Avvenire 3 luglio 2001 I vescovi della Liguria invitano
i loro fedeli a «non essere indifferenti». Occasione che «deve suscitare senso di
responsabilità»
«Diamo una speranza ai giovani della Terra»
«Gli stessi capi di Stato e di governo sappiano ascoltare il grido di tanti popoli»
«Invochiamo giustizia e solidarietà, che dovranno obbedire al
principio di sussidiarietà»
Carissimi fedeli delle Chiese della Liguria,
vi salutiamo con le parole dell'apostolo Paolo: "Grazia a voi e pace da Dio Padre
nostro e dal Signore Gesù Cristo " (1 Corinzi 1, 3).
Tra le tanti voci che continuano a levarsi intorno al G8, allo scopo di favorire il
necessario discernimento evangelico e di sollecitare e sostenere la responsabilità di
tutti e di ciascuno, desideriamo far giungere anche la nostra voce di Vescovi della
Regione Liguria, nella quale avrà luogo questo incontro mondiale.
Lo facciamo con questa lettera, rendendovi partecipi di alcune nostre riflessioni e
preoccupazioni pastorali.
1. Nel fare ciò ci sentiamo spinti e animati, in particolare, dalla nostra fede in Dio
e dal nostro amore verso di voi.
La fede cristiana, infatti, illumina e giudica anche quelle problematiche che il G8
presenta ed evoca. Essa ci svela il volto e il disegno di Dio, Creatore e Padre. Egli
vuole che l'umanità formi un'unica grande famiglia, nella quale tutti gli uomini siano
riconosciuti come titolari degli stessi diritti e doveri, in forza della comune e identica
dignità personale di ciascuno. Per questo Dio pone nel cuore di tutti la legge morale che
li impegna a vivere secondo giustizia, solidarietà e amore.
È in Gesù Cristo, "cuore" della fede cristiana, che si è manifestata
definitivamente l'incommensurabile grandezza della dignità personale di ciascun uomo. In
Gesù Cristo, come scrive il Concilio Vaticano II, "la natura umana è stata assunta
per ciò stesso è stata in noi innalzata a una dignità sublime. Con l'incarnazione il
Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo" (Gaudium et spes, 22). Ed
è Gesù Cristo stesso il fondamento incrollabile dell'unità del genere umano e il
principio vivo, con il dono del suo Spirito, del comandamento nuovo della carità, norma
suprema della convivenza sociale.
L'amore poi verso i nostri fedeli ci sollecita a rivolgerci a quanti ospitano il G8 e ne
sono per ciò stesso coinvolti; e non solo per eventuali problemi e disagi sulla loro vita
quotidiana in rapporto alla casa, al lavoro, agli spostamenti, ma ancor più per lo
stimolo alla riflessione che questo appuntamento racchiude.
2. Il G8 non ci deve lasciare indifferenti. È, piuttosto, un'occasione che deve
suscitare in noi un forte senso di responsabilità, perché i problemi che saranno
affrontati, e che in qualche modo si riferiscono al fenomeno dell'attuale globalizzazione,
sono quanto mai importanti e in qualche modo decisivi per le sorti presenti e future di
noi tutti e dell'intera umanità.
La doverosa attenzione alle esigenze della sicurezza di tutti e a quelle di un dialogo
franco e responsabile tra le autorità e le varie espressioni della società civile, di
cui molto si discute in queste settimane, non deve far dimenticare l'istanza
fondamentale che si collega col G8, quella cioè di dare risposta a quei molti e gravi
squilibri e ingiustizie presenti nel mondo, che un'incontrollata globalizzazione acuisce
enormemente.
Si deve anche riconoscere che, se è vero che gli otto Governanti che si autoconvocano
rappresentano solo una minoranza dei Paesi del mondo e pertanto non possono parlare a nome
di tutti i Paesi, è altrettanto vero che il loro incontro riveste una particolare
rilevanza nei confronti dei grandi problemi planetari. È infatti un incontro che
deciderà quali impegni gli otto Paesi più ricchi e tecnologicamente più evoluti
assumeranno in ordine alla crescita delle economie e delle società meno ricche, o
decisamente povere e affamate, e alla salvaguardia di un ambiente che è da sempre
patrimonio comune e indiviso.
3. Come Vescovi sentiamo viva l'urgenza di risvegliare in tutti, a partire dai
responsabili della cosa pubblica, un sussulto di nuova "moralità" di fronte
ai gravi e talvolta drammatici problemi - di ordine economico-finanziario, sanitario,
sociale, culturale, ambientale e politico - che si connettono con una globalizzazione non
rispettosa dei fondamentali diritti umani di tutti e di ciascuno.
