La Stampa
Le denunce di donne austriache e italiane: molestie sessuali in caserma
Mercoledì 8 Agosto 2001

«Eravamo nude e ci terrorizzavano»
Brunella Giovara
inviata a GENOVA Voleva un rapporto orale. Eravamo in caserma, eravamo tutte sconvolte. Quello ce l’aveva proprio con me, faceva il gesto, "fammi questo, puttana!"». Erano poliziotti? Carabinieri? «Polizist». Ma che divisa avevano? «Non lo so, erano polizist e basta». Ma se non riescono a distinguere le divise, su una cosa però le ragazze austriache hanno ricordi chiarissimi: «Ci hanno minacciate sessualmente. Ci hanno insultate come puttane e lesbiche». Brutalità, come altro definirle? Gli avvocati che assistono gli arrestati del G8 hanno molti racconti di questo genere. Stanno scrivendo le denunce, annunciano che a breve la procura dovrà occuparsi anche di questo aspetto dei fatti di Genova. Le minacce sessuali, le donne fatte spogliare e derise dagli uomini delle forze dell’ordine, che avvicinavano il manganello alla pancia e ridevano. E poi gli arrestati maschi: anche per loro la minaccia di venir violentati.
«Uno è stato colpito nei testicoli a calci. Poi l’hanno sollevato, lanciato contro il muro, picchiato ancora, riempito di oscenità, minacciato di violenza sessuale». Lo racconta l’europarlamentare verde austriaco Johannes Voggenhuber, dopo aver visitato nelle carceri di Voghera e Alessandria tutti i suoi connazionali arrestati. Ieri a Radio Popolare ha raccontato le testimonianze raccolte e verbalizzate alla presenza di quattro testimoni, uno dei quali è un funzionario dell’ambasciata austriaca a Roma. Le donne sono state accompagnate in bagno da agenti donne, ma le porte restavano aperte. Arrivavano gli uomini, si mettevano lì davanti ad insultarle. Uno conosceva quattro parole di tedesco: "Heil Hitler", "cane", "seduto", "lecca". Per ore le ha ripetute a tutte le donne». Karin Scheele, europarlamentare socialista austriaca, ieri è andata dalle austriache detenute a Voghera. Ne è uscita distrutta, il racconto delle pretese di atti sessuali lo riferisce lei, e fatica a trovare le parole, si emoziona, cerca di glissare, ma l’interprete traduce correttamente (e scusandosi): «atto sessuale orale».
«Le denunce le faremo, ma a bocce ferme. La priorità è la liberazione di queste donne», spiega l’avvocato Roberto Caranzano. Il problema è invece stabilire chi si è reso colpevole. Molti degli arrestati non sanno spiegare se le violenze siano tutte avvenute a Bolzaneto (gestita principalmente dalla polizia), o anche al forte San Giuliano, sede del comando provinciale dei carabinieri. Che smentiscono seccamente: da loro, nessuno è stato minacciato sessualmente, anche solo (si fa per dire) a parole.
Ricorda invece perfettamente Bolzaneto la ragazza che si è rivolta all’avvocato Simonetta Crisci: «Dopo le manganellate, mi sono sentita insultare come troia, ebrea e puttana. Io e altre ragazze ci siamo dovute spogliare davanti agli uomini. A gambe divaricate, abbiamo dovuto stare lì appoggiate al muro. Uno, credo un poliziotto, ha capito dal mio accento meridionale la città in cui vivo. E allora ha cominciato ad insultarmi in dialetto, il mio dialetto. Era uno della mia città, era lui che mi diceva puttana».