La Stampa 23 giugno 2001

 
Dopo la decisione della Banca Mondiale
di annullare il summit di Barcellona

Il vertice via Internet?
Come una commedia senza attori

Il contatto umano fra i leader politici è fondamentale
Il passato insegna...
MADRID. Persino Eugène Ionesco, il padre del «teatro dell' assurdo», ci rimarrebbe di stucco. Per evitare più che probabili incidenti, la «Work Bank» (WB) aveva annullato, il 19 maggio, la sua conferenza annuale su «Economia dello Sviluppo del 2001 in Europa», che avrebbe dovuto celebrarsi lunedì e martedì a Barcellona.

Gli «antiglobalización» catalani, che avevano accuratamente preparato manifestazioni di protesta, ci erano rimasti con un palmo di naso.

Che fare? Il «Popolo di Seattle» locale non si è dato per vinto. E domani scenderà in piazza lo stesso.

A nulla è valso che il presidente della «Wk»(che userà l'«escamotage» di tenere lo stesso la conferenza ma via Internet, www.worldbank.org/abcde-europe) abbia invitato, via e-mail, il centinaio di organizzazioni protestatarie a partecipare online ai lavori.

Le manifestazioni di protesta si mantengono come se i banchieri ci fossero davvero. Seguendo il calendario previsto, da ieri fino a lunedì.

Non solo: gli sforzi di mobilitazione, soprattutto con il «cyber-tam-tam» (www.rosadefoc.org), sono addirittura aumentati. E domani, i contestatori sfileranno nel centralissimo paseo de Gràcia. «Saremo in 20 mila», assicurano.

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di Aldo Rizzo

La decisione della Banca Mondiale di tenere via Internet la sua imminente conferenza annuale europea e quella analoga della Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio) di far svolgere l’assemblea di novembre nel remoto e isolato Qatar sono misure di emergenza, dettate dall’emozione, e magari da un giusto timore, dopo i fatti di Göteborg, oppure sono un’indicazione concreta per il futuro?

Cioè: le prossime riunioni dei maggiori organismi internazionali, per sfuggire alla furia dei nemici estremi della globalizzazione, dovrebbero svolgersi tutte «online» o, quanto meno, in luoghi praticamente inaccessibili?

Certo, dopo Göteborg, ma già prima, dopo Seattle, Québec, Nizza e così via, e ora nel timore di quanto può accadere a Genova, quanti di noi non hanno pensato a una simile opportunità? Anche perché l’enfatizzazione mediatica di questi summit è diventata francamente eccessiva e sembra fatta apposta per richiamare l’opposta esibizione dei contestatori.

Ma attenzione: il rimedio è nel regolare meglio l’avvenimento e il confronto, non nel riparare in un rifugio elettronico o desertico. Ciò che colpisce di più è l’ipotesi (che, a quanto pare, comincia a realizzarsi) di trasferire gli incontri e i dibattiti tra i leader politici sulla Rete.

Questo significa annullare o sterilizzare il fattore umano, che è più importante di quanto si creda, anche nelle occasioni più impervie della politica, o forse soprattutto in queste.

Pensare di sostituire l’incontro diretto tra i leader, tra i responsabili dei rispettivi governi, con una sorta di «comunicazione fredda», tutta affidata alla tecnologia, è come immaginare una commedia o un dramma senza il contributo caratteriale degli attori: tanto più che, nei vertici politici, specie in quelli cruciali, si recita spesso a soggetto, ben al di là delle battute preparate.

Naturalmente, in questo modo ci si può intendere o fraintendere, può esserci un’intuizione fulminante in un protagonista e una sordità inattesa in un altro. Ma, alla fine, c’è una reciproca esperienza diretta, che dà comunque i suoi frutti.

Facciamo alcuni casi storici, della storia più recente, quando già esisteva ampiamente una tecnologia della comunicazione a distanza. Kennedy e Krusciov a Vienna, giusto nel giugno di 40 anni fa. I due si studiano, ma lì per lì non si capiscono. Soprattutto Krusciov non capisce Kennedy, si fa l’idea di un giovane inesperto. Due mesi dopo, autorizza il muro di Berlino e, sedici mesi dopo, l’installazione dei missili a Cuba. Ma, nel pieno della crisi, qualcosa di decisivo riemerge nella «chimica», che si era comunque prodotta, del loro rapporto personale.

Due loro successori, Reagan e Gorbaciov, a Reykjavik nel 1986. Il primo ha definito l’Urss «l’impero del male», contro il quale sogna lo scudo spaziale. Due giorni di colloqui sul filo della rottura, poi un incontro imprevisto, lunghissimo. Ne escono spossati e politicamente distanti, ma al momento del commiato, sotto un grande vento oceanico, si stringono la mano per interi minuti, come a voler dire andiamo avanti. A tarda sera, noi giornalisti non sapevamo cosa rispondere alle redazioni che chiedevano: un fallimento? Era un «fallimento costruttivo», l’inizio della fine della Guerra fredda.

Tanti altri esempi. La famosa «passeggiata nel bosco», a Ginevra nel 1982, tra i negoziatori (ancora americano e russo) Nitze e Kvitsinski, un’intesa personale, che col tempo sarebbe diventata politica, sugli euromissili. O i viaggi di Willy Brandt nell’Europa comunista degli Anni Settanta, la «Ostpolitik» che fu la prima sfida al muro di Berlino. Poteva farsi per telescrivente?

Torniamo al «popolo di Seattle», ai contestatori globali, e alla tentazione di evitarli «online». Questa tentazione rispecchia un’illusione, doppia. Anzitutto perché, evitando il confronto, non si ottiene il risultato d’indurli alla ragione, cioè a riconoscere che i loro temi (quelli buoni, cioè la povertà, le malattie, l’ambiente) sono gli stessi in agenda nei vertici economico-politici, ma semmai di ammettere una sconfitta dei governi democratici di fronte alla piazza.

E poi perché non c’è alternativa, come abbiamo visto, al contatto diretto tra i leader, al «fattore umano», se non vogliamo fare della politica un mondo virtuale, in qualche modo alieno. Quanto all’ipotesi dei luoghi remoti (magari su una portaerei in pieno Atlantico?), sembrerebbe e sarebbe anch’essa una fuga dalla realtà.

(23 giugno 2001)