Manifesto 8 agosto 2001 Gli
inuit contro le "guerre stellari"
TERRATERRA MARINA FORTI
Il posto è fuori mano, bisogna ammetterlo: Qaanaaq, cittadina sulla
costa nord-occidentale della Groenlandia, è la municipalità più settentrionale del
pianeta, 1.200 chilometri più a nord del circolo polare artico, affacciata su quel
braccio di mare sovente ghiacciato che separa la Groenlandia dalle terre dell'estremo nord
canadese. Accanto a Qaanaaq (ovvero a circa 150 chilometri di distanza) c'è la base aerea
di Thule, nota anche come Pituffik, appartenente agli Stati uniti: munita di sofisticati
radar, ha il compito di segnalare eventuali attacchi aerei sul nord America. Thule è una
delle due basi fuori dal territorio statunitense coinvolte nel progetto di difesa
strategica missilistica dell'amministrazione di George W. Bush, il cosiddetto "scudo
spaziale": dovrebbe ospitare il nuovo sistema di radar (ancora sperimentale) X-band,
atto a intercettare eventuali missili nemici nella fase intermedia della loro traiettoria.
Ma Thule/Pituffik era anche la zona di insediamento di Inuit, i nativi delle terre
artiche, che cinquant'anni fa sono stati spostati a forza per fare posto a quella base
militare. Ora, dopo mezzo secolo di oblìo e di emarginazione (e di incidenti nucleari e
di distruzione ambientale), quella comunità di 650 persone è decisa a far sentire le
proprie ragioni. Paradossalmente, proprio il progetto di scudo spaziale potrebbe dargli
un'audience internazionale.
La vicenda degli inuit di Thule comincia nel 1946, quando gli Stati uniti decisero di
installare una base su quella costa ghiacciata (con l'accordo del governo della Danimarca,
che ha sovranità sulla Groenlandia). L'esistenza di una comunità umana in una remota
regione polare dev'essergli sembrata un dettaglio irrilevante. Gli anziani della comunità
ricordano ancora l'arrivo dei militari americani, scesi da un aereo planato sull'acqua
("Vennero a riva, ci diedero delle mele e ci dissero che stava arrivando una
nave", racconta al quotidiano britannico The Independent il signor Aron
Qaavigaq, che allora aveva 12 anni). Di navi poi ne arrivarono 36 sbarcarono il necessario
a costruire la stazione meterologica. La popolazione locale continuò a vivere cacciando
foche, trichechi, balene, volpi artiche e uccelli. Ma dal 1951 la base fu militarizzata e
infine, nel marzo 1953, le 27 famiglie che componevano la comunità si sono sentite dare
tra 48 ore e due settimane di tempo per caricare le masserizie sulle slitte e andarsene.
Non hanno avuto scelta: chi non se ne andava con le buone perdeva anche il diritto a una
casetta a Qaanaaq. Il signor Qaavigaq ricorda che i genitori e i vecchi piangevano
disperati. Ma la cosa peggiore è che nella nuova posizione cacciare era difficile, e
quella popolazione di cacciatori non aveva altre attività per vivere. Oggi a Qaanaaq i
giovani non cacciano più, ma la vita non gli ha riservato altro: la disoccupazione è
alta, il senso di risentimento cresce e così pure l'alcoolismo. Poi c'è l'inquinamento:
il 21 gennaio 1968 un B-52 americano si schiantò al suolo vicino alla base con quattro
bombe all'idrogeno a bordo: i frammenti radioattivi si sparsero in un'ampia zona e fonti
ufficiali ammettono che tra 500 grammi e 1,8 chili di plutonio non sono mai stati
recuperati. Questo potrebbe spiegare perché nella zona si trovano tanti animali deformi,
ma gli studi ambientali condotti dai governi della Danimarca e degli Stati uniti sono
rimasti top secret.
La Conferenza Interpolare Inuit ora si oppone al progetto dello scudo spaziale, e così
pure la municipalità di Qaanaaq con tutti i partiti rappresentati. Nel '99 un gruppo di
pressione di Qaanaaq chiamato Hingitaq 53 (Hingitaq significa "gli
esiliati") ha riportato una vittoria legale: un tribunale danese, appellandosi alle
leggi della Danimarca e alla Convenzione Onu per i diritti dei popoli indigeni, ha
sentenziato che la comunità era stata illegalmente evacuata da Thule. La vittoria era
simbolica, anche se si è tradotta in un risarcimento di miseri 1.500 dollari a testa. Ora
con un ricorso alla Corte suprema, la comunità degli "esiliati" rivendica il
diritto a tornare sul suo antico terreno di caccia. La sentenza è attesa per l'autunno
del 2002, ed se fosse positiva creerebbe un bell'imbarazzo ai governi della Danimarca e
degli Stati uniti.
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