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MADRID. Persino Eugène Ionesco, il padre del «teatro dell' assurdo», ci
rimarrebbe di stucco. Per evitare più che probabili incidenti, la «Work Bank» (WB)
aveva annullato, il 19 maggio, la sua conferenza annuale su «Economia dello Sviluppo del
2001 in Europa», che avrebbe dovuto celebrarsi lunedì e martedì a Barcellona. Gli
«antiglobalización» catalani, che avevano accuratamente preparato manifestazioni di
protesta, ci erano rimasti con un palmo di naso.
Che fare? Il «Popolo di Seattle» locale non si è dato per vinto. E domani scenderà
in piazza lo stesso.
A nulla è valso che il presidente della «Wk»(che userà l'«escamotage» di tenere
lo stesso la conferenza ma via Internet, www.worldbank.org/abcde-europe) abbia
invitato, via e-mail, il centinaio di organizzazioni protestatarie a partecipare online ai
lavori.
Le manifestazioni di protesta si mantengono come se i banchieri ci fossero davvero.
Seguendo il calendario previsto, da ieri fino a lunedì.
Non solo: gli sforzi di mobilitazione, soprattutto con il «cyber-tam-tam» (www.rosadefoc.org),
sono addirittura aumentati. E domani, i contestatori sfileranno nel centralissimo paseo de
Gràcia. «Saremo in 20 mila», assicurano.
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di Aldo Rizzo
La decisione della Banca Mondiale di tenere via Internet la sua imminente
conferenza annuale europea e quella analoga della Wto (lOrganizzazione mondiale del
commercio) di far svolgere lassemblea di novembre nel remoto e isolato Qatar sono
misure di emergenza, dettate dallemozione, e magari da un giusto timore, dopo i
fatti di Göteborg, oppure sono unindicazione concreta per il futuro?
Cioè: le prossime riunioni dei maggiori organismi internazionali, per sfuggire alla
furia dei nemici estremi della globalizzazione, dovrebbero svolgersi tutte «online» o,
quanto meno, in luoghi praticamente inaccessibili?
Certo, dopo Göteborg, ma già prima, dopo Seattle, Québec, Nizza e così via, e ora
nel timore di quanto può accadere a Genova, quanti di noi non hanno pensato a una simile
opportunità? Anche perché lenfatizzazione mediatica di questi summit è diventata
francamente eccessiva e sembra fatta apposta per richiamare lopposta esibizione dei
contestatori.
Ma attenzione: il rimedio è nel regolare meglio lavvenimento e il confronto, non
nel riparare in un rifugio elettronico o desertico. Ciò che colpisce di più è lipotesi
(che, a quanto pare, comincia a realizzarsi) di trasferire gli incontri e i dibattiti tra
i leader politici sulla Rete.
Questo significa annullare o sterilizzare il fattore umano, che è più importante di
quanto si creda, anche nelle occasioni più impervie della politica, o forse soprattutto
in queste.
Pensare di sostituire lincontro diretto tra i leader, tra i responsabili dei
rispettivi governi, con una sorta di «comunicazione fredda», tutta affidata alla
tecnologia, è come immaginare una commedia o un dramma senza il contributo caratteriale
degli attori: tanto più che, nei vertici politici, specie in quelli cruciali, si recita
spesso a soggetto, ben al di là delle battute preparate.
Naturalmente, in questo modo ci si può intendere o fraintendere, può esserci unintuizione
fulminante in un protagonista e una sordità inattesa in un altro. Ma, alla fine, cè
una reciproca esperienza diretta, che dà comunque i suoi frutti.
Facciamo alcuni casi storici, della storia più recente, quando già esisteva
ampiamente una tecnologia della comunicazione a distanza. Kennedy e Krusciov a Vienna,
giusto nel giugno di 40 anni fa. I due si studiano, ma lì per lì non si capiscono.
Soprattutto Krusciov non capisce Kennedy, si fa lidea di un giovane inesperto. Due
mesi dopo, autorizza il muro di Berlino e, sedici mesi dopo, linstallazione dei
missili a Cuba. Ma, nel pieno della crisi, qualcosa di decisivo riemerge nella
«chimica», che si era comunque prodotta, del loro rapporto personale.
Due loro successori, Reagan e Gorbaciov, a Reykjavik nel 1986. Il primo ha definito lUrss
«limpero del male», contro il quale sogna lo scudo spaziale. Due giorni di
colloqui sul filo della rottura, poi un incontro imprevisto, lunghissimo. Ne escono
spossati e politicamente distanti, ma al momento del commiato, sotto un grande vento
oceanico, si stringono la mano per interi minuti, come a voler dire andiamo avanti. A
tarda sera, noi giornalisti non sapevamo cosa rispondere alle redazioni che chiedevano: un
fallimento? Era un «fallimento costruttivo», linizio della fine della Guerra
fredda.
Tanti altri esempi. La famosa «passeggiata nel bosco», a Ginevra nel 1982, tra i
negoziatori (ancora americano e russo) Nitze e Kvitsinski, unintesa personale, che
col tempo sarebbe diventata politica, sugli euromissili. O i viaggi di Willy Brandt nellEuropa
comunista degli Anni Settanta, la «Ostpolitik» che fu la prima sfida al muro di Berlino.
Poteva farsi per telescrivente?
Torniamo al «popolo di Seattle», ai contestatori globali, e alla tentazione di
evitarli «online». Questa tentazione rispecchia unillusione, doppia. Anzitutto
perché, evitando il confronto, non si ottiene il risultato dindurli alla ragione,
cioè a riconoscere che i loro temi (quelli buoni, cioè la povertà, le malattie, lambiente)
sono gli stessi in agenda nei vertici economico-politici, ma semmai di ammettere una
sconfitta dei governi democratici di fronte alla piazza.
E poi perché non cè alternativa, come abbiamo visto, al contatto diretto tra i
leader, al «fattore umano», se non vogliamo fare della politica un mondo virtuale, in
qualche modo alieno. Quanto allipotesi dei luoghi remoti (magari su una portaerei in
pieno Atlantico?), sembrerebbe e sarebbe anchessa una fuga dalla realtà.
(23 giugno 2001) |
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