La Repubblica 9 agosto 2001 LA
CONVENIENZA
di GIORGIO BOCCA
NEI giorni del G8 a Genova, il ministro di Grazia e giustizia, ingegner Castelli,
arrivò in città, visitò i luoghi degli scontri, andò in Procura, ispezionò i reparti
di polizia e tornato a Roma dichiarò che tutto si era svolto nel più regolare dei modi.
Forse è sulla scia di queste ministeriali dichiarazioni che la tv di Stato continua a
parlare di "presunte violenze" anche se le immagini dei pestaggi a sangue, non
presunto, ma visibile sulle teste e le braccia rotte, sugli asfalti e sulle pareti hanno
fatto il giro del mondo e sono oggetto di proteste di governi stranieri.
E oggi rifiutando la grazia a Bompressi, il ministro ha ribadito le sue convinzioni:
niente grazia su parere della magistratura e soprattutto perché «non sarebbe opportuno
in un momento in cui la polizia è sottoposta a un attacco indiscriminato, graziare uno
condannato in sette gradi di processo per il concorso nell'assassinio del commissario di
polizia Calabresi» .
Un bravo ministro senza dubbi ed esitazioni: per i fatti di Genova il comando della
polizia è stato decapitato, lo stato maggiore di Di Gennaro esonerato dai suoi compiti,
ma il ministro Castelli parla di attacco indiscriminato, e del rifiuto della grazia fa una
questione di opportunità, di convenienza dell'attuale governo a non inimicarsi la polizia
mentre si attendono nuovi summit e nuove occasioni di «presunte» repressioni.
Il giudizio su parecchi dei componenti del governo di centrodestra prima di essere
politico è professionale: non sanno fare il loro mestiere, procedono di gaffe in gaffe,
non passa giorno che non arrivi notizia di una loro geniale trovata. Un mattino
apprendiamo che i rifiuti delle grandi opere non vanno considerati inquinanti, avvelenano
fiumi e terreni ma non è il caso di criminalizzarli, appartengono a quella ricostruzione
dell'Italia che è nei sogni del Cavaliere di Arcore. Il ministro ricostruttore Lunardi,
accusato di favorire le sue aziende, si indigna. Lui non è più azionista, le azioni sono
nelle mani di suoi parenti. E si prepara a cementificare il paese alla modica spesa di
duecentomila miliardi.
I cinesi stanno lavorando a una ferrovia che arriverà ai quattromila metri e ai ghiacciai
perenni del Tibet, noi non possiamo permetterci il ponte sullo Stretto di Messina? Chi
parla di regime nascente è sbeffeggiato dai nostri liberali: sciocchezze, esagerazioni.
Ma ogni giorno porta la sua conferma: il falso in bilancio, un furto verso gli azionisti e
il Fisco, è stato depenalizzato; le rogatorie giudiziarie con l'estero rese più
difficili; la devolution, un progetto confusionario che aumenterà la spesa pubblica e le
duplicazioni burocratiche, procede verso l'approvazione per compiacere il senatore Bossi e
il suo seguito prealpino. C'è una tendenza generale a sostituire la politica e
l'informazione con la propaganda, e soprattutto c'è l'assenza di una politica autonoma e
preveggente.
Dopo Genova abbiamo saputo che del movimento antiglobale fanno parte quattrocento
associazioni. Ma i nostri partiti né di destra né di sinistra se ne sono occupati, erano
fuori dal mercato, fuori dalla rivoluzione tecnologica. Il governo in carica non sa chi
siano. Sarà anche difficile saperlo, nel mucchio ci sono componenti diverse, magari
anarcoidi, magari violente ma liberarsene con delle fissazioni ridicole, dire che «sono
il comunismo che cacciato dalla porta rientra dalla finestra» vuol dire adeguarsi alla
cultura di quei «presunti» poliziotti filofascisti che inseguivano i manifestanti
gridando «comunisti di merda» .
Ai nostri liberali d'ordine non piace che si parli di regime, ma nella grande discussione
sui tempi e i luoghi dei convegni internazionali un problema politico, tanto più
preoccupante quanto più sconosciuto, è stato trasformato in uno logistico e poliziesco,
quando è chiaro che non si tratta di blindare le città ma di capire perché la società
nostra e del mondo ricco si è spezzata.
Dicono a destra che sta rinascendo un antiamericanismo di tipo veterocomunista ma a noi
pare che questo antiamericanismo sia la stessa cosa dell'antiglobalismo, e faccia parte
della crescente separazione fra quelli che hanno tutti i poteri di decisione e di
conoscenza e gli altri a cui non resta che seguire scelte magari catastrofiche.
A noi pare che l'antiamericanismo risorgente abbia delle motivazioni reali per tutti
coloro che sono fuori dalla supersocietà che l'amministrazione Bush considera come
indiscutibile per garantire la cosiddetta «sicurezza nazionale». Ci sono due modi di
pensare al gigantesco riarmo americano neppure nascosto ma esibito dal Pentagono:
considerare i rischi di un impero che affida i suoi destini alla forza, oppure
accontentarsi di avere da lui qualche fornitura secondaria.
Il pensiero politico universale è forse una velleità per le piccole potenze quale noi
siamo, ma l'assenza totale di pensiero politico è avvilente. |