La Repubblica 9 agosto 2001

Gianni lo Sbirro, sei ore di arringa
nel "processo" della politica

La gelida autodifesa di De Gennaro, sommerso da 200 domande in Commissione d'indagine
il personaggio

LIANA MILELLA


ROMA -È il capo della polizia Gianni De Gennaro e non può togliersi di dosso le responsabilità che gli derivano da suo ruolo. Senza abdicare alla sua funzione, ma facendo meticolosi distinguo, per oltre sei ore, spiega il "suo" G8 di fronte alla commissione sul caso Genova e cerca di tenere testa a una ventina di parlamentari, sia di sinistra che di destra, che lo interrogano con la puntigliosità di altrettanti pubblici ministeri. La sua difesa, prima di entrare nei dettagli che sono assai articolati, si raccoglie in una frase pronunciata poco dopo mezzogiorno. Che è questa: «La legge 121 dell'81, che regola la vita delle polizie, non stabilisce una linea verticista di comando. Le responsabilità dell'ordine pubblico spettano alle autorità di pubblica sicurezza che stanno a Genova». E quindi «sono il prefetto e il questore ad avere autorità e responsabilità».
Al vertice della catena di comando non c'è allora il capo della polizia? De Gennaro, "politicamente", deve rispondere: «Mi assumo ogni responsabilità per le scelte fatte, ma non sui fatti per i quali non ho attribuzioni». E tra questi rientrano sia la perquisizione alla scuola Diaz di cui lui avrebbe saputo solo alle 23 e 30 di quel sabato 21 luglio da una telefonata del questore Colucci che gli chiedeva «se poteva utilizzare 30 carabinieri», sia l'utilizzo della caserma di Bolzaneto.
Completo blu doppiopetto, camicia d'un azzurro intenso, cravatta quasi argentata, mezzi occhialini calati sul naso, una voce che, pur di fronte alla domande più dure, rimarrà monocorde. Solo per un attimo, verso le 15, quando deve rispondere a quasi 200 domande, De Gennaro si rivolge al presidente forzista Donato Bruno con una sfumatura più alta tra il tagliente e lo stizzito: «Mi dispiace, ma se devo replicare per bene devo leggere molti rapporti dei miei funzionari». Bruno acconsente. Ma questo accadrà molte ore dopo quell'ingresso nella sala del Mappamondo quando sono quasi le 10 e dopo una relazione che difende tutte le decisioni di Genova.
Che De Gennaro non abbia dubbi sul suo lavoro lo dice l'esordio: «Chiarirò qualche dubbio». E subito dopo parole che verranno ripetute identiche per un'altra decina di volte: «La situazione di Genova è stata molto complessa e molto complicata da gestire». Che è come dire: questo dovrebbe poter spiegare quello che è accaduto. Il capo della polizia precisa subito: «L'impegno è stato massimo per garantire tre scopi: un vertice sereno, una città vivibile, la tutela di manifestazioni lecite». Per questo la polizia ha messo in atto misure di prevenzione che il "capo" racconta così: le perquisizioni dei centri sociali di Torino, Genova, Padova, Firenze e Napoli con il sequestro di «centinaia di oggetti atti a offendere». Poi quelle nella sola Genova, 92 domiciliari e 273 di altrettanti locali, le 4.073 persone identificate, oltre ai controlli di polizia giudiziaria affidati al capo dello Sco Francesco Gratteri, poi responsabile della zona rossa.
Inevitabilmente, eccoci al tasto dolente, ai Black blocs e alle trattative con il Gsf che lui liquida su due piedi: le loro risposte furono sempre «sfuggenti ed evasive» e «traspariva la loro difficoltà a riferire i piani genericamente definiti di disobbedienza civile». Sulle Tute nere ci fu una collaborazione delle polizie straniere, ma fu «inferiore alle aspettative»: quei 500 italiani e 2mila stranieri, greci, tedeschi, spagnoli, inglesi e americani, si sono rivelati dei «professionisti della guerriglia». Nelle loro file - 1.439 i nomi schedati finora -non ci sono solo gli anarcoinsurrezionalisti, ma persone che «non è possibile individuare prima per una oggettiva difficoltà: non hanno sede, non si incontrano, ma si raccolgono all'improvviso con conoscenza perfetta di luoghi e tecniche di guerriglia». Non sono «fronteggiabili» con i normali reparti che si occupano di ordine pubblico soprattutto perché gli agenti, ammette il capo della polizia, «da anni non erano più chiamati a confronti così prolungati nel tempo e di tale virulenza». Non c'è mezzo per tenerli a freno? De Gennaro indica una strada: quella delle «meticolose indagini giudiziarie degli anni ‘70».
