ALCUNE OSSERVAZIONI SULLA
"DIRETTIVA PER LA PROTEZIONE
DELLE INVENZIONI BIOTECNOLOGICHE"
E SULLA QUESTIONE DEGLI ORGANISMI GENETICAMENTE MODIFICATI
A cura di: Carmen Dell'Aversano (Università di Pisa)
E-mail: aversano@humnet.it
INDICE PRESENTAZIONE PARTE PRIMA:
1. LE MANIPOLAZIONI GENETICHE TRA PROPAGANDA E REALTA'
4. RASSICURAZIONI ASTRATTE E RISCHI CONCRETI:
DATI ED EVENTI CHE DOVREBBERO FAR RIFLETTERE
PARTE SECONDA: DIRITTI E DOVERI IN UNA SOCIETA' CIVILE: LA QUESTIONE DEI BREVETTI
7. CHI TUTELA VERAMENTE LA DIRETTIVA?
8. LA SITUAZIONE DEGLI STATI UNITI: UN INVITO ALLA PRUDENZA
9. GLI SCONCERTANTI BREVETTI DELL'EUROPEAN PATENT OFFICE
10. TRA UOMO E ANIMALE: L'ULTIMA NOVITA' IN FATTO DI PRODOTTI BIOTECNOLOGICI
11. UN INCENTIVO ALLA RICERCA?
12. L'IMPATTO DELLA DIRETTIVA SULLA SANITA'
13. LIBERO MERCATO O MONOPOLIO: L'ECONOMIA OCCIDENTALE A UNA SVOLTA
14. INVESTIMENTI PUBBLICI, PROFITTI PRIVATI: UN PO' DI CONTI SULLA DIRETTIVA
15. MATERIA INANIMATA E MATERIA VIVENTE: UN EQUIVOCO PERICOLOSO
16. XENOTRAPIANTI: "L'ULTIMA FRONTIERA"
Questo documento presenta in forma chiara e divulgativa le piu' importanti informazioni scientifiche e tecniche sulla questione delle manipolazione genetiche e sull'impatto che l'approvazione della "Direttiva sulle invenzioni biotecnologiche" avrebbe sul futuro della societa' europea. La prima parte, dal §2 al §6, e' dedicata in generale alla questione degli OMG (organismi geneticamente modificati), mentre la seconda, dal §7 al § 18, discute specificamente la direttiva sui brevetti.
In particolare, nel §2 vengono fornite le informazioni di base sulle manipolazioni genetiche e sulla direttiva; nel §3 viene discusso il principio della "sostanziale equivalenza", alla base della legislazione corrente sugli OMG; il §4 presenta una breve panoramica dei rischi piu' evidenti connessi all'uso degli OMG, mentre il §5 tratta degli incidenti che si sono effettivamente verificati finora, e il §6 discute l'affermazione dell'industria biotecnologica secondo cui gli OMG fornirebbero un ausilio imprescindibile alla lotta contro la fame nel mondo.
Nel §7 viene chiarito un aspetto fondamentale per una corretta visione politica della questione: la direttiva cosi' com'e formulata non ha lo scopo di tutelare l'industria europea ma di permettere alle multinazionali straniere di estenedere all'UE il proprio monopolio brevettuale. Nel §8 viene discussa la situazione degli Stati Uniti, che i fautori della direttiva presentano come il modello a cui la legislazione europea dovrebbe adeguarsi. Il §9 considera alcuni casi concreti di brevetti effettivamente concessi dall'European Patent Office. Il §10 presenta il caso più inquietante tra i brevetti sulla vita richiesti finora; il §11 e il §12 discutono l'impatto che l'approvazione della direttiva avrebbe rispettivamente sulla ricerca scientifica e sulla sanita'. Il §13 spiega come l'approvazione della direttiva avrebbe l'effetto di instaurare un regime monopolistico nei due settori piu' importanti dell'economia, quello del cibo e quello della salute. Il §14 affronta un argomento generalmente passato sotto silenzio: il ruolo degli investimenti pubblici nella ricerca e nell'industria biotecnologica. Il §15 chiarisce i motivi scientifici per cui non e' possibile applicare agli esseri viventi una logica di tipo industriale e uno strumento nato per tutelare le invenzioni industriali come il brevetto, mentre il §16 discute un'aberrazione particolarmente rischiosa della logica industriale: gli ibridi uomo-animale usati come "parti di ricambio" per il corpo umano. I §§17 e 18 considerano la questione dal punto di vista rispettivamente economico e guiridico. Il §19 fa il punto sulle motivazioni "altruistiche" dell'industria, mentre l'ultimo paragrafo, il 20, presenta un documento riservato che chiarisce la vera posizione dell'industria biotecnologica e discute l'aspetto piu' rilevante e minaccioso della questione, la sua natura di apocalisse che siamo ancora in tempo ad evitare.
Il 12 maggio 1998 il Parlamento Europeo ha approvato la cosiddetta "Direttiva sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche", che autorizza la brevettazione di interi organismi, nonché di parti, organi e geni di qualsiasi essere vivente, compreso l'uomo, senza alcuna necessità di informare il "donatore" o di procurarsi il suo consenso. Contro la direttiva si erano mobilitati i più vari settori della società europea, dalle associazioni di malati a quelle per la tutela dell'ambiente agli organismi di cooperazione con il terzo mondo. Nel nostro paese, il primo ad attirare l'attenzione dell'opinione pubblica sui rischi incalcolabili collegati alle manipolazioni genetiche, e successivamente a coordinare gli sforzi delle organizzazioni non governative contro la direttiva, è stato il Comitato Scientifico Antivivisezionista, che già nel 1994 progettò una campagna pubblicitaria sull'argomento (comparsa circa 200 volte sulla stampa periodica nel corso del 1995). La data non era stata scelta a caso: proprio il primo marzo del 1995 ebbe infatti luogo al Parlamento Europeo la votazione definitiva su una direttiva sui brevetti praticamente identica a quella approvata quest'anno. Nel 1995 la direttiva fu respinta a larga maggioranza. Questo fatto è particolarmente significativo perché, come tutti sappiamo, tra il 1995 e il 1998 non ci sono state elezioni: i parlamentari che il 12 maggio 1998 hanno approvato a larga maggioranza la direttiva sono dunque le stesse persone che a larga maggioranza l'avevano respinta senza appello il primo marzo del 1995.
