Corriere delle sera 17 giugno 2001
L’ultima idea: il vertice su una nave

Il presidente della Liguria: c’è paura, meglio se lo fanno altrove. Negozianti verso la serrata

DAL NOSTRO INVIATO
GENOVA - La rinuncia a Gino Paoli fa paura. Quasi come i bastoni e le pistole di Goteborg. Per Genova, la speranza di giorni normali se n’è andata con la cancellazione del concerto al Teatro Carlo Felice (era previsto per la sera di sabato 21 luglio). Le immagini degli scontri in Svezia rappresentano quel che avverrà, in una città con le saracinesche abbassate e i teatri chiusi.
Il concerto era l’ultimo degli eventi collaterali del G8, l’unico appuntamento mondano rimasto: le canzoni del più genovese dei cantautori e il suono di un violino appartenuto a Paganini. «Adesso non c’è più niente - dice Nicola Costa, sovrintendente del Carlo Felice -, per quattro giorni questa città sarà una specie di sala riunioni assediata, e basta». Si stanno preparando, i genovesi. Tutti. Le grandi famiglie borghesi e gli abitanti dei carruggi, i vicoli del centro storico. Sanno cosa li aspetta.
E’ come se Goteborg avesse fatto scattare il conto alla rovescia, per Genova e il G8. E gli abitanti ci arrivano con poche certezze. Il pensiero che alla fine il vertice non ci sarà è un tarlo che continua a lavorare. Dal palazzo della Regione in via Fieschi, il presidente Sandro Biasotti parla a voce bassa, come a rivelare un segreto: «Dopo aver visto le immagini di Goteborg beh, penso che se decidessero di portare via il G8 da Genova non mi arrabbierei più di tanto, forse tirerei un sospiro di sollievo». Dice di essere preoccupato da un anno, mai come oggi: «Non vorrei che questa diventasse la prima città ad avere incidenti mortali». Biasotti parla di «inaccettabili ritardi», accusa il precedente governo («Ha voluto e cercato il caos organizzativo, è un tranello contro Berlusconi»). Nel suo ufficio il telefono squilla di continuo: «Questa città non ha carenze sul piano della sicurezza, sono d’accordo con il sindaco Pericu. Il problema sono proprio questi vertici, che fanno da richiamo alla valanga antagonista».
Suonano i telefoni anche negli uffici della Prefettura, dal Viminale continuano ad arrivare correzioni, nuovi ordini, piani alternativi. Per parlare tra loro, i leader mondiali potrebbero lasciare i marmi di Palazzo Ducale ed essere costretti ad andare in mare aperto. A bordo dell’«European Vision», una delle più grandi navi da crociera del mondo. Ospiterà le principali delegazioni, negli ultimi giorni vi sono saliti a bordo i tecnici incaricati di installare il sistema di traduzione simultanea. La decisione verrà presa poche ore prima dell’inizio del vertice.
Eppure, in questi giorni che mischiano paura e rassegnazione, i genovesi vanno nella stessa direzione. Lo dice Nicola Costa, manager del Carlo Felice ed esponente della dinastia di armatori: «Questo evento è sfuggito di mano a tutti, non è quello che si sperava. Ma ho la sensazione che terremo duro. Passerà la slavina che arriva da Goteborg, e almeno riavremo una città più bella». La borghesia genovese, schiva e riluttante a comparire, accetta la sfida. «Quando vado all’estero - dice Sebastiano Gattorno, vicepresidente nazionale Confcommercio, un bisnonno partito dallo scoglio di Quarto con Garibaldi - i miei amici mi guardano con aria di compatimento e mi fanno gli auguri per il G8, sono certi che succederà qualcosa. E quindi, ho deciso di restare in città. Non accetto di farmi dominare dalla paura».
Il marchese Giacomo Cattaneo Adorno non si muoverà dal suo palazzo secentesco che ha ospitato la regina Elisabetta e migliaia di visitatori. E’ nel centro della zona rossa, a pochi metri da palazzo Ducale. «Non mi faccio condizionare. Far finta di niente è la risposta migliore ad ansie e paure». Però il senso forte della genovesità si trasforma in frustrazione: «Tutto quello che era cultura e propaganda della città è stato azzerato. Ci eravamo illusi».
I negozi vanno verso la serrata. Confesercenti: «Quelli che vogliono chiudere sono un esercito». Ancora più duro il presidente dell’associazione commercianti Paolo Odone: «Ormai è evidente che il G8 è solo un evento diplomatico, e la promozione della città non interessa. E allora perché dovremmo rischiare vetrine spaccate e negozi saccheggiati?». Nei vicoli del centro storico il problema non si pone neppure, nella «zona rossa» la chiusura dei negozi sarà inevitabile.
«Se dovessero annullare il G8 - dice il lattaio Piergiorgio Gianbastian - faremmo i salti di gioia. Prima hanno rifatto la città, adesso ci risparmiano i danni dei contestatori? Un sogno». Ultimo discendente della famiglia di petrolieri, presidente dei giovani industriali, Edoardo Garrone è un altro di quelli che rimarranno: «E’ giusto essere spaventati - dice -. Ma è un prezzo da pagare al rilancio di questa città». Dal suo rustico sulle colline di Rapallo, anche Andreina Boero - industriale ramo vernici, azienda fondata dal bisnonno nel 1831 - ammette: «Senza G8 sarebbero tutti felici, è vero. Ma non è giusto. Abbiamo avuto i vantaggi, la città rimessa a nuovo, adesso dobbiamo sopportare gli oneri, la paura, gli scontri. In fondo, il G8 è come un’alluvione, capita una sola volta nella vita».
Marco Imarisio