Tratto da Re Nudo
gennaio-febbraio 2001

GLOBALIZZAZIONE E INCERTEZZA
Spunti da una conversazione con Vandana Shiva

A volte le coincidenze aiutano! Mi ero appena letto un articolo di Umberto Galimberti sulle biotecnologie che aveva avuto un effetto sottilmente depressivo. (C’è una depressione utile e necessaria che apre nuove prospettive e una depressione paralizzante e involutiva invece chiude un po’tutto). Volevo polemizzare. Diceva Eraclito ‘polemos - il conflitto - è padre di tutte le cose -, o come si dice oggi è ‘generativo’. Ma non volevo cadere nella tendenza rivendicativa che così spesso alimenta i battibecchi politici o quelli tra esperti. Qualche giorno dopo mi è capitata l’opportunità di incontrare e chiacchierare con Vandana Shiva e di riflettere con lei su alcune delle considerazioni di Galimberti che meno condividevo. Di Vandana mi ha innanzitutto colpito la grande determinazione, l’intelligenza articolata e serena, l’indomabile buon senso, il sorriso. Penso ‘Ecco una donna che sa difendere bene il territorio’!’ Allora aprofittando di questo felice incontro, provo a dipanare un po’ il gomitolo!

Le argomentazioni di Galimberti che meno mi avevano convinto erano quattro: le
riassumo sinteticamente.
Uno: le scelte biotech non possono essere affidate all’opinione pubblica che
non avrà mai gli elementi per decidere in modo ‘informato’
Due: La propaganda falsa le questioni con lo spauracchio genetico dei mostri
alla Frankenstein
Tre: Il pericolo principale per la democrazia è legato all’impossibilità di
informare adeguatamente l’opinione pubblica, data la complessità delle
questioni possibili
Quattro: Non abbiamo misure etiche per affrontare il problema; il principio
di responsabilità di Hans Jonas non è adeguato.

Punto Primo: Galimberti non crede che le questione biotech permettano un coinvolgimento democratico. Si chiede infatti: "L’opinione pubblica può essere adeguatamente informata? Penso solo limitatamente, ma molto limitatamente, perchè la qualità dei problemi implica un livello di competenza che l’opinione pubblica non può raggiungere. Se un referendum mi dovesse chiedere se sono favorevole o contrario ai cibi transgenici o, come qualche anno fa mi è stato chiesto, se sonofavorevole o contrario alla chiusura delle centrali nucleari, io risponderei in un senso o nell’altro a partire dalla mia sensibilità più incline a una visione romantica della natura o più incline a una partecipazione entusiastica ai progressi della scienza, oppure apartire dalle persuasioni maturate come effetto della propaganda dei media, ma in nessun caso deciderei per competenza, perchè, non essendo né un biologo molecolare, né un fisico atomico, non sono nelle condizioni di formulare un giudizio razionale, competente ed esauriente che sia all’altezza del problema."

Ho girato la domanda a Vandana Shiva che ha risposto così:

"Ci sono due ragioni fondamentali per cui le scelte sull’ingegneria genetica non possono essere lasciate agli ‘esperti’ di biotecnologia. Tanto per cominciare, le applicazioni della ricerca genetica coinvolgono in modo essenziale le nostre vite.
Coinvolgono le basi del nostro sistema alimentare, le basi della riproduzione e le basi della salute. Sono questioni che riguardano ognuno dato che ognuno ha il diritto di decidere che cosa mangiare come fare i bambini, che tipo di sistema sanitario costruisce. Si tratta di decisioni democratiche che interpellano la società nel suo insieme e non possono essere lasciate agli specialisti.
La seconda ragione è che gli esperti in manipolazione dei geni sono in realtà stupidi e ignoranti in tutto il resto, ivi comprese altre forme di sapere, altre competenze. Non conoscono l’impatto che le biotecnologie avranno sul sistema ecologico… non hanno la minima idea delle conseguenze sulla biodiversità.
Mi sono fatta l’idea che lavorino con piattini pieni di batteri e pipette da laboratorio e che solo di questo siano competenti… non hanno mai visto le vere piante che crescono nei campi.
E’ un po’ come dire che siccome alla General Motors sapevano come costruire le automobili erano anche i più competenti per ridurrre emissioni di ossido di carbonio. Ora la GM avrà anche saputo come fare le auto ma si sono dimostrati stati ignoranti e stupidi per quanto riguarda la previsione e la gestione del cambiamento.
La General Electrics sarà stata competentissima nella costruzione di frigoriferi ma non aveva la minima idea di star facendo un buco nell’ozono…
Così c’è bisogno di un altro tipo di competenza. E l’ingegneria genetica non è in grado di calcolare gli effetti complessivi, nemmeno per quanto riguarda l’area applicativa di cui si occupano. L’ultima che hanno sparato è che costruiranno un riso che produce Vitamina A. Però non hanno fatto neanche una previsione: non hanno nemmeno azzardato il target di quello che vogliono ottenere nel giro di dieci anni… per esempio andando a vedere quanta vitamina A sia necessaria in una normale dieta. Però non hanno mai guardato una vera piantina di riso. Sono sì riusciti a prendere dna dal narciso giallo - la giunchiglia - e da batteri e a inserirlo nel dna del riso ma non si sono
fatti la minima idea dell’impatto complessivo di queste modifiche, nemmeno per quanto riguarda il raggiungimento di obiettivi che hanno dimenticato di definire! Quale competenza hanno per dirci che produrranno più cibo, che elemineranno la malnutrizione e così via…
Così c’è bisogno di un altro tipo di competenza. E l’ingegneria genetica non è in grado di calcolare gli effetti complessivi, nemmeno per quanto riguarda l’area applicativa di cui si occupano."