Questo sorprendente voltafaccia è stato il risultato di quella che lo stesso De Clerq, presidente della Commissione Giuridica dell'UE, non ha esitato a definire la "la più vasta campagna di lobby nella storia dell'Unione Europea". I promotori della direttiva non avevano saputo accettare la sconfitta del 1995 con spirito sportivo (il commissario Bangemann definì pubblicamente gli europarlamentari "un gruppo di scolaretti emotivi"), e tornarono alla carica servendosi di mezzi che non trovano precedenti nella storia dei dibattiti parlamentari: al Parlamento Europeo comparvero all'improvviso gruppi di paralitici in carrozzella che indossavano magliette con la scritta "No patents No cure" (senza brevetti non c'è cura). Queste persone erano state reclutate da due grandi organizzazioni di malati ciascuna delle quali rappresenta parecchi gruppi, il GIG e l'EAGS; è piuttosto interessante osservare che il GIG dopo aver ascoltato altri pareri sulla direttiva ha cambiato idea e si è unito alla coalizione europea contro i brevetti, mentre l'EAGS è stato sconfessato dalle associazioni che affermava di rappresentare.
Per quel che riguarda in particolare l'atteggiamento degli europarlamentari italiani, bisogna poi ricordare che il Parlamento nazionale italiano aveva espresso per ben tre volte parere radicalmente contrario alla direttiva: una prima volta nel documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sulle biotecnologie della Commissione Agricoltura della Camera, presentato alla Camera il 28/1/98, una seconda volta in un ordine del giorno elaborato dal Senato e approvato a vasta maggioranza il 10/3/98 in cui il Senato "impegna il Governo ad attivarsi perché sia sospesa l'emissione della direttiva fino alla sua radicale rielaborazione", e una terza volta in una risoluzione votata all'unanimità dalla Commissione Affari Sociali della Camera il 10/3/98. Inoltre il Governo italiano, insieme a quello belga, si era astenuto dalla votazione il 27/11/97, quando il testo della direttiva successivamente approvato dal Parlamento era stato sottoposto al Consiglio dei Ministri dell'UE. Anche il Presidente della Repubblica Scalfaro, in una lettera recentemente resa pubblica, ha espresso forti preoccupazioni riguardo alla direttiva.
La questione della direttiva sui brevetti e quella, più vasta ma ad essa intimamente collegata, delle manipolazioni genetiche, sono inseparabili da un problema generale assolutamente centrale per la democrazia: quello del diritto e della qualità dell'informazione, problema che sorprendentemente ha riguardato gli stessi europarlamentari: il 29 aprile 1998, durante l'ultima riunione della Commissione Giuridica prima del voto sulla direttiva, il presidente De Clerq si è rifiutato di fornire ai membri della Commissione copia delle mozioni di condanna della direttiva approvate dai parlamenti nazionali italiano e olandese, limitando così gravemente il loro diritto all'informazione. Anche il Senato della Repubblica Italiana, in occasione di un recente pronunciamento sulla questione (10 marzo 1998), ha riconosciuto che l'informazione su questi temi è gravemente insufficiente e si è impegnato a far sì che i mezzi di comunicazione di massa dedichino per il futuro più attenzione ad un argomento così rilevante, ma nessuno ha raccolto il suo appello: il poco spazio che è stato dedicato alla questione è stato occupato dall'illustrazione del punto di vista dell'industria, con la descrizione di un futuro luminoso in cui le malattie saranno sconfitte e le carestie scongiurate grazie alla provvidenziale alleanza tra tecnologia e mercato. Tra gli scopi più urgenti di questo documento vi è quello di dare espressione ad un altro punto di vista, decisamente meno ottimistico, presentando informazioni complete e fondate sia sulla direttiva che sugli OGM.
Questa sigla designa gli organismi geneticamente modificati, cioè gli esseri viventi il cui patrimonio genetico è stato alterato dall'uomo. E importante ricordare sin dall'inizio che le decisioni più importanti sugli OGM vengono prese da pochissimi organismi internazionali fortemente centralizzati e non elettivi come il WTO e il Codex Alimentarius. I governi e i parlamenti si limitano nella maggior parte dei casi a recepire tacitamente queste decisioni, che pure implicano conseguenze gravissime in ambiti di indiscutibile rilevanza per la politica dei singoli stati.
Molto si potrebbe dire sul catastrofico impatto ambientale degli OGM, sulla minaccia mortale che essi costituiscono per la biodiversità, valore esplicitamente salvaguardato da importanti convenzioni internazionali, sugli effetti disastrosi del commercio di sementi geneticamente modificate sull'economia del terzo mondo e sul flagello della pirateria genetica, nonché sulle complesse questioni etiche che sollevano. Non è un caso che i rappresentanti delle nazioni africane convenuti alla FAO nel giugno del 1998 abbiano lanciato l'allarme contro le biotecnologie in agricoltura, che minacciano la sopravvivenza fisica ed economica delle popolazioni di tutto il Terzo Mondo. Abbiamo tuttavia preferito lasciare da parte quest'analisi ad ampio raggio per concentrarci su uno scenario più ristretto e più familiare: quello dell'alimentazione e della salute nei paesi industrializzati come l'Italia. Questo opuscolo non parla di luoghi distanti e di tempi lontani, non affronta astratte questioni di principio: parla, con esempi inquietanti proprio perché concreti, dei nostri supermercati, delle nostre tavole (e, soprattutto, dei nostri ospedali), in un tempo così prossimo da essere già cominciato. indice
PARTE PRIMA: LE MANIPOLAZIONI GENETICHE TRA PROPAGANDA E REALTA'
2. INFORMAZIONI DI BASE
Fin da quando sono esistiti agricoltura e allevamento, l'uomo ha cercato di intervenire sugli animali e sulle piante al fine di accentuarne i tratti per lui più desiderabili attraverso la tecnica della selezione mediante incrocio, che ha dato origine a tutta l'immensa varietà di piante ed animali domestici che conosciamo. Per quanto usata dagli uomini per i loro scopi, essa fa uso di mezzi del tutto naturali (la riproduzione sessuale) e ricalca, rendendolo più rapido e controllabile, le modalità del processo di costituzione delle specie che ha luogo da sempre in natura.