Sulla difesa di Genova il "capo" non ha dubbi: bene la zona rossa e altrettanto quella gialla, tutte decise «da prefetto e questore». Nessuna incertezza anche sui percorsi delle manifestazione e sulle scelte del 19, 20 e 21 luglio. La verità è stata un'altra: c'e' stata una volontà pregressa e precisa di «violare» la zona rossa a ogni costo in cui «è stato coinvolto un elevato numero di manifestanti pronti allo scontro con le forze dell'ordine». Per questo, all'ultimo momento, fu allargata a mo' di cuscinetto la zona gialla. E le violenze delle polizie? Nella sua relazione De Gennaro dedica un solo passaggio: «Le condizioni di guerriglia create da violenti criminali e facinorosi hanno in alcuni casi determinato un eccesso nell'uso della forza ad opera dei reparti, in altri casi casi, ci sono stati episodici e individuali comportamenti illeciti di singoli che saranno rigorosamente perseguiti».
Era inevitabile che una relazione così autoassolutoria provocasse un fuoco di fila di domande. I più garbati sono il capogruppo Ds Luciano Violante e l'ex Popolare Gian Nicola Sinisi. Il primo chiede notizie sulla catena di comando, sui feriti tra le forze di polizia, sulle future tecniche per isolare i violenti e accusa i mezzi d'informazione, anche internazionali, di «criminalizzare i poliziotti». Il secondo s'informa sul contributo degli 007, su eventuali infiltrati tra i Cc e dà per scontato che la decisione della Diaz fu presa a Genova. Ma tutti gli altri martellano De Gennaro. Lo fa il Verde Boato: «Perché ci fu una sistematica repressione a freddo su manifestanti pacifici?». E il socialista Marini: «Sembra una relazione da spettatore e da cronista: ma chi risponde dello scoordinamento, della sovrapposizione di ordini, di quei fazzoletti sul viso che impediscono l'identificazione degli agenti picchiatori?». E poi il diessino Soda: «Lei sta dicendo che i manifestanti pacifici devono autorganizzarsi e autoproteggersi da soli perché la polizia è impotente e incapace? Se lo Stato si ritira è la fine». E sulla Diaz: «Lì c'è stata la violazione sistematica di ogni diritto. Perché?». È durissima la Mascia di Rifondazione: «Io c'ero: perché, oltre alla zona rossa, non avete garantito anche la Diaz e Bolzaneto? Perché avete aggredito i manifestanti pacifici». L'ex pm di Napoli Bobbio, ora di An, di quesiti gliene pone una dozzina: tutti tecnici, tutti sulla catena di comando e sulle infiltrazioni nel Gsf. Il diessino Bassanini fa la domanda che tutti s'aspettano: «Perché anziché isolare i violenti, li avete solo inseguiti?». Non è meno polemico il forzista Cicchitto: «Perché ha mandato grandi investigatori come Andreassi, La Barbera e Gratteri, ma inesperti di ordine pubblico?».
De Gennaro si prende mezz'ora di tempo per la replica. Poi parla per un'ora. O meglio: legge rapporti e si giustifica. Per tutti i fatti di rilevanza penale rinvia al lavoro dei magistrati. È puntiglioso sulla Diaz, ma solo per dire che lui non ne sapeva nulla perché «le scelte furono fatte sul campo» e perché «nessuno informa il capo della polizia di ogni perquisizione». Ci fu solo quella telefonata mentre stava tornando a casa. Dei dettagli seppe dopo, per esempio di quella «mazzetta spaccapietre caduta da una finestra». Su Bolzaneto lui «aspetta le verifiche dei magistrati». E sul coordinamento ripete che «sul campo l'unica responsabilità spetta tecnicamente al questore e politicamente al prefetto». Gli chiede Violante: «Ma non c'è gerarchia?». Lui risponde: «No, non ce n'è alcuna». Boato insiste: «E i pestaggi generalizzati?». De Gennaro è secco: «Se ci sono stati saranno puniti. Ma vorrei proprio contare questi casi perché spesso in Tv rivedo sempre la stessa immagine».