L'Espresso 5 luglio 2001
NUOVI RIBELLI
Padre Zanotelli: cari ribelli, ascoltate i poveri
A Genova non ci sarà. Ma dalla bidonville in Kenya, dove lavora da tredici anni, avverte:
il movimento antiglobalizzazione vincerà solo se saprà entrare in sintonia con i
movimenti del Sud del mondo di Marco Damilano |
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«No, a Genova non ci sarò». La voce di padre
Alex Zanotelli arriva da lontano, potenza della globalizzazione. «Sono qui con novecento
malati terminali da assistere. Non sono statistiche, sono volti». Vista da Korogocho, la
protesta del popolo di Seattle contro il vertice degli otto grandi di Genova assume un
altro significato. Centomila abitanti, enorme bidonville alle porte di Nairobi, Korogocho
è da tredici anni la casa di Zanotelli, missionario comboniano. Da quando, cioè, fu
costretto dal Vaticano ad abbandonare il suo incarico da direttore della rivista
missionaria Nigrizia dopo aver accusato Giulio Andreotti e Giovanni Spadolini
di tacere sul traffico darmi. Non per questo la sua denuncia si è fermata, anzi. La
bidonville è diventata un punto di riferimento per la miriade di associazioni che in
Italia si richiamano al movimento anti-globalizzazione. E Korogocho è diventata per
Zanotelli un po quello che fu Barbiana negli anni 60 per don Lorenzo Milani:
luogo dellesilio, ma soprattutto luogo in cui sporcarsi le mani, dare fastidio ai
potenti, non lasciare addormentare le coscienze.
Nel corso degli anni padre Alex si è lasciato crescere una lunga barba bianca, le unghie
delle mani sono diventate nere, le spalle incurvate. La passione e la curiosità per
quanto succede nel mondo, e da noi in particolare, restano immutate. Con lItalia
mantiene un legame quotidiano: libri, articoli, e-mail. Risponde al telefono dalla
missione di Nairobi una volta a settimana. Cinque anni fa da un suo viaggio in Italia è
nata lidea della Rete Lilliput, che oggi è il più forte e diffuso network della
galassia no global. Un anno fa, tornò in Italia per partecipare al Giubileo degli
oppressi a Verona. A Genova non ci sarà. Ma solo fisicamente.
Nellera della comunicazione una delle maggiori debolezze del movimento è che
viene definito o in termini negativi (anti-qualcosa: anti-globalizzazione, anti-G8) oppure
con riferimento a un luogo, Seattle, che vuol dire poco o nulla. Tu come lo chiameresti in
positivo?
«Mi piace molto limmagine della rete lillipuziana. È unidea molto bella: la
sfida a un gigante che si può vincere mettendosi insieme. Se ognuno lega allaltro
il suo filino si può immobilizzare Gulliver. Se la gente esce dallimmobilismo e dal
senso di impotenza si possono fare cose incredibili. Per esempio in Kenya lanno
scorso abbiamo sfidato una multinazionale, la Del Monte, e abbiamo vinto».
Il tuo obiettivo è fermare il processo di globalizzazione? Non ti sembra irrealistico?
«Ma io non sono contro la globalizzazione. Io sono contro questo meccanismo infernale che
permette al 20 per cento del mondo di vivere da nababbo e al restante 80 di non avere
nulla. Sono contro questa globalizzazione che impone una cultura materialistica, che
toglie ai popoli la loro cultura, la loro anima. Anche i fondamentalismi religiosi partono
da qui, da questa ricerca di acqua viva. Il problema è che non abbiamo più acqua buona
con cui dissetarci. E magari la cerchiamo in modo sbagliato».
E la globalizzazione buona quale sarebbe?
«La cosa bella è che questo mondo sta davvero diventando un unico villaggio in cui tutti
siamo costretti a incontrarci, con le nostre diverse culture e religioni. Lincontro
con laltro è la grande sfida del nostro tempo. Il vescovo di Molfetta, don Tonino
Bello, diceva che dobbiamo costruire la convivialità delle differenze. Questo
mondo è stato dato a tutti: e per quanto è possibile dobbiamo dare a tutti la
possibilità di partecipare al banchetto comune».