Oggi, per la prima volta nella storia della vita, esiste la possibilità di intervenire sugli organismi viventi non più attraverso il naturale processo riproduttivo, ma alterandone l'identità genetica in laboratorio. Questo rende possibile creare esseri viventi con caratteristiche stabilite arbitrariamente, e superare la barriera tra le specie con la produzione di chimere, esseri che fondono i caratteri di due o più specie diverse. Per mantenere inalterate le caratteristiche di questi organismi sintetici in modo da permetterne la produzione industriale è necessario che la loro riproduzione non sia più affidata alla casualità dell'incrocio ma venga effettuata in modo da replicare esattamente il corredo genetico ottenuto artificialmente, servendosi quindi della clonazione, che permette di ottenere infiniti gemelli identici ad un esemplare dato. Negli Stati Uniti e in Giappone tutti gli organismi, i geni e le parti del corpo (anche umano) ottenuti, o anche semplicemente riprodotti, attraverso l'ingegneria genetica sono brevettabili, vale a dire sfruttabili in esclusiva da una singola industria. La direttiva sui brevetti ha modificato in questo senso anche la legislazione dell'Unione Europea.
Naturalmente, gli OMG brevettati si riveleranno redditizi solo se verranno accettati dal mercato. Le industrie che li producono cercano di sostenere la loro adozione con diversi argomenti, che ora cercheremo di esaminare da un punto di vista rigorosamente scientifico, senza impelagarci in nebulose questioni di principio, ma facendo riferimento ai risultati più attendibili di un dibattito che da diversi anni vede schierati da un lato medici e scienziati e dall'altro i responsabili delle pubbliche relazioni di poche grandi multinazionali
ansiose di sedare le perplessità dell'opinione pubblica e della classe politica su quello che non è esagerato definire un esperimento senza ritorno su scala planetaria. indice
La FAO, la FDA statunitense e l'UE mettono alla base della loro legislazione sugli OMG in campo alimentare il cosiddetto "principio della sostanziale equivalenza". Esso afferma che la manipolazione genetica è sostanzialmente equivalente alla selezione dei caratteri tramite incrocio, e che pertanto gli OMG sono sostanzialmente equivalenti agli organismi naturali. Questo principio rappresenta naturalmente anzitutto una comoda scappatoia legale, che viene sfruttata, ad esempio, per rifiutare qualsiasi etichettatura che renda possibile ai commercianti o ai consumatori riconoscere e boicottare gli OMG; ma esso ha anche una ragion d'essere più profonda. Nel campo agroalimentare l'industria biotecnologica non è in grado di offrire prodotti nuovi: gli alimenti geneticamente modificati non promettono a chi li consuma niente di più dei loro corrispondenti tradizionali; è evidente che i loro promotori possono sperare di farli accettare soltanto affermando che, come minimo, essi non offrono niente di meno: tra il solito risotto e un risotto, indistinguibile da quello solito, che però fa venire il cancro, nessuno potrebbe certo avere dubbi.
E' perciò fondamentale puntualizzare fin dall'inizio che dal punto di vista scientifico il principio della "sostanziale equivalenza" è assolutamente insostenibile. Infatti, per potersi incrociare naturalmente, due organismi debbono appartenere alla stessa specie o a specie molto simili (anche nel caso di specie vicine come il cavallo e l'asino l'incrocio non riesce perfettamente, e dà luogo ad ibridi sterili). Al contrario, la manipolazione genetica permette di inserire in un organismo geni provenienti da qualsiasi altro organismo (animale, vegetale o umano). Inoltre, anche il rimescolamento di geni che avviene in natura non ha nulla a che vedere con quello prodotto dall'ingegneria genetica, in quanto:
1) l'inserimento del gene estraneo avviene in un punto a caso della catena del DNA, e modifica in maniera imprevedibile la sequenza
genica dell'organismo ospite. E' importante ricordare che questa sequenza non è casuale ma è regolata da leggi precise, ma ancora quasi del tutto ignote: l'ingegneria genetica procede per prove ed errori, destabilizzando in maniera imprevedibile l'ordine del genoma dei più vari organismi;
2) l'inserimento del gene ha effetti imprevedibili sull'azione dei geni vicini;
3) dal momento che il compito dei geni è produrre proteine, il nuovo gene inserito causerà la produzione di proteine estranee all'organismo che lo ospita, potrà inibire o alterare la produzione di proteine essenziali o modificarne la quantità.
Queste differenze, lungi dal rappresentare semplici "particolari tecnici", come il principio della sostanziale equivalenza vorrebbe far credere, possono avere conseguenze gravissime. Tutti e tre i fattori, sopra menzionati possono alterare infatti in maniera anche catastrofica il metabolismo cellulare e innescare la produzione di quantità imprevedibili di sostanze tossiche o allergeniche. Queste sostanze nocive possono comparire in organismi che si presentano come totalmente identici ad organismi naturali, con la sola eccezione della sostanza nociva. E' quindi evidente che il principio della "sostanziale equivalenza" è completamente fuorviante per una valutazione seria e responsabile dei rischi connessi agli OMG.