E’ buffo che il filosofo si appelli alla competenza degli scienziati e che Vandana Shiva che è una scienziata (dopo la laurea in fisica ha fatto il master su ‘Variabili nascoste e non-località nella teoria dei quanti," e il dottorato in filosofia della scienza.) risponda sul piano concreto della ragione e del buon senso. Ragione che naturalmente sappiamo non può coincide col sapere strumentale della tecnica!

Punto secondo: Galimberti sembra addirittura più preoccupato dal fatto che il peso della propaganda pesi dal lato dei detrattori delle biotecnologie. Scrive nello stesso articolo: " Innanzi tutto bisogna smantellare l’immaginario dai
mostri di Frankenstein che la cattiva informazione sulla genetica alimenta."

Ora sembra invece che le grandi multinazionali dopo aver investito tanti miliardi in Ricerca e Sviluppo si siano recentemente riunite e si siano dette quanto segue: ‘l’opinione pubblica ci è troppo avversa, che fessi, con tutti i soldi che ci abbiamo messo dobbiamo investire di più in propaganda! Dobbiamo innazitutto far capire che l’opinione pubblica di queste cose nulla ci azzecca, dobbiamo riconquistare la fiducia del consumator cortese!

A,nche Vandana Shiva è di questo avviso. Mi ha detto testualmente: "Questa è la vera tragedia, che la scienza sia stata sostituita dalla propaganda e l’attività scientifica sia stata sostituita dalle relazioni pubbliche. E questa è una
seria minaccia alla conoscenza, perché se si hanno i soldi per comprare pagine intere dei quotidiani, per comprare spot televisivi, è chiaro che la gente comune non ha quel genere di soldi, non ha le risorse per rispondere adeguatamente… E’ verissimo che per le grandi multinazionali la cosa che conta è la propaganda, non hanno a cuore la questione alimentare. Quello che hanno a cuore è la spartizione del monopolio. Se ottengono questo controllo il fatto che le loro tecnologie risultino deludenti non sarà così importante perché i profitti saranno
comunque garantiti. Non hanno a cuore la vita. Un esempio: hanno recentemente scoperto che c’è un mercato mondiale di 400 miliardi di dollari all’anno legato alla privatizzazione dell’acqua. E allora cominciano a spingere per la privatizzazione senza curarsi dell’impatto che questo avrà sulla vita. Le istituzioni economiche mondiali subito si mettono a predicare che bisogna privatizzare! Quello che le regolazioni del WTO stanno imponendo non è la libertà di scambio e di produzione di intere popolazioni, ma il bisogno delle multinazionali di organizzare in modo ‘razionale’ i loro profitti. E in India questa situazione sta ricostituendo una sorta di mostruoso feudalesimo
aziendale, riducendo allo stato di servi della gleba contadini che prima avevano un loro pezzetto di terra. Basta pensare che negli ultimi anni più di 20.000 contadini si sono suicidati. Contadini che avevano vissuto in condizioni di estrema povertà, che erano sopravissuti a terribili carestie e inondazioni, ma che non avevano mai pensato al suicidio, perché queste catastrofi erano vissute comunque in modo meno ineluttabile e spietato di quanto non sia il controllo da parte delle grandi aziende agroindustriali. Questo da quando gli organismi internazionali hanno reso
illegale la regolazione nazionale del commercio."

