Corriere della sera 28 giugno 2001
Migliora il ragazzo «senza nome» ferito da un poliziotto a Göteborg

È ancora in terapia intensiva e respira con l’aiuto di una macchina il diciannovenne ferito da un colpo di pistola della polizia a Göteborg, durante le proteste di due settimane fa contro il Consiglio europeo. Quel ragazzo con il passamontagna che lanciava sassi contro gli agenti prima che una pallottola gli bucasse la pancia, strappandogli i tessuti dello stomaco e di altri organi interni, ha pronunciato finora pochissime parole. Le ha dette martedì scorso alla sorella, quando, per un’ora soltanto, gli era stata tolta la maschera ad ossigeno. Adesso ce l’ha di nuovo. «La sua situazione clinica non è più drammatica», riferisce Ann-Christine Andersson, una portavoce dell’ospedale Sahlgrenska. «Come per ragioni di privacy non si può scrivere il suo nome, così non posso fornire dettagli su quanto accade nel suo corpo. Da noi, in Svezia, non si fa. Ma che sia aiutato a respirare non è inusuale per uno ferito in quel modo. Posso informarla che non è più gravissimo», aggiunge. Dunque sopravviverà di sicuro? «Per garantirlo bisogna aspettare un po’», risponde la donna.
Migliorato. Salvo complicazioni. I medici avevano intenzione di fare a meno della maschera ad ossigeno già sette giorni prima della parentesi di un’ora dell’altro ieri. Evidentemente, in seguito, qualcosa ha sconsigliato di togliere di mezzo quella ringhiera che ha permesso ai polmoni e al cuore del ragazzo di rimanere aggrappati alla vita.
Dell’ottantina di feriti che durante le proteste sono passati per il Sahlgrenska, 26 dei quali poliziotti, soltanto tre sono attualmente ricoverati. Un’altra vittima dei proiettili della polizia, un tedesco colpito a una gamba, è in un reparto diverso dalla terapia intensiva.
Per il ragazzo senza nome che resta intubato, la guarigione non significherà soltanto sollievo. Quando si riprenderà, se tutto andrà bene, si troverà al centro di un’inchiesta penale. Non soltanto come parte lesa. Dovrà rispondere sia dei sassi sia del bastone che aveva in mano. Qualunque sia stata l’origine degli incidenti del 15 giugno a Vasaplatsen - un’incursione di neonazisti contro una festa pacifica, seguita da cariche degli agenti, come sostengono i suoi amici, o un attacco partito dai gruppi antiglobalizzazione, come afferma la polizia - il caso passerà per un tribunale. Le foto degli scontri, che hanno mostrato subito il diciannovenne mentre tirava le pietre, si sono rivelate anche una prova a carico delle forze dell’ordine. Da immagini portate ai giornali in un secondo momento risulta che sono stati almeno due i poliziotti a sparare. Impugnavano le pistole mentre non erano più vicini ai giovani con i passamontagna.
Sui 96 arrestati in tre giorni di guerriglia, 50 sono tuttora in carcere. A sfasciare vetrine erano stati tra i 300 e i 700 estremisti, su ventimila contestatori. Nella minoranza violenta non c’erano collettivi del nostro Paese. L’unico italiano detenuto, Luigino Antonio Longo, era con un gruppo scandinavo. Abita in Norvegia da 17 anni, fa il cuoco a Oslo. Sarà processato entro luglio. Dice il suo avvocato, Bertil Wimmerstedt: «È più norvegese che italiano». Lo hanno preso sull’Aveny, strada martellata da sassaiole. Sulla stessa via, a scontri finiti, le forze dell’ordine sono stati applaudite dalla gente.
Nonostante ciò, in Svezia è in corso un dibattito sulla necessità di contrastare i cortei non autorizzati impiegando gas lacrimogeni e idranti per evitare una strettoia tra due sole possibilità: o manganello o pistola. A quelle si è ricorsi, e gli agenti hanno avuto con gli estremisti troppi contatti ravvicinati. Pericolosi per tutti.
Maurizio Caprara