Esistono poi altri fondati motivi per ritenere che gli OMG, per la stessa tecnica con cui vengono prodotti, presentino rischi incalcolabili per la salute. La tecnologia dell'ingegneria genetica si basa infatti sull'uso di vettori costruiti artificialmente per permettere ai geni estranei di penetrare nelle cellule. Questi vettori non sono altro che mosaici di diversi parassiti genetici in grado di invadere le cellule di diverse specie, moltiplicarsi al loro interno o inserirsi nel genoma, superando i meccanismi di sicurezza cellulare che hanno il compito di rendere inattivo il DNA estraneo. Si tratta di meccanismi messi a punto con il preciso fine di permettere la trasmissione di geni tra specie diverse, e una volta che saranno stati immessi nell'ambiente la loro attività non potrà in alcun modo essere controllata o limitata. Come se non bastasse, parecchi di questi vettori derivano direttamente da virus patogeni. E' stato dimostrato che questo materiale genetico è instabile e può ricombinarsi con virus infettivi dando origine a nuovi virus pronti ad infettare piante, animali ed esseri umani causando malattie finora sconosciute.
Per verificare che l'inserzione dei geni estranei nell'organismo ospite abbia avuto successo viene spesso usata come contrassegno la resistenza agli antibiotici. Questo tratto non ha alcuna utilità effettiva per l'organismo geneticamente modificato, ma rappresenta unicamente una comoda cartina di tornasole per i ricercatori; tuttavia, invece di essere eliminata una volta completata la fase di ricerca, la resistenza agli antibiotici resta a far parte del patrimonio genetico della gran parte degli OMG. Dal momento che frammenti
di DNA possono sopravvivere al processo di digestione, nulla impedisce al gene della resistenza agli antibiotici di insediarsi in batteri presenti nel tratto digestivo umano. Il problema sanitario rappresentato della resistenza agli antibiotici è molto serio; già oggi decine di migliaia di persone muoiono ogni anno di infezioni che un tempo sarebbero state facilmente curabili con antibiotici. I geni per la resistenza agli antibiotici presenti negli OMG rischiano quindi di rendere inefficaci medicine fondamentali per la salute umana.
La maggior parte dei geni usati nell'ingegneria genetica provengono da specie che non hanno mai fatto parte dell'alimentazione umana; non c'è dunque modo di sapere come l'organismo umano reagirà alle proteine contenute in questi nuovi alimenti. E' importante tuttavia ricordare che ci sono volute centinaia di migliaia di anni perché la razza umana riuscisse ad adattarsi agli alimenti che consuma attualmente: basti pensare che anche un alimento naturale e nutriente come il latte di mucca risulta del tutto indigeribile per le
popolazioni, come ad esempio quelle dell'Estremo Oriente, che nella loro storia non ne hanno mai fatto uso. E' dunque molto probabile che l'introduzione nell'alimentazione umana degli OMG dia luogo a fenomeni allergici o tossici che interesseranno strati molto vasti delle popolazione e, conseguentemente, ad un'emergenza sanitaria di notevoli proporzioni. Ad esempio, la soia transgenica prodotta dalla ditta statunitense Pioneer Hi-Bred con l'aggiunta di un gene proveniente dalla noce brasiliana scatena reazioni tossiche nelle persone allergiche alla noce brasiliana, che sono circa il 5% della popolazione. Se, come le industrie biotecnologiche pretendono, gli OMG verranno commercializzati senza nessuna forma di etichettatura, le persone allergiche ad un determinato tipo di cibo (e sono sempre più numerose) non avranno alcuna possibilità di difendersi da un rischio a volte mortale. Il gesto rassicurante e quotidiano di fare la spesa diventerà una specie di passeggiata in un campo minato.
E' importante ricordare infine che nessuno degli OMG oggi disponibili sul mercato alimentare è stato mai sottoposto a test rigorosi; l'esperienza scientifica nel campo della tossicologia dimostra del resto che anche la sperimentazione più seria può non essere efficace nel rivelare la presenza di sostanze nocive che non ci si aspetta di trovare. Esiste perciò una probabilità che sostanze nocive siano presenti nei cibi geneticamente modificati all'insaputa sia dei produttori che dei consumatori. E' dunque completamente inaccettabile che alle industrie biotecnologiche venga permesso di sfruttare il principio della "sostanziale equivalenza" per rifiutarsi di contrassegnare in alcun modo i loro prodotti: solo etichette chiare e complete renderebbero possibile investigare la provenienza degli effetti nocivi non appena questi si presenteranno, e permetterebbero l'attribuzione di precise responsabilità legali ed economiche in caso di incidenti che potranno essere molto gravi. In assenza di queste misure cautelative l'unica alternativa ragionevole sembra essere l'immediata interruzione della produzione e ritiro dal mercato di questi prodotti, che rappresentano evidentemente un rischio incalcolabile per la salute dei consumatori. indice
4. RASSICURAZIONI ASTRATTE E RISCHI CONCRETI: DATI ED EVENTI CHE DOVREBBERO FAR RIFLETTERE
L'industria degli OMG si difende spesso affermando che nessun progresso è privo di rischi: in fondo, anche i moderni mezzi di trasporto portano con sé la possibilità di incidenti, ma nessuno sarebbe disposto a rinunciare per questo a treni, aerei e automobili. Ma fra i moderni mezzi di trasporto da un lato e le tecnologie dell'ingegneria genetica dall'altro esiste una differenza fondamentale che non è onesto cercare di nascondere: treni, aerei e automobili non sono costruiti in maniera tale che il loro uso prudente e corretto presenti rischi mortali; i pericoli dipendono dall'uso improprio che è possibile farne, non dalla loro struttura intrinseca. Come abbiamo visto sopra, è invece sinistramente probabile che le tecniche usate per l'ingegneria genetica rappresentino di per sé un potente incentivo alla formazione di nuovi virus capaci di superare la naturale barriera tra le specie.