Terzo punto: leggendoLGalimberti sembrerebbe che l’impotenza a offrire una informazione esauriente costituisca definisce il pericolo principale per la democrazia: "La scienza oggi pone alla società problemi di una complessità
tale che superano di gran lunga le competenze dell’opinione pubblica, la quale non può decidere se non a partire da preconvinzioni o pregiudizi senzaltro legittimi, ma che, per la loro incompetenza, non possono che essere irrazionali. Questo è il vero rischio che oggi corre la democrazia, un rischio che non è tanto (anzi non lo è per
niente) nel conteggio delle schede elettorali americane, ma nel fatto che i problemi che di giorno in giorno pone la scienza sono a un livello di specializzazione tale che l'opinione pubblica non potrà mai raggiungere, e
perciò esprimersi in proposito con criteri di razionalità."
E’ vero che poi riconosce la dipendenza dellla politica dalla tecnoscienza. Ma io mi chiedo che cosa intenda Galimberti per razionalità. Mi chiedo se abbia davvero letto lo straordinario lavoro del suo collega filosofo Hans Jonas nel cercare di fondare dei principi di razionalità etica comprensibili e innovativi, a partire dalle profonde novità introdotte dalla tecnica moderna. Quanto alla democrazia, il pericolo che evoca Vandana è un po’ diverso. Le chiedo se l’effetto principale dell’imprevedibilità e dell’incertezza legate alla globalizzazione genirino involuzioni politiche e simboliche, letteralismi, trinceramenti identitari. Mi dice, tra l’altro: "Sono convinta che l’aumento del fondamentalismo, dell’intolleranza etnica e religiosa rappresentino l’altro lato della globalizzazione.
E’ inevitabilmente collegato alla globalizzazione ed è un prodotto della globalizzazione. E’ per questo motivo che, sebbene si parli tanto di effetti positivi, di villaggio globale e di pace mondiale, vediamo un aumento delle guerre civili, dell’intolleranza etnica, della xenofobia. Ci sono due modi in cui la globalizzazione ha a che fare con l’odio culturale, con la guerra e la violenza. Il primo deriva dal fatto che la globalizzazione crea giocoforza
insicurezza globale. I cittadini di ogni società sono terribilmente spaventati perché i sistemi di protezione sociale sono stati smantellati. E quando la gente ha paura si rivolge a chiunque li rassicuri. E a riscuotere i benefici politici dell’insicurezza sono quelli che hanno investito sull’incertezza agitando lo spauracchio della differenza
? lo spauracchio delle altre razze, delle altre religioni, delle immigrazioni… è un gioco facile.
Ma c’è un secondo motivo per cui ciò sta accadendo in questo momento.,Penso al fatto che negli ultimi venti-trenta anni di sovranità nazionali lo stato abbiasvolto un ruolo centrale e la politica rappresentativa sia stata lo
strumento con cui le persone esercitavano il controllo democratico dello Stato. Questa politica rappresentativa c’è ancora ma non è più in grado di determinare gli indirizzi di politica economica sul piano della sovranità nazionale.
Così gli uomini politici vengono eletti, ma non possono garantire ? Per dirne una - la scelta del sistema alimentare, se si mangeranno organismi geneticamente modificati oppure no. Certo, si va ancora la voto ma gli uomini politici
vanno tutti nella stessa direzione perché l’altra faccia della globalizzazione è la ristrutturazione antidemocratica dei sistemi nazionali in modo che obbediscano alle leggi del mercato globale, alle leggi del WTO, alle ‘direttive’ della Banca Mondiale e dell’IMF…
Ma sin tanto che gli uomini politici non si dichiarano dittatori, dovranno ripresentarsi davanti alla corte elettorale ogni quattro o cinque anni ed essere giudicati. E se vogliono i voti, e se non possono offrire l’acqua a un
villaggio che ne ha bisogno, e se non posssono garantire agli operai che il loro posto di lavoro verrà difeso, che non emigrerà, se non possono offrire vantaggi e sicurezze economiche, allora devono proporre l’odio come fonte di sicurezza….

Quarto punto: Finalmente Galimberti pone la questione etica, ma per dire che:
- l’etica cristiana naturalmente è inadeguata in quanto etica delle intenzioni
- l’etica kantiana dell’uomo come fine è da un lato inapplicabile e dall’altro insufficiente in quanto limitata all’uomo.
- E l’etica della responsabilità di Jonas?
Galimberti la liquida così: "All’inizio del nostro secolo Max Weber formulò l’etica della responsabilità, recentemente riproposta da Hans Jonas. Secondo Weber   chi agisce non può ritenersi responsabile solo delle sue intenzioni, ma anche delle conseguenze delle sue azioni. Senonché, subito dopo aggiunge: ´Fin dove le conseguenze sono prevedibili. Questa aggiunta, peraltro corretta, ci riporta punto e a capo, perché é proprio della scienza e della tecnica avviare ricerche e promuove azioni i cui esiti finali non sono prevedibili. E di fronte
all’imprevedibilità non c’é responsabilità che tenga. Lo scenario dellíimprevedibile, dischiuso dalla scienza e dalla tecnica, non è infatti imputabile, come nell’antichità, a un difetto di conoscenza, ma a un eccesso del nostro potere di fare enormemente maggiore rispetto al nostro potere di prevedere, e quindi di valutare e giudicare. L’imprevedibilità delle conseguenze che possono scaturire dai processi tecnicoscientifici rende quindi non solo líetica dell’intenzione (il cristianesimo e Kant), ma anche l’etica della responsabilità (Weber e Jonas) assolutamente inefficaci, perché la loro capacità di ordinamento è enormemente inferiore all’ordine di grandezza di ciò che si vorrebbe ordinare.