Sono problemi che non possono non interpellare le coscienze di tutti, soprattutto di
coloro che più concorrono a determinare le linee dello sviluppo dei popoli e maggiormente
dispongono di strumenti efficaci per correggere e per orientare questo stesso sviluppo.
Perciò, mentre vi offriamo queste nostre riflessioni e vi chiediamo di assumere ciascuno
la propria parte di responsabilità, intendiamo sollecitare in ultima istanza gli
stessi Capi di Stato e di Governo, che a Genova si incontreranno, perché, consapevoli
della loro effettiva influenza sulle sorti politiche, economiche, sociali e ambientali del
pianeta, sappiano ascoltare il grido di tanti popoli del mondo.
Sono popoli poveri, calpestati nei loro fondamentali diritti umani, sprovvisti dei
minimi mezzi economici di sussistenza, mancanti di istruzione, impediti di partecipare
liberamente alla vita sociale, colpiti dalla fame, dalla malattia, dalla violenza e dalla
guerra. Per questo siamo convinti che, nell'agenda dei lavori del G8, la prima
priorità debba andare alla lotta programmatica ed efficace contro la povertà.
Sono popoli poveri e sono popoli giovani: la maggioranza dei giovani della terra! E,
tra i diritti degli uomini, c'è per i giovani un particolare diritto alla speranza, un
diritto a costruire - con la generosità e con il coraggio che dalla speranza i giovani
attingono - per sé e per il mondo un domani profondamente diverso, meno cinico e meno
utilitaristico di quello che li ha accolti.
4. Noi desideriamo farci voce di questi popoli, poveri e giovani. Per loro
vogliamo invocare giustizia e solidarietà. Ma la giustizia - pilastro
fondamentale e irrinunciabile della convivenza umana - può affermarsi soltanto là dove
sono difesi e promossi i diritti umani non solo di alcuni ma di tutti, a cominciare
dai diritti dei più deboli ed emarginati. Solo così si può camminare verso la vera
democrazia, nella quale tutti godono effettivamente di uguaglianza e di partecipazione
responsabile.
D'altra parte, la stessa giustizia ha bisogno di un'anima che la vivifichi e la sorregga,
e questa non può che essere la solidarietà: una solidarietà consapevole e forte,
che non è "sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali
di tante persone, vicine o lontane", ma "determinazione ferma e perseverante di
impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti
siamo veramente responsabili di tutti" (Giovanni Paolo II, Enciclica Sollicitudo
rei socialis, 38). Una solidarietà che, oggi, nel contesto della globalizzazione in
atto, esige di attuarsi secondo un orizzonte propriamente mondiale.
La giustizia e la solidarietà dovranno, a loro volta, obbedire al principio di
sussidiarietà, che sollecita tutti a rispettare e a valorizzare l'intervento delle
varie soggettività - di persone, di gruppi e di iniziative - della società civile.
5. È giudizio comune che l'attuale processo di globalizzazione - in particolare
nell'ambito economico, finanziario e tecnologico - si configuri come profondamente
ambiguo, perché, mentre avvicina e unisce tra loro i popoli, genera e alimenta intollerabili
emarginazioni, con una vera e propria esclusione dei più poveri.
Ed è giudizio altrettanto acquisito che la globalizzazione esiga di essere
"governata". Da chi, se non dall'uomo stesso, chiamato a non subire i
processi della storia ma a gestirli? L'uomo è chiamato a governare la globalizzazione
"da uomo" e "per il servizio all'uomo", dunque con i criteri della
razionalità e della responsabilità. Come ha detto il Papa: "La globalizzazione, a
priori, non è né buona né cattiva. Sarà ciò che le persone ne faranno. Nessun
sistema è fine a se stesso ed è necessario insistere sul fatto che la globalizzazione,
come ogni altro sistema, deve essere al servizio della persona umana, della solidarietà e
del bene comune" (Discorso ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze
Sociali, 27 aprile 2001). Ed è quanto avviene, in particolare, con un "governo"
da parte della politica, del diritto e dell'etica.
In tal senso ci rivolgiamo a tutti i responsabili della politica, perché - anche
innovando profondamente strumenti e modelli istituzionali per adeguarli alle attuali
urgenze e difficoltà - ricerchino modalità efficaci di intervento capaci di
"regolamentare" una globalizzazione largamente e dispoticamente dominata dalla
nuova finanza-economia, al di fuori di qualsiasi riferimento etico, di giustizia o di
solidarietà. I Governi, per primi, avvertano la grave responsabilità di servire il
bene comune universale, impegnandosi nella lotta contro la povertà con tutti i mezzi
possibili, a cominciare dalla cancellazione o riduzione del debito estero dei Paesi
poveri.