Per comprendere meglio la natura e le proporzioni di questi rischi è poi opportuno ricordare che il DNA presente nell'intestino può trasformare i batteri che vi si trovano; questo vuol dire che caratteristiche come la resistenza agli antibiotici possono essere trasmesse dai cibi geneticamente modificati ai batteri patogeni presenti nell'intestino umano. Il DNA virale può inoltre sopravvivere alla digestione ed insediarsi nel sangue e in parecchi tipi di cellule dell'organismo. Persino il DNA nudo, cioè non protetto da un ambiente cellulare, può sopravvivere per lunghi periodi in qualsiasi ambiente e combinarsi con geni presenti in quell'ambiente. Questo significa che il DNA proveniente da organismi morti, dalle feci (eventualmente usate come concime) o da cellule morte può conservare la capacità di trasformare altri organismi. L'ampiezza delle possibilità di trasferimento dei geni è tale che qualunque gene immesso artificialmente in qualsiasi specie ha una certa probabilità di venir trasmesso a parecchie altre specie, sia di virus e di batteri che di organismi superiori; inoltre i batteri e i virus presenti in tutti gli ambienti agiscono di per sé come autostrada e serbatoio per i trasferimenti genici, e che a partire da loro nuovi geni possono diffondersi a tutte le specie. La prassi, comune nell'industria, di sintetizzare organismi transgenici contenenti sequenze geniche non caratterizzate o di cui non si conosce la funzione rappresenta poi un rischio veramente incalcolabile; questo rischio aumenta ulteriormente se gli OMG in questione vengono utilizzati per l'alimentazione umana.
E' inoltre opportuno ricordare che non solo il procedimento tecnico, ma anche l'uso dei prodotti dell'ingegneria genetica presenta rischi gravissimi per la salute umana. Prendiamo il caso delle piante resistenti agli erbicidi: il fine per cui sono state create è permettere agli agricoltori di usare liberamente quantità non importa quanto alte di erbicidi senza mettere a rischio i raccolti, ed è in effetti probabile che col tempo si rendano necessarie quantità sempre più ingenti di erbicida, dal momento che le piante esposte sufficientemente a lungo ad un dato erbicida tendono a sviluppare una resistenza. Purtroppo però gli erbicidi, oltre a uccidere le piante, sono anche tossici per l'uomo, e la resistenza all'erbicida delle piante non si trasmette ne' agli agricoltori ne' ai consumatori. Consideriamo ad esempio il caso del Challenge, prodotto dalla Hoechst, che è, insieme al Roundup della Monsanto, l'erbicida su cui la ricerca genetica si è massimamente concentrata, e da cui l'industria si attende i più alti profitti. Il principio attivo del Challenge è il glifosinato, un erbicida non selettivo, vale a dire una sostanza che uccide qualsiasi organismo vegetale con cui entra in contatto; purtroppo però il glifosinato non è soltanto un efficace erbicida ma ha effetti tossici sugli animali e sull'uomo, particolarmente sul sistema nervoso, e non è possibile escludere che residui di erbicida si trovino in piante destinate all'alimentazione umana. Per essere attendibili, le valutazioni di sicurezza sulle piante rese resistenti agli erbicidi dovrebbero tenere conto dei rischi connessi all'aumento delle dosi di erbicida, ma le industrie si rifiutano per principio di considerarli. La "rivoluzione" che gli OMG promettono in campo agricolo rischia dunque di dimostrarsi sinistramente simile a quella che 50 anni fa rese gli agricoltori entusiasti consumatori di DDT: più che a treni, aerei e automobili, i prodotti dell'ingegneria genetica dovrebbero essere paragonati ad armi mortali. indice
5. LA CHIMERA DEL "RISCHIO CALCOLATO"
E' evidente a questo punto che tutte le rassicurazioni delle industrie biotecnologiche sui rischi derivanti dagli OMG non hanno alcun fondamento: quello che viene presentato come un rischio calcolato è in realtà un rischio incalcolabile. Ma la difficoltà più grave nella valutazione dei rischi connessi agli OMG è la natura del tutto imprevedibile delle trasformazioni. L'industria preferisce passare del tutto sotto silenzio questo fatto, salvo poi invocarlo come scusa nel caso di gravi incidenti; è tuttavia fondamentale ricordare sempre che tutti i processi in cui è coinvolta la vita non si lasciano determinare al 100% secondo una logica di tipo industriale. Ad esempio, l'ereditarietà delle caratteristiche ottenute mediante l'ingegneria genetica non segue sempre le leggi note; questo significa che non è possibile prevedere come le piante transgeniche si comporteranno quando verranno coltivate su scala industriale. Anche in organismi provatamente stabili in laboratorio, condizioni ambientali come il caldo intenso o la siccità possono innescare trasformazioni impreviste. Un episodio recentemente verificatosi in Canada invita a riflettere. All'inizio di quest'anno 60 mila sacchi di sementi di canola, prodotti dalla Limagrain su licenza della Monsanto, sufficienti alla semina di 600 mila acri, hanno dovuto essere ritirati dopo essere stati venduti perché vi era stato scoperto un gene non previsto. Evidentemente tutti i controlli sulla qualità dei prodotti e sulla stabilità della composizione genetica attualmente possibili all'industria non sono sufficienti a garantire effettivamente i consumatori.
Questi rischi non sono soltanto teorici: gli OMG hanno già fatto le prime vittime. Nel 1992 migliaia di persone in tutto il mondo contrassero una misteriosa malattia battezzata "sindrome da mialgia eosinofila" (EMS), i cui sintomi erano insopportabili dolori muscolari, sfoghi cutanei e valori emocromatici anomali; 38 persone morirono e parecchie centinaia restarono invalide. La malattia era stata causata dall'ingestione di L-triptofano (un aminoacido usato come tranquillante) prodotto dalla ditta giapponese Showa Denko mediante un batterio geneticamente manipolato in modo da essere più efficiente rispetto ai batteri normali. indice
Alcuni portavoce dell'industria biotecnologica adottano una posizione diversa. Pur riconoscendo che gli OMG presentano dei rischi, sostengono che essi rappresentano una soluzione eccellente a problemi talmente gravi, come quello della fame nel mondo, che i vantaggi superano di gran lunga i pericoli. A questo proposito bisogna osservare innanzitutto che un confronto tra vantaggi e rischi presuppone la possibilità di una valutazione attendibile dei rischi, e che una tale valutazione è di per se stessa impossibile perché sono coinvolte troppe variabili incognite; il quadro d'insieme, comunque, è, come abbiamo visto, tutt'altro che rassicurante.