Però anche il movimento di protesta è nato in Occidente. E a qualcuno sembra già
diventata lultima moda di unélite intellettuale.
«È vero, il movimento è nato nelle società ricche. Ma le reti del Nord avranno
successo solo se sapranno mettersi in sintonia con i movimenti del Sud. Che esistono e
sono forti. Il movimento dei sem terras in Brasile raggiunge venti milioni di persone,
quello dei baraccati in India coinvolge almeno otto milioni. Il mondo altro non è che lesigenza
di un gruppo di borghesi annoiati. È la rabbia dei poveri che occorre sentire sulla
propria pelle per essere credibili. A tre chilometri da Korogocho cè una zona di
una bellezza incantevole, ma inaccessibile. E ai poveri fa un male boia».
Questi movimenti nascono tutti nella società civile, lontano da partiti, istituzioni,
parlamenti, governi. E la politica?
«La società civile che si riveglia e si organizza da sola è un fenomeno molto positivo.
Ma sarebbe grave se non riuscisse a trasformare le sue battaglie in decisioni politiche.
Il legame con la politica resta indispensabile: altrimenti facciamo elitismo. Oggi la
politica stenta a trovare spazi decisionali, è stata soppiantata dalleconomia. La
gente vota più quando va a fare la spesa al supermercato nel weekend che alle elezioni
».
Piero Fassino, candidato alla segreteria dei Ds, sostiene che quando Marx parlava dei
proletari non intendeva dire sfigati di tutto il mondo unitevi. E sogna una
sinistra più moderna. Tu che ne pensi?
«Ha detto una bestialità. È unaffermazione che mi lascia di stucco. Se pensano a
lui come segretario vuol dire che sono arrivati. Se voleva essere davvero moderno avrebbe
dovuto proclamare: consumatori di tutto il mondo, unitevi. Ma rafforza una mia
idea: Berlusconi non ha vinto per le televisioni ma perché il modo di pensare che lui
rappresenta è diffuso nella società civile, anche quella che vota a sinistra».
E quando ti dicono che la stessa Chiesa che ti ha messo a tacere, oggi ripete cose che
tu scrivevi già venti anni fa, come reagisci?
«In molto molto semplice: mamma mia, dico, sono felice! Spero solo che alle dichiarazioni
di principio seguano i fatti. Il dramma è che non si riescono a tradurre in scelte
concrete a favore degli oppressi tanti bei documenti. In questi giorni con la mia
comunità stiamo rileggendo lApocalisse: il problema non sono le persecuzioni dellImpero
romano, ma convincere le comunità dei cristiani a non cedere allethos culturale
dellImpero. Il problema della Chiesa di oggi è lo stesso.»
Tu hai scritto che la Chiesa italiana si è berlusconizzata
«Ma certamente! Ci sono state precise indicazioni di voto in quella direzione. Ma non si
può dare in svendita il Vangelo al potere berlusconiano».
Infine, il G8 di Genova. Credi che sia lecito luso della violenza da parte dei
manifestanti?
«Sono stato a Genova lanno scorso a un incontro di preparazione con le associazioni
ed è stata una serata bellissima. In quelloccasione ho detto che per me la scelta
fondamentale resta la non-violenza attiva che è stata inventata da Gesù, molto prima di
Gandhi. Non dobbiamo avere nulla a che fare con i metodi violenti. Non possiamo utilizzare
la stessa logica bellica dei sistemi militari che diciamo di voler eliminare. Se pensiamo
di vincere con le armi siamo sconfitti in partenza, costruiremo un Impero altrettanto
oppressivo. Il problema sono certi nuclei che cercano più visibilità. Dobbiamo
isolarli».
Cosa chiedi da Korogochi ai giovani che manifesteranno a Genova?
«Metà dei bambini di Nairobi non va a scuola, in Kenya 700 persone al giorno muoiono di
Aids, solo a Korogocho assistiamo 900 malati terminali. Sono volti, non statitische. In
nome di questi volti grido ai grandi della Terra: questa è uningiustizia di fronte
al Dio degli ultimi. Chiedo ai ragazzi di Genova di rilanciare questo grido».
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