Manifesto 9 agosto 2001

Il mio inferno a Bolzaneto
Mohamed Tabbach, arrestato il 21 luglio e appena rilasciato, racconta le botte e le umiliazioni subite nella caserma-simbolo delle violenze genovesi
AUGUSTO BOSCHI - GENOVA

L' orologio di Mohamed si è rotto. Le lancette segnano le 9.19, l'ora del mattino in cui il suo cuore di metallo non ha più retto ai colpi e si è fermato. Non importa, pazienza; adesso che è fuori dal carcere lo aggiusterà. Oppure no; adesso che i giudici del tribunale del riesame hanno stabilito che le accuse erano infondate, adesso che è tutto finito magari vorrà tenerlo così, perché la fissità del quadrante gli ripeta che quello che ha vissuto non è stato solo un brutto sogno. "Sono arrivato a Genova - racconta - verso le 11 del 21 luglio e sono andato nella scuola di via Maggio, dove c'era un campeggio, e lì ho visto dei compagni che stavano per partire per andare al luogo del concentramento del corteo".
Mohamed Tabbach ha 46 anni e parla un italiano corretto che tradisce, nell'accento e nella cantilena, la sua origine siriana e i 23 anni vissuti a Torino. E' italiano a tutti gli effetti, lavora come traduttore e cammina scarrocciando perché ha una gamba sola e deve appoggiarsi a un arto artificiale. "Verso le 13.30 nel campeggio arriva la polizia. Io non mi era mosso di lì, e insieme a me, sparsi per tutta l'area, c'erano una ventina di persone del tutto tranquille".Dal campeggio dove vi hanno portato?

A Bolzaneto. Qui ci hanno messi tutti in una cella, dopo avere separato gli uomini dalle donne. Dovevamo stare con le gambe larghe e le mani appoggiate al muro. Ogni tanto entrava qualcuno e urlava: 'Su le mani!'. E poi sentivamo grida di dolore e grida di gioia dalle altre stanze.

Di gioia?

Sì: 'Abbiamo vinto; abbiamo liberato Genova' da una parte, e pianti e grida dall'altra. Noi stavamo sempre in piedi con la faccia al muro e le mani appoggiate alla parete. Di tanto in tanto entrava un agente che dava botte sui fianchi con i pugni e con il manganello. Se la testa non era abbastanza vicino al muro, te la sbattevano sulla parete. Siamo stati così dalle 14 alle 22.30.

Nel frattempo vi hanno dato qualcosa da bere o da mangiare?

No. Niente, ma insulti tanti, di tutti i tipi. Continuavo a sentire quella canzoncina: uno due e tre, viva Pinochet. L'hanno cantata a turno per tutta la notte. Se poi dovevi andare a pisciare, dovevi percorrere un corridoio lunghissimo, almeno venti metri. Ai lati c'erano agenti che quando passavi ti facevano lo sgambetto e chi cadeva veniva preso a calci e a sputi.

Hanno fatto questo anche a te?

No, a me no. Ogni tanto entravano nella cella e prendevano uno a caso; andavano via con lui e quando lo ributtavano in cella, come un sacco, sentivi che faceva fatica persino a respirare. Con me c'era un tale, Massimiliano, di Napoli. Un tipo di corporatura minuta. Lo hanno portato via verso le tre e quando sono tornati lo hanno lanciato nella cella come se fosse un oggetto. Sentivamo gli agenti che gridavano 'Abbiamo mano libera, abbiamo carta bianca'. Lo gridavano tutti, poliziotti e guardie carcerarie, tutti.

Come hai fatto a resistere in piedi tutte quelle ore con la tua gamba?

Avevo difficoltà, con la protesi non potevo stare tanto in quella posizione. Qualche poliziotto mi permetteva di riposarmi ma poi ne arrivava un altro che mi urlava di rimettermi in piedi. Alle 9.12 del mattino non ce l'ho più fatta e allora, senza permesso, mi sono seduto. Sono iniziate le urla: 'In piedi, in piedi, alzati'. Non ce la faccio più, ho risposto. E allora è entrato uno grande e grosso insieme ad altri tre che mi ha gridato 'Te la faccio vedere io come si sta in piedi' e giù botte, manganellate, calci. Il mio orologio si è rotto in quel momento, alle 9.19. Poi mi hanno strappato di dosso i vestiti e uno di loro ha detto 'smettila, smettila' e se ne sono andati.

Dove ti hanno picchiato?

Dovunque. Anche sulla gamba finta.

Cosa è successo, dopo?

Un'infermiera mi ha chiesto se ero ferito. Le ho fatto vedere la schiena; non ha risposto nulla.

Non le hai detto cosa ti era successo?

Lì dentro nessuno aveva gradi e nomi sul petto, non ho potuto dire niente lì, avevo paura e non volevo che mi succedesse qualcosa di peggio. Vedevo la gente arrivare piegata a metà e accompagnata a calci in culo dagli agenti; gente sanguinante, che piangeva. Un incubo, un incubo totale. Dopo ventitre ore senza dormire, mangiare bere non sapevo nemmeno se era tutto vero oppure no. Mi ricordo che a un certo punto, da fuori, si è affacciato alla finestra uno con un cane: 'abbaia, abbaia' si è messo a incitare. E quando il cane ha cominciato ad abbaiare ci ha gridato: 'Avete visto, bastardi? Neanche ai cani piacciono i comunisti'. Eravamo una gabbia di animali: ogni tanto entrava il domatore ma al posto della frusta aveva il manganello. Poi ci hanno chiamato per le pratiche di trasferimento al carcere di Alessandria. Uno alla volta ci hanno portati in una cella per il controllo, e dovevamo camminare a testa bassa; ci pensava un poliziotto che appoggiava una mano sul collo o sulla nuca farci tenere giù la testa.

Ti hanno detto di cosa eri accusato?

Al mattino presto, a Bolzaneto, era arrivato uno che ci ha detto di sceglierci un avvocato e quindi ha tirato fuori un foglio. Alla voce 'Indagato di' seguivano due righe vuote. Indagato di cosa?, ho chiesto. 'Eh, qui la cosa è lunga. Firma e basta', mi ha risposto. E non ho firmato.

Quando siete arrivati ad Alessandria?

Intorno alle 13. Ci hanno sistemato, dato da mangiare, ci hanno fatto fare la doccia e ho dormito fino alle 10 del mattino dopo.

Come vi hanno trattati ad Alessandria?

Bene. Qualcuno ha detto che ci sono state violenze, ma non è vero. Anzi, vorrei ringraziare il personale del carcere oltre a tutti i compagni d'Italia che mi hanno dato conforto con i loro telegrammi e vorrei salutare tutti i detenuti di Alessandria.

Cosa ti è restato di questo G8?

Il G8? Per me il 21 luglio non è stato il G8. Io lo chiamerò sempre il G.lutto.
Mohamed è tornato a casa il 7 agosto. Ha deciso di sporgere denuncia per le violenze subite il 21 e il 22 luglio in via Sardorella, Bolzaneto, caserma del reparto mobile di Genova.