma preferiremmo essere chiamati "popolo di Porto Alegre" - vorrei rispondere alla "provocazione" che Luigi Cavallaro ha lanciato a pag. 9 del manifesto di sabato 4 agosto. Il suo articolo finisce con una domanda: cosa vuole il popolo di Seattle? Provo a rispondere dal basso della mia esperienza all'interno di una bottega del commercio equo e solidale.
A prima vista, Cavallaro ha ragione: in quello che facciamo con tanta passione c'è un sentore di contraddizione, di "qualcosa che non va": perché occuparsi di pacchetti di caffè o di tavolette di cioccolato, che pur nella loro equità e solidarietà servono al nostro raffinato piacere?
Nel commercio equo è molto vivo il dibattito sulla questione della certificazione; in Italia ci stiamo sforzando di condividere criteri riconosciuti da tutti gli operatori, che permettano di individuare chi fa vero commercio equo rispetto a chi non lo fa. Ha quindi ragione Cavallaro nel dire che ci sarà impossibile evitare strutture autoritarie e niente affatto "orizzontali" o "reticolari", che invece rivendichiamo come costitutive della nostra identità? Non lo so; e non mi interessa neppure, per ragioni che si chiariranno in seguito.
Veniamo al dunque: perché noi del "popolo di Seattle" - pardon, di Porto Alegre - ci occupiamo di tutte queste cose? Innanzitutto, la nostra azione parte da constatazioni di fatto. Tutti noi, con maggiore o minore dovizia di fatti e di cifre, siamo a conoscenza di quanto accade nel mondo in nome di una certa concezione, e prassi, economica. Sappiamo che circa 800 milioni di persone sono malnutrite, che circa 1 miliardo e mezzo vivono con meno di un dollaro al giorno, etc..
In questo contesto sono nati strumenti come il commercio equo, la finanza etica e così via, che nel loro piccolo cercano di "cambiare le regole del gioco". Che riescano o meno a farlo, lo deciderà il tempo. A me preme rilevare che se questo piccolo sforzo è contraddittorio per le ragioni addotte da Cavallaro, rimanere fermi nella contemplazione accademica di quelle ragioni sarebbe inutile e insufficiente - per non dire ipocrita e criminale.
Nel momento in cui le vere, tragiche contraddizioni della prassi socioeconomica corrente ci si rivelano chiaramente, siamo certamente chiamati a riflettere, ma ancor di più siamo chiamati a rispondere concretamente con ogni strumento che allo stato attuale ci appaia fecondo e sensato.
Purtroppo, mentre ci fermiamo a discutere e a riflettere, la morte per fame, per guerra e per sfruttamenti di ogni genere non vuol saperne di riposarsi. Cos'è questa, se non una contraddizione delle peggiori - di quelle che lacerano e che paralizzano?
Il tentativo del "popolo di Seattle" - pardon, di Porto Alegre - è quello di attivare tanti laboratori di sperimentazione economica e sociale, quanti la nostra creatività lo consentirà. E se incapperemo in qualche contraddizione teorica, sapremo comunque che il nostro tentativo non sarà stato vano, perché quello che ci preme è dare risposte coerenti e sensate. Nella quotidianità, prima ancora che nell'astrazione teorica.

*Il Villaggio dei Popoli, Rete di Lilliput, Firenze