Ci rivolgiamo egualmente agli operatori economici e finanziari, perché sappiano
riscoprire l'originario legame che intercorre tra finanza, economia ed etica: è un legame
radicato nello statuto stesso dell'uomo e perfettamente riconoscibile nel lavoro, ovvero
in quella "economia produttiva", da cui anche la finanza trae origine e
legittimazione. Come la stessa esperienza ci insegna, il rispetto dell'etica torna
sempre a vantaggio della stessa crescita economica: non nei tempi brevissimi ai quali
una certa finanza, di matrice indubbiamente speculativa, ci vorrebbe abituare, ma
certamente nei tempi medi o lunghi che appartengono alla dimensione dell'uomo e che sono
perciò i soli legittimati a giudicare della qualità delle iniziative economiche e
imprenditoriali.
6. A tutti, e in particolare agli operatori della politica e dell'economia, incombe il
dovere di interrogarsi con la massima serietà sui probabili esiti, certamente pericolosi
e dirompenti, del mantenimento o di un ulteriore aggravamento del drammatico divario
che separa il Nord dal Sud del mondo.
Consentito e alimentato da una diffusa insensibilità etica di singoli e di popoli, di
operatori privati e istituzionali, promosso da spericolati giochi economico-finanziari,
aggravato da una arroccata quanto iniqua difesa delle cosiddette "conoscenze
proprietarie" (brevetti costosi e non disponibili e accessibili a tutti) in tutti i
settori di attività, questo solco mostruoso che spacca il mondo e genera ogni giorno
nuove apartheid, si regge su una impensabile concentrazione della ricchezza mondiale
nelle mani di pochissimi, singoli individui o entità multinazionali.
È per noi spontaneo il rimando alla parabola evangelica del ricco e del povero Lazzaro,
che con l'attuale fenomeno della globalizzazione dovrebbe essere letta in termini mondiali
drammatici: davanti ai pochi "Epuloni", che "vestono di porpora e di bisso
e tutti i giorni banchettano lautamente" e che non si accorgono neppure della miseria
che li circonda, sta l'immensa folla dei "Lazzari", che "giacciono alla
loro porta, coperti di piaghe, bramosi di sfamarsi di quello che cade dalla mensa dei
ricchi" (cfr. Luca 16, 19-21).
Non è difficile cogliere gli effetti disumanizzanti di una simile situazione di
ingiustizia: in questo abisso di disparità si spegne, soffocata e cancellata dalla
miseria, la dignità dell'uomo cui tutto è negato; si svilisce la nostra umanità,
isterilita e svuotata dal quotidiano sottrarci alla voce più alta della coscienza; si
blocca il cammino verso una democrazia vera e matura; ne scapita gravemente la stessa
economia, privata ad un tempo di tante vitalità lavorative e imprenditive e di tanti
possibili mercati per i suoi prodotti.
7. Queste riflessioni, però, si devono allargare a tutti noi e ci devono
interpellare direttamente. Attraverso un faticoso ma indispensabile cammino di
"conversione culturale", è urgente e necessario che arriviamo finalmente a
superare quell'ingiusta concezione dei popoli poveri, visti come meri soggetti passivi,
destinatari, al più, di umilianti interventi di elemosina - proprio come le
"briciole" che cadevano dalla mensa di Epulone -, e che ci impegniamo invece, a
livello dei grandi programmi come del piccolo quotidiano di ciascuno, nel recupero e nel
rilancio della loro soggettività e della loro responsabilità; quindi della loro
autopromozione sociale ed economica.
Ragione ed esperienza concordemente indicano l'insufficienza delle pur necessarie analisi
dell'attuale fenomeno della globalizzazione e la sterilità di contestazioni e
dissensi, soprattutto se accompagnati da atti di violenza, che non si aprano alla
formulazione di valide proposte alternative. Ma anche la stessa doverosa pressione
esercitata sugli altri - siano pure i cosiddetti "grandi della terra" - manca di
credibilità e di legittimazione quando non si accompagna all'impegno responsabile di
ciascuno per la realizzazione di quanto a ciascuno è dato e richiesto di fare.
Per questo, occorre che le coscienze di tutti si ridestino e riscoprano in sé i
segni incancellabili di quella naturale solidarietà che tutti chiama alla condivisione;
che, dunque, chiama tutti noi, abitanti del Nord opulento, ad una vita più sobria ed
austera, più consona alla solidarietà operosa con chi è nel bisogno, più
rispettosa della dimensione sociale della stessa proprietà privata.