Il limite tra lucidità senza illusioni e nichilismo a volte è sottile, e non si tratta certo di mettere in dubbio le ‘buone intenzioni’ di Galimberti. Non sono un filosofo e mi posso sbagliare ma mi sembra che il discorso di Jonas venga
ricondotto arbitrariamente a quello di Weber. Per Weber l’uomo era responsabile delle proprie azioni, ma non per quanto stava al di là della sua sfera d’azione. O, detto altrimenti, il disincanto del mondo, legato alla perdita di valori assoluti, riconduce l’etica nell’ambito della razionalizzazione del possibile, l’etica si fonda unicamente sulle conseguenze prevedibili dell’agire. Le stesse assicurazioni declinano ogni responsabilità per gli ‘atti di Dio’. Ora Galimberti sembra trattare la scienza alla stregua di Dio. Dimenticando che l’imprevedibilità generata dalla tecnoscienza è un risultato dell’azione umana. Jonas fa un discorso radicalmente diverso da quello di Weber perché riconosce che la sfera di azione dell’uomo si è enormemente ampliata…. E così deve ampliarsi il principio di responsabilità rispetto all’imprevedibilità dell’agire umano. E’ proprio l’incapacità, si potrebbe dire anche l’incompetenza, degli scienziati/esperti nel prevedere le implicazioni cumulative a lungo termine della tecnica a porre problemi nuovi. Scrive Jonas: " Il divario tra la forza del sapere predittivo e il potere dell’azione genera un nuovo problema etico. Il riconoscimento dell’ignoranza diveneterà allora l’altra faccia del dovere di sapere e quindi una componente dell’etica a cui spetta il compito di istituire ils empre più necessario autocontrollo del nostro smisurato potere. Nessun’etica del passato doveva tener conto della condizione globale della vita umana e del futuro lontano, anzi della sopravvivenza della specie. Proprio il fatto che essi siano in gioco esige, a dirla breve, una nuova concezione dei diritti e dei doveri…" E delinea alcuni punti di una possibile carta in fieri dei doveri:
- Il dovere di immaginare (conl pensiero e col sentimento) gli effetti a lungo termine dell’azione tecnica
- il dovere di dire ‘no al non essere’ di fronte al pericolo dell’estinzione - in altre parole il dovere nei confronti dei discendenti, - altrimenti detto: nessun ‘diritto’ dell’umanità al suicidio! Jonas rivaluta infatti la paura come assolutamente complementare sia alla speranza (Bloch) ? condizione di ogni agire - che alla lucidità priva di illusioni (Anders) che sa valutare la crisi della ragione strumentale e dell’utopia tecnica. "La paura, ancorché caduta in un certo discredito morale e psicologico, fa parte della responsabilità, altrettanto quanto la speranza…" non dovrebbe dunque distogliere dall’agire ma permettere di affrontare in anticipo l’ignoto, generando un
sentimento di responsabilità per l’ignoto. Proprio questo atteggiamento coraggioso "davanti all’incertezza finale della speranza, costituisce una condizione della responsabilità dell’agire: appunto quello che si definisce ‘il coraggio della responsabilità’"…. "sarebbe invece effettivamente pusillanimità evitare la paura ove essa sia necessaria".

Il principio di razionalità proposto da Jonas è però semplice, accessibile, permette un orientamento a chiunque: avete voglia o no di ‘investire nel futuro?’ Avete il diritto ? come dice Vandana - di immaginare a partire dalla paura il futuro del cibo, della salute, della riproduzione? Al di là dell’innegabile rischio insito in oggni scelta etica dovremmo chiederci una semplice domanda: le decisioni che prendiamo aprono o chiudono possibilità evolutive e ricombinanti per i secoli a venire? Mantengono o esauriscono le risorse e le scelte possibili per l’Altro che ci viene incontro, per le generazioni future?

Vadnana Shiva, fisica, dirige la Research Foundation of Science, Technology and Natural Resources Policy di New Delhi. Ha vinto il Right Livelihood Award nel 1993, considerato da molti un Nobel Alternativo per la Pace. E’ codirettrice di "The Ecologist". Anima numerosi movimenti indiani, tra cui Navdanya (nove semi) e ARISE, che promuovono sul campo la difesa della biodiversità e la promozione dell’agricoltura sostenibile. Coordina il movimento di comunità rurali per la democrazia della vita, Jaiv Panchayat E’ socia fondatrice di diversi
movimenti internazionali tra cui ‘Donne Diverse per la biodiversità’.