La Repubblica 8 luglio 2001

"Sterilizzare la zona rossa"
Genova chiude la sua casbah

FABRIZIO RAVELLI


GENOVA - L'ordine partito dal Viminale, e propagatosi giù per li rami dell'apparato di sicurezza, recita: «Sterilizzare la zona rossa». Trattandosi del centro storico di Genova, il più esteso d'Europa e anche il più maleodorante, una casbah che al confronto Tangeri è Zurigo, l'ordine assume una sfumatura umoristica. Ma qui a Genova, a dieci giorni dall'inizio del G8, ormai c'è ben poco da scherzare. Ci provano i trenta ragazzi delle tute bianche che, sfilando per via Pré e via del Campo, consegnano a centinaia di passanti (ottanta per cento africani) beffarde fotocopie del pass (anzi, in burocratese «passi») che permetterà durante il vertice dei Grandi di accedere alla zona rossa. Un facsimile, anzi un «fuck simile». Ma si può immaginare che, se centinaia di antiG8 intaseranno i pochi varchi sventolando queste fotocopie, tutto l'apparato di controllo sarà al collasso.
Il «passi» non ha niente di tecnologico: un banale foglio formato A4 firmato dal dirigente della Digos dottor Spartaco Mortola, che riporta le generalità della persona autorizzata e il numero di un documento di identità. Ad ogni varco, gli oltre ventimila che abitano nel centro storico o vi lavorano dovranno estrarre il foglio, mostrare un documento, e il tutto sarà controllato a un terminale video. Da cinque a dieci minuti per persona, salvo imprevisti: già si immaginano le code. Sono cose come queste che fanno scuotere la testa agli addetti alla sicurezza stranieri, come l'ispettore di Scotland Yard, John Cavanna.
A un tavolino del bar dietro Palazzo Ducale dove si ritrovano per l'aperitivo poliziotti e agenti segreti di svariati paesi, l'angloligure Cavanna racconta che di tutta la situazione genovese un solo aspetto lo entusiasma: «Il fatto che siete così poco formali. Posso andare in giro con jeans e maglietta, anzi mi è stato consigliato di non vestirmi bene. Se no mi identificano subito». Lui sta preparando il terreno per l'arrivo di venti suoi colleghi da Londra, che hanno un compito preciso: monitorare i manifestanti inglesi, spagnoli e tedeschi considerati a rischio, quelli del cosiddetto «blocco nero». Una minoranza ben conosciuta, che si vorrebbe tenere separata dalla maggioranza di non violenti.
Cavanna e quelli come lui avranno anche problemi che derivano proprio dall'apparato di sicurezza, in particolare per le comunicazioni. Durante i tre giorni del G8, e forse anche prima, è molto probabile che nella zona rossa i telefoni cellulari saranno «oscurati». A cura dei colleghi della Cia. Gli americani vogliono che, tutto intorno al percorso seguito dal corteo del presidente Bush e nell'area del palazzo Ducale, nessuno possa far esplodere bombe attivandole con un cellulare. Gli italiani e gli altri agenti dei paesi europei vorrebbero impedire ai manifestanti di comunicare fra loro durante i cortei: «A Praga - dice Cavanna - abbiamo verificato che i telefoni portatili sono serviti per coordinare gli spostamenti durante gli scontri con la polizia». Lui, intanto si adegua: nell'albergo tre stelle dove alloggia ha sistemato un paio di prolunghe telefoniche per i computer portatili. L'arte di arrangiarsi versione Scotland Yard.
Pass e telefoni a parte, la parola d'ordine «sterilizzare la zona rossa» si traduce in una serie di pratiche che sono sempre più frenetiche, a volte comiche, e spesso preoccupanti. I servizi segreti si occupano degli aspetti più seri, e cioè del rischio di attentati del terrorismo internazionale. Genova pullula di spie, e parecchie altre ne sbarcheranno nell'ultima settimana prima del vertice. L'ispettore Cavanna, alla sola idea di incontrare uno 007 al bar per l'aperitivo, inorridisce: «A noi di Scotland Yard è assolutamente vietato avere contatti con uomini dei servizi segreti». Gli altri, meno formalmente, si mescolano negli stessi bar, ristoranti ed alberghi: un po' collaborano, e un po' si fanno i dispetti.
«Ogni servizio - spiega un italiano vecchio del mestiere, ovviamente anonimo - ha attivato la sua rete di informatori. I paesi dell'area Schengen collaborano fra loro, e gli americani come sempre tendono a fare per conto proprio. Posso garantire, almeno per quanto riguarda gli italiani, che ci sono infiltrati in tutti gli ambienti della protesta, a partire dai centri sociali. I russi vengono tenuti in disparte, per ordine degli americani, ma forse hanno ancora qualche gola profonda dell'era comunista». Tutti i satelliti spia, dice, sono stati «sensibilizzati» all'evento di Genova: «Innanzitutto impostando parole chiave, che rilevano ogni accenno al G8 nelle comunicazioni».
A un livello più «basso», che riguarda più la protesta antiG8 che il terrorismo, lavorano polizia e carabinieri, con il supporto del Sisde. Con parecchio nervosismo, qualche difficoltà e diversi eccessi che si ritengono giustificati dalla situazione. Nei primi momenti dell'organizzazione (ancora con il governo di centrosinistra), il Viminale aveva chiesto alla magistratura genovese di dare «copertura» giudiziaria a perquisizioni indiscriminate nella zona rossa. In questi giorni la Questura ha deciso di dare comunque un segnale al popolo di Seattle usando la mano pesante. Sono cominciate le perquisizioni in base al testo unico di pubblica sicurezza, alla ricerca di «armi ed esplosivi» ma in realtà parecchio «allargate». I ragazzi dei centri sociali lamentano di essere fermati per strada anche quattro cinque volte al giorno, perquisiti e identificati.
Anche i dieci che nel pomeriggio arrivano dal Leoncavallo di Milano vengono fermati fuori dalla stazione di Principe: «Poliziotti in borghese, senza nemmeno qualificarsi, ci hanno identificati e perquisiti. Queste non sono misure di sicurezza, ma servono a diffondere il terrore». Sfilano per i vicoli cari a De André dietro a uno striscione che grida «zona rossa di vergogna». Impugnano pistole ad acqua («Queste sono le nostre armi»), e fanno propaganda in mezzo ai genovesi: «Pedinamenti, perquisizioni, sequestri e controlli costanti ai confini della legalità stanno umiliando i cittadini di Genova. Ma non ci spaventiamo e non ci spaventeremo». Arrivano, senza tensioni, fino a Piazza De Ferrari. Lì il Comune offre ai genovesi una «festa di ringraziamento». Spettacolo teatrale, concerto beethoveniano, esibizione di acrobati e volo di una mongolfiera. Grazie al G8, che coi suoi soldi ha permesso i restauri del centro. E soprattutto grazie ai genovesi, che sopportano mugugnando di vivere in una città assediata.
fine servizio