Anche le intenzioni altruistiche proclamate dalle industrie biotecnologiche suscitano del resto qualche perplessità. La maggior parte dei brevetti biotecnologici delle industrie agroalimentari riguardano infatti la durabilità dei cibi e la loro facilità di trasporto e di lavorazione; ad esempio, ritardando la maturazione o la putrefazione di frutta e verdura si riuscirà a trasportarla più facilmente o a tenerla sugli scaffali dei supermercati per periodi più lunghi. E' evidente che queste caratteristiche non fanno nulla per combattere la
fame nel mondo ma assicurano soltanto maggiori profitti nei paesi industrializzati.
Il reale atteggiamento dell'industria nei confronti delle popolazioni più povere risulta comunque evidente al di là di ogni ragionevole dubbio dall'ultima novità in fatto di prodotti vegetali. Secondo la legge, il detentore di un brevetto ha il diritto di esigere il pagamento di diritti sui semi di varietà vegetali brevettate, anche nel caso che quei semi provengano dal raccolto dell'anno precedente, nonché di proibire lo scambio di sementi tra piccoli coltivatori. Naturalmente, controllare l'applicazione effettiva di questa norma da parte di centinaia di milioni di piccoli coltivatori del Sud del mondo risulta assai complicato: come si fa ad essere sicuri che nessun contadino del Centrafrica o del Bangladesh conservi da qualche parte un sacchettino di sementi dell'anno prima, violando così i diritti economici delle multinazionali? Semplice: basta assicurarsi che le sementi diventino sterili alla seconda generazione manipolandole geneticamente. E, guarda caso, è proprio ciò che le industrie hanno fatto (brevetto USA N.5.723.765, concesso nel marzo 1998 a Delta Pine Land e all'US Department of Agricolture). Questo particolare tutt'altro che insignificante conferma una volta di più che i brevetti sulla vita, lungi dal rappresentare una legittima tutela delle innovazioni tecnologiche, offrono alle multinazionali lo strumento per estendere il loro monopolio planetario sul settore più vitale della produzione, quello del cibo, mettendo seriamente in pericolo la sopravvivenza delle popolazioni più povere.
Anche la qualità dei cibi proposti ai consumatori dei paesi industrializzati suscita tuttavia non poche inquietudini. Un esempio tipico dei nuovi prodotti su cui l'industria ha concentrato le sue ricerche e le sue speranze di profitto è il cosiddetto il pomodoro "flavr-savr" ("aroma-sapore"), prodotto dalla Calgene. Questo pomodoro è stato manipolato geneticamente in modo che le pareti delle sue cellule si decompongano più lentamente; tuttavia gli altri processi di invecchiamento cellulare, come la decomposizione delle vitamine A e C e delle altre sostanze nutritive, procedono alla velocità normale. Il risultato è un pomodoro che mantiene a lungo un aspetto fresco sugli scaffali dei supermercati ma il cui valore nutritivo è prossimo allo zero. Naturalmente, gli entusiasti acquirenti di questa novità alimentare non erano stati informati di questo, come neanche del fatto che nel pomodoro "flavr-savr" vengono usati come marcatori geni che causano la resistenza agli antibiotici, con tutti i rischi di cui abbiamo già parlato. Quando queste notizie hanno cominciato a diffondersi la popolarità del prodotto è molto diminuita, e la Calgene è venuta a trovarsi in condizioni finanziarie veramente critiche.
La qualità dei cibi provenienti da OMG ha cominciato a suscitare sospetti nelle autorità pubbliche di vari paesi; ad esempio, la Canadian Grain Commission sta sviluppando un sistema per identificare cereali e oleaginose geneticamente modificati per garantire i consumatori.
Ma in Europa, in nome della "sostanziale equivalenza", OMG e prodotti normali vengono mescolati appositamente per impedire che grossisti o consumatori possano esercitare una scelta informata.
Un'altra interessante conseguenza dell'applicazione del principio della "sostanziale equivalenza" in campo alimentare riguarda poi gli "scarti di lavorazione". A causa del gran numero di variabili sconosciute con cui si trova ad operare, l'ingegneria genetica è una tecnologia assai inefficiente e genera una quantità enorme di "errori", organismi malati o deformi che risultano da esperimenti sbagliati. L'industria biotecnologica si propone di risolvere il problema dello smaltimento di questi "scarti", nonché dei "resti di lavorazione", come ad esempio le carcasse dei maiali transgenici usati per i trapianti, utilizzandoli per l'alimentazione umana. Tra i prodotti che faranno presto la loro comparsa sulle nostre tavole vi sono zuppe e minestre già pronte confezionate con vegetali transgenici modificati per la produzione di sostanze chimiche per uso industriale e, soprattutto, carne proveniente da animali geneticamente modificati per la produzione di medicinali o di proteine umane (la pecora Tracy e le sue sorelline), nonché carne di maiali in cui sono stati impiantati geni umani per produrre organi da trapianto. Dove comincia il cannibalismo? Non saremo neppure liberi di porci questa domanda perché questi inquietanti prodotti invaderanno gli scaffali dei supermercati senza essere contrassegnati da alcuna speciale etichetta. indice
PARTE SECONDA: DIRITTI E DOVERI IN UNA SOCIETÀ CIVILE: LA QUESTIONE DEI BREVETTI
7. CHI TUTELA VERAMENTE LA DIRETTIVA?
Prima di entrare nel merito della discussione sulla direttiva, è importante osservare un fatto a prima vista alquanto strano: la gigantesca campagna di lobby al Parlamento europeo a favore della direttiva è stata condotta non da ditte europee ma da multinazionali svizzere o statunitensi. La ragione è semplice: prima che la direttiva venisse approvata la situazione della legislazione sui brevetti permetteva alle industrie biotecnologiche europee di brevettare materiale biologico negli USA, ma non prevedeva che le industrie di altri paesi possano fare lo stesso in Europa. Lo scopo della direttiva non è quindi quello di incentivare l'industria biotecnologica europea rendendola competitiva rispetto a quella straniera, ma quello di permettere alle compagnie straniere di esigere il pagamento di diritti altissimi dai laboratori e dagli ospedali europei per l'uso di materiale biologico brevettato. Nel considerare tutta la questione della direttiva non bisogna mai dimenticare un fatto fondamentale: i brevetti hanno una funzione esclusivamente economica: servono ad assicurarsi il monopolio su un mercato; in questo caso, il mercato è quello europeo. La direttiva non rappresenta dunque in alcun modo una salvaguardia della competitività dell'industria biotecnologica europea, ma, al contrario, ha consegnato l'Unione Europea nelle mani di gruppi industriali stranieri permettendo loro di imporre in Europa il proprio regime di monopolio brevettuale.
