Manifesto 8 agosto 2001

Trappole
ROSSANA ROSSANDA

C' è qualcuno disposto a sostenere che a Genova i Black bloc hanno messo in difficoltà il G8? Non credo. Si riuniranno nelle Montagne Rocciose o non avranno bisogno di riunirsi affatto. C'è qualcuno disposto a sostenere che spaccando vetrine e provocando tafferugli hanno reso un servizio al Genoa Social Forum? Non credo. La polizia si è scatenata, Fini e Cossiga le hanno garantito ogni appoggio, Berlusconi sostituirà i muscoli con i muscoli.
Alcune sedicenti avanguardie si stanno sprecando in gesticolazioni, persuase che sono i simboli a fare i poteri e non viceversa. O, se hanno abbastanza sale in zucca per sapere come funziona, la soddisfazione di stare sui giornali li compensa dalla frustrazione di non saper che fare se non aspettare un appuntamento di qualche vertice per essere sicuri di esistere. Sarebbe un fenomeno sociale di modesto interesse se, oltre a dare pretesti al monopolio statale della violenza, non danneggiasse l'estendersi a macchia d'olio di gruppi, soggetti, genti che hanno capito che cos'è il dominio mondiale del capitale e del mercato, ne studiano e attaccano i meccanismi, destabilizzano le tradizionali forze politiche, hanno già spostato in Italia il più importante sindacato, fanno e comunicano politica in tutto il pianeta. Sono confluiti a Genova come a Porto Alegre e sono il solo fenomeno politico grosso e nuovo.
Che di essi non si riesca neanche a parlare - e tantomeno delle tesi che hanno sviluppato a Genova, oltre che nei cortei, in un mese di riunioni e colloqui dove avveniva un vero salto di coscienza e cultura - perché la scena è occupata dall'immagine della polizia che picchia e dai giovani con le mani alzati, e perché di questo scenario si sono impadronite per le loro schermaglie maggioranza e opposizione a Genova assenti, è già un paradosso. Ovvio, obbligatorio, ma paradosso. Genova non era un appuntamento per il diritto di manifestare, era per far sentire le tesi di gruppi che lavorano da anni, si sono creati un enorme ascolto, i cui argomenti, come nel caso di Attac, danno il mal di testa ai governi, che non solo denunciano ma sono e fanno, e invadono territori che la politica politicante aveva bruciato. Gli occorre sfondare l'egemonia dei luoghi comuni, non uno schieramento di polizia. Gli occorre costruirsi delle sponde, non venire isolati. Susan George si domandava in questi giorni come il movimento potrà manifestare se ogni volta sarà parassitato da gruppi che, se va bene, sfogano nello spaccar vetrine un vero disagio esistenziale o pretendono di insegnare ai poveri nonviolenti come stanno veramente le cose e quel che bisognerebbe fare.
Susan George è pessimista, ma si capisce che sia preoccupata. Già ieri le gazzette hanno premurosamente offerto uno specchio al ragazzo di Napoli che dichiara guerra al vertice di settembre della Nato, e oggi parleranno del documento di un deficiente che minaccia di morte De Gennaro. Così possono fare a meno di scrivere che cosa è e a che serve lo scudo spaziale di Bush del quale si parlerà a Napoli, come qualmente l'Italia sia il solo paese europeo che lo sostiene, e come questo succeda anche perché è passata sotto silenzio l'adesione di D'Alema alla Nato 2 durante la guerra del Kosovo. Né l'una né l'altra sarebbero andate lisce se due o trecentomila persone invece che quattro gatti fossero andate in tempo, un po' più informati e decisi, davanti a Palazzo Chigi. Possibile che l'esperienza non insegni niente?