Ciò presuppone un forte impegno educativo, difficile e urgente insieme, che deve
vedere come prime e convinte protagoniste la famiglia e la comunità cristiana. Queste, a
loro volta, devono essere aiutate dalle altre "agenzie educative", come la
scuola e i vari mezzi della comunicazione sociale.
Nel contesto dell'impegno personale siamo grati alle nostre comunità cristiane e a tutti
quei gruppi che hanno accolto, rispondendo alla sua finalità di sensibilizzazione morale
e di partecipazione economica, la proposta della Chiesa Italiana, in occasione del
Giubileo, per la riduzione del debito estero di due Paesi dell'Africa.
Sempre nella linea dell'impegno personale, invitiamo tutti a coltivare costantemente un
duplice e unitario sguardo. Da un lato, dobbiamo guardare al mondo intero e ai
suoi problemi assumendo un respiro veramente "cattolico", ossia mondiale.
Dall'altro lato, dobbiamo rivolgere lo sguardo, fatto acuto dall'amore, nella comunità
in cui viviamo fino a riconoscervi questo stesso mondo, che di fatto si rende presente
con analoghi problemi nelle nostre stesse Città e Paesi.
Diventerà allora possibile per ciascuno di noi impegnarci responsabilmente e
concretamente per umanizzare lo sviluppo: è quanto avviene, ad esempio, con
l'accoglienza degli immigrati e con lo sforzo di camminare verso una giusta integrazione,
con la lotta contro le vecchie e nuove povertà che incontriamo tra le nostre stesse mura.
La sfida della globalizzazione si configura come problema etico di ciascuno e si
vince anche e innanzi tutto operando sui tanti terreni di "periferia" in cui si
giocano le sfide locali che compongono il complessivo fenomeno della globalizzazione.
8. Davvero vorremmo che per tutti noi cristiani questo G8 in terra di Liguria
diventasse occasione preziosa per rinnovare il nostro impegno a meglio conoscere e ad
approfondire i contenuti della dottrina sociale della Chiesa, su cui incessantemente e
con forza richiama la nostra attenzione il Santo Padre e di cui sono parte anche queste
nostre riflessioni sulla globalizzazione e sui suoi pericoli di devianza rispetto ai
disegni di Dio e ai diritti dell'uomo.
In questa dottrina troviamo la manifestazione più puntuale e completa di un pensiero - e
insieme di un'esperienza di vita - amorevolmente attento alle sorti dei poveri. Vogliamo
affermarlo con fierezza: da sempre la Chiesa, pur con i ritardi e le infedeltà dei suoi
figli, si sente quotidianamente chiamata a seguire l'inequivocabile esempio di Gesù e,
pertanto, ad essere vicina ai poveri e ai sofferenti, a condividerne le difficoltà e le
angosce.
Noi stessi vogliamo rinnovare il nostro impegno a rimanere coraggiosamente fedeli
all'opzione preferenziale per i poveri, nella cui persona c'è una "presenza
speciale" di Gesù Cristo, come ci ammonisce la pagina evangelica del giudizio
finale: "In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di
questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Matteo 25, 40). Il Papa
ci ricorda: "Su questa pagina, non meno che sul versante dell'ortodossia, la Chiesa
misura la sua fedeltà di Sposa di Cristo" (Lettera Novo millennio ineunte,
49).
Sentiamo il bisogno di ringraziare il Signore e, insieme, di dare voce ai non pochi
missionari liguri - siano essi sacerdoti, religiosi, religiose e laici - che, sparsi nel
mondo, offrono il loro servizio quotidiano, spesso in condizioni di grave difficoltà,
alle popolazioni povere dei Paesi di missione. Anche l'aiuto concreto che con maggior
generosità possiamo assicurare ai missionari è una forma importante di contributo alla
causa di una globalizzazione umana e umanizzante.
Soprattutto sentiamo il bisogno di invocare Dio, "ricco di misericordia"
con tutti, perché non si stanchi di donarci saggezza e coraggio per assolvere il compito
affidatoci di costruire un mondo più unito nella giustizia e nella solidarietà.
Per questo intensifichiamo la nostra preghiera personale e comunitaria, specialmente nei
giorni del G8, facendo nostra l'invocazione liturgica della Chiesa nella celebrazione
della Messa "per il progresso dei popoli":
"O Dio, che hai dato a tutte le genti un'unica origine
e vuoi riunirle in una sola famiglia,
fa' che gli uomini si riconoscano fratelli
e promuovano nella solidarietà lo sviluppo di ogni popolo,
perché con le risorse che hai disposto per tutta l'umanità,
si affermino i diritti di ogni persona
e la comunità umana conosca un'era di uguaglianza e di pace".
I Vescovi liguri
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