Appare poi particolarmente sospetto il fatto che le stesse industrie che si battono con tutte le loro forze a favore dei brevetti rifiutino poi violentemente, in base al principio della sostanziale equivalenza, l'etichettatura. Questo non è solo contraddittorio da un punto di vista logico (se gli OMG sono così simili ai prodotti naturali da non dover essere identificati da una specifica etichetta, dov'è la "novità sostanziale" che la legge esige come presupposto indispensabile alla concessione di un brevetto?), ma estremamente disonesto e pericoloso. Ciò che le industrie pretendono è avere diritto alla tutela economica concessa dal brevetto rendendo al tempo stesso impossibile accertare le loro responsabilità nel caso di incidenti di qualsiasi tipo; è importante notare che in tutti gli altri casi il brevetto (ad esempio di un macchinario o di un medicinale) implica invece non solo la tutela economica del possessore del brevetto ma anche la possibilità per i consumatori di rivalersi su di lui per eventuali danni causati dall'uso dell'invenzione brevettata. Non è difficile comprendere che in una simile situazione la responsabilità, anche economica, dei rischi e degli incidenti, dall'aumento di casi di allergie alle epidemie causate da nuovi virus, ricadrebbe per intero sullo Stato, secondo il principio, ormai molto popolare, "il privato guadagna, il pubblico paga". indice
8. LA SITUAZIONE DEGLI STATI UNITI: UN INVITO ALLA PRUDENZA
L'argomento principale dei sostenitori della direttiva è che si tratta di un necessario adeguamento alla prassi legale di paesi più progrediti. In effetti negli Stati Uniti è in vigore già da vari anni una legislazione brevettuale del tutto analoga. Può essere quindi interessante esaminare più da vicino la situazione statunitense, che dovrebbe rappresentare un modello abbastanza attendibile di ciò che non tarderà a verificarsi anche nell'Unione Europea.
Dopo una prima fase di euforia, in cui la brevettabilità era stata accolta come la soluzione lungamente attesa al vuoto legislativo creato dalle nuove scoperte e possibilità tecniche in campo genetico, parecchi degli scienziati più autorevoli e delle istituzioni scientifiche più prestigiose hanno radicalmente cambiato atteggiamento. Il National Institute of Health (NIH), l'equivalente statunitense del nostro Istituto Superiore di Sanità, in origine si era espresso a favore di una illimitata brevettabilità della materia vivente e, a partire dal 1991, aveva cominciato a richiedere brevetti su un numero impressionante di sequenze geniche (fino a 500.000 in una sola domanda). Dopo qualche anno, e un po' di esperienza, il NIH ha invertito la sua posizione: la direzione dell'istituto ha ufficialmente dichiarato (Nature vol.384, 12 Dec 1996 p.500) che il NIH non richiederà mai più brevetti su sequenze geniche e materiale cellulare e ha condannato pubblicamente la prassi di concedere brevetti su scoperte e conoscenze che rappresentano strumenti indispensabili per la ricerca; secondo il NIH i brevetti dovrebbero essere concessi solo per prodotti specifici ad uno stadio di sviluppo sufficientemente avanzato, e solo se è chiaro il loro utilizzo commerciale. A tutti gli effetti, il NIH auspica un ritorno alla situazione legislativa precedente (i singoli prodotti, vale a dire i farmaci, non sono mai stati esclusi dalla brevettazione), ma naturalmente, per quanto veementi possano essere le sue condanne, non è in suo potere fare alcunché per cambiare lo stato delle cose. Lo stesso Ufficio Brevetti degli Stati Uniti ha reagito al diluvio di richieste di brevetti su sequenze geniche, alcune delle quali, come si è detto, contenevano anche 500.000 geni, limitando drasticamente il numero massimo di geni che possono essere brevettati con un'unica richiesta; questo provvedimento, per quanto sintomatico di un profondo disagio, è evidentemente del tutto insufficiente a fermare l'avanzata dei monopolisti del genoma.
Anche The Institute for Genomic Research (TIGR), un tempo tra i più entusiasti fautori della brevettabilità, ha deciso di rinunciare alla possibilità di brevettare le proprie scoperte per pubblicarle su banche dati universalmente accessibili a partire dall'aprile 1997. La data non è stata scelta a caso: il 18 aprile 1997 è infatti scaduto il contratto che legava il TIGR alla ditta Human Genome Sciences, che era riuscita a procurarsi i diritti esclusivi sulle scoperte del TIGR. Le intenzioni della Human Genome Sciences divennero chiare nel 1993, quando la ditta vendette per 125 milioni di dollari i diritti universali ed esclusivi sui geni (cioè sulle scoperte del TIGR) alla compagnia Smithkline Beecham, dando così inizio ufficiale alla monopolizzazione del patrimonio genetico umano. Importanti istituzioni private come il Sanger Centre e il Wellcome Trust hanno anch'esse deciso di pubblicare le loro scoperte genetiche rinunciando alla protezione del brevetto; con questo si allineano alla posizione della Merck, un'importante ditta farmaceutica, che ha seguito questa prassi fin dal 1984.
