Corriere della sera 30 giugno 2001
I CONSIGLI DEL PREMIER

«Qui mettiamo più piante, là ci vorrebbe un’orchestra...»

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
GENOVA - Il premier scenografo e giardiniere. Interno Palazzo Ducale: dal cortile, uno sguardo all’insù, ed ecco alcune piante verdi far capolino, dal cornicione. «Sindaco, mettiamone altre, a corona. Tante, che scendano a cascata. Immagino già l’effetto giardino pensile. Non è una buona idea?», s’entusiasma il presidente del Consiglio. Il primo cittadino di Genova, annuisce. Annuisce anche l’ambasciatore Vattani. Entrambi nel ruolo di guida al Palazzo del G8, il «pezzo» più prezioso della città restaurata, sede ufficiale del Vertice dei Grandi della Terra. Qui si farà l’inaugurazione, qui, sicurezza permettendo, si terranno le riunioni più importanti, le colazioni di lavoro dei capi di Stato. Comprensibile allora che Silvio Berlusconi, durante il primo tour di ricognizione (eseguito con attenzione ai dettagli, dagli stucchi degli interni, alle pietre delle pavimentazioni incompiute) si soffermi più qui che altrove.
Insegue la perfezione estetica, il presidente. Ha il culto dell’immagine, e lo dimostra. Certo, non intende rischiare brutte figure con i colleghi stranieri. «Si finirà per il 20 luglio?», domanda, mentre passa da Palazzo Spinola (sede della Prefettura) al Ducale, proseguendo per i magazzini del cotone del Porto antico e chiudendo la visita alla Stazione marittima, dove approda a bordo di una pilotina. Blindatissimo, gioca a rimpiattino con i giornalisti, che invocano una dichiarazione. Che ne dice presidente? «Sto guardando», taglia corto, mentre a passo veloce si avvia verso le sale d’imbarco. Da cui uscirà, poco dopo, pronunciando la laconica frase: «C’è molto da fare».
Effettivamente, i cantieri sono ancora aperti, ma il suo ministro per le Infrastrutture, Pietro Lunardi, ingegnere, lo rassicura: «Succede sempre così. Si è con l’acqua alla gola, poi, in tempo record, le cose vanno a posto. Comunque, a Genova stanno facendo un ottimo lavoro».
Il presidente non contesta il complesso delle opere; anzi, durante la visita, fa pure i complimenti. Ma, fissandosi sui particolari, è prodigo di osservazioni critiche. Soprattutto, durante il giro a Palazzo Ducale. Il verde, gli addobbi, la logistica. Che altro? All’ingresso della Sala del Maggior Consiglio, Berlusconi osserva, ai lati, le due statue di Andrea Doria e del nipote Giò Andrea Doria (copie degli originali cinquecenteschi, abbattuti durante la rivoluzione del 1797) e nota che le due figure guardano in direzione opposta. «Non si potrebbe mettere l’una al posto dell’altra?», suggerisce. In una sala attigua, che forse verrà utilizzata sia per le riunioni che per i pranzi di lavoro, dice: «Mi raccomando, a tavola i capi di Stato devono stare da soli. Hanno bisogno di familiarizzare, è opportuno che gli sherpa vengano sistemati altrove». Poi, all’improvviso, il ricordo di una visita al Cremlino, quando fu ospite di Eltsin: «C’era una balaustra come questa; un’orchestra suonava Strauss... non starebbe male neppure qui».
Sale, stucchi, decori. Breve affaccio da una finestra dell’ala laterale che dà su piazza Matteotti, e i cronisti in attesa si agitano.
Saluterà, non saluterà? Ma l’immagine del premier si dilegua in un attimo. Ancora pochi minuti, e Berlusconi appare sui gradini dell’ingresso. Lo sguardo spazia agli edifici circostanti, mentre la folla di curiosi viene tenuta a bada dalle forze dell’ordine. Il premier guarda a destra, e dice: «Quel palazzo va ridipinto». Eccone, un altro, di fronte, con il tetto irto di antenne: «Una bruttura, bisogna toglierle». Qualcuno sussurra: «Che combinazione, in quella casa abita un professore, amico di D’Alema».

Marisa Fumagalli