Tra le ragioni che hanno ispirato questo impressionante cambiamento di posizione, le più importanti sono sicuramente scientifiche: come ha dichiarato la direzione del NIH, la brevettabilità degli strumenti di ricerca non incentiva ma ostacola la ricerca stessa e lo sviluppo di nuovi prodotti; qualsiasi ditta abbastanza grande da permettersi una strumentazione aggiornata può isolare quantità impressionanti di geni con procedimenti di routine e brevettarli in massa senza perdere tempo a scoprirne la funzione o a sperimentarne le applicazioni. Ma la normativa sui brevetti alla prova dei fatti si è rivelata oltremodo insoddisfacente anche sotto il profilo giuridico: negli Stati Uniti l'autorizzazione a brevettare materiale biologico ha infatti determinato l'insorgere di una selva di controversie legali che hanno avuto il solo risultato di distogliere fondi ed energie dalla ricerca scientifica; le industrie biotecnologiche sono costrette a riservare una parte esosamente alta dei loro introiti ad istruire azioni legali sui brevetti che detengono, o a difendersi da azioni legali intentate da altri. Come se questo non bastasse, sul campo dei brevetti sulla vita adesso si muovono dei veri e propri avvoltoi: si tratta di compagnie senza alcun interesse per la ricerca o per le applicazioni industriali la cui unica finalità è acquistare i diritti su brevetti ampi o ambigui al fine di poter fare causa ad altre industrie accusandole di infrazioni. Per capire come tutto questo sia possibile è opportuno esaminare più da vicino alcuni casi concreti di brevetti effettivamente concessi dall'EPO (European Patent Office), l'agenzia brevetti dell'Unione Europea.
9. GLI SCONCERTANTI BREVETTI DELL'EUROPEAN PATENT OFFICE
EP 301 749 il brevetto riguarda "un seme di soia che, coltivato, darà origine ad una pianta di soia il cui genoma comprende un gene estraneo che ha la capacità di causare l'espressione di un prodotto genico estraneo nelle cellule della pianta di soia."
Questo brevetto, ottenuto dalla ditta biotecnologica Agracetus, copre tutti i semi di soia transgenici, senza peraltro specificare in alcun modo le caratteristiche e i procedimenti specifici della loro produzione (quali geni vengono usati e dove vengono inseriti, a quali caratteristiche danno origine eccetera). Non sorprendentemente, parecchie altre ditte che stavano effettuando ricerche sulla soia transgenica hanno contestato quella che a tutti gli effetti è l'imposizione di un monopolio; tra coloro che hanno presentato opposizione al brevetto vi è stata la Monsanto, che poi però ha optato per un'altra strategia: ha comprato la Agracetus ottenendo così anche i diritti sul brevetto.
EP 546090 Il brevetto, concesso alla Monsanto, riguarda "una pianta resistente al glifosato [...] scelta nel gruppo composto da mais,
grano, riso, soia, cotone, barbabietola da zucchero, colza, canola, lino, girasole, patata, tabacco, alfalfa, pioppo, pino, melo e pompelmo", nonché "un metodo per il controllo selettivo delle erbacce in un campo [...] piantando i summenzionati semi o piante resistenti al glifosato [...] e applicando alle suddette piante e alle erbacce una quantità sufficiente di glifosato." Il brevetto concede dunque alla Monsanto il monopolio su tutte queste piante, una volta che siano state rese resistenti al glifosato (il principio attivo dell'erbicida Roundup, prodotto dalla Monsanto), prima ancora che la Monsanto abbia dimostrato di essere in grado di sviluppare in tutte queste diversissime specie vegetali la resistenza all'erbicida.
Il brevetto controlla inoltre tutti i discendenti delle piante per i successivi quindici anni (si tratta di una clausola presente in tutti i contratti di vendita riguardanti organismi geneticamente modificati; ad esempio, chi acquista una gallina geneticamente manipolata dalla Synergen è obbligato a pagare diritti su ogni pulcino che discenda da quella gallina per i successivi vent'anni). Gli agricoltori vengono informati che "conservare o vendere i semi perché vengano ripiantati rappresenta una violazione dei diritti brevettuali della Monsanto e sarà perseguito a norma di legge." Come se non bastasse, il brevetto copre anche il processo di semina e la somministrazione dell'erbicida; questo dà alla Monsanto il diritto di stabilire quando e a che condizioni gli agricoltori potranno piantare i semi acquistati e servirsi dell'erbicida. La Monsanto attraverso il brevetto acquisisce dunque il controllo sull'intero processo produttivo: gli agricoltori che piantano semi di piante resistenti al glifosato diventano praticamente dei dipendenti della Monsanto.
EP 240 208 il brevetto, concesso alla Calgene, riguarda "qualsiasi pianta contenente PG [...]. Questo comprende le angiosperme, sia monocotiledoni che dicotiledoni, e le gimnosperme. Tra le piante interessanti per la determinazione del PG vi sono: i cereali, come il grano, l'orzo, il mais ecc.; la frutta come le albicocche, le arance, i pompelmi, le mele, e pere, gli avocado, ecc.; le noci come [...] ecc.; le verdure come [...] ecc.; le specie legnose come il pioppo, il pino, la sequoia, il cedro, la quercia, ecc.; i fiori ornamentali; o altre specie vegetali utili come il tabacco, lo jojoba, la colza, la cufea, i semi di soia, il girasole, la barbabietola da zucchero, il cartamo, ecc."
Da questo lungo elenco non risulta molto chiaro che in realtà l'unica specie vegetale su cui la Calgene ha effettivamente eseguito esperimenti e sui cui è in grado di fornire dati è il pomodoro (il famoso pomodoro "flavr-savr"). La Calgene (e, cosa più preoccupante, l'EPO) non sembrano neppure essersi posti il problema di verificare che i metodi e i risultati dimostratisi validi per i pomodori valgano anche per la stupefacente varietà di altre piante menzionate nella richiesta di brevetto. E' interessante notare che il divieto assoluto di brevettare "varietà", esplicitamente ribadito anche dalla direttiva sui brevetti, viene eluso semplicemente con il riferimento diretto alle specie, o addirittura ad interi ordini del regno vegetale; naturalmente si tratta di uno spudorato affronto allo spirito della legge: è come eludere il divieto di brevettare i maiali brevettando i mammiferi, o addirittura tutti i vertebrati. L'opposizione delle altre industrie a questo "brevetto pigliatutto" si è alquanto smorzata dopo che la Calgene è stata acquistata dalla Monsanto. Quella delle organizzazioni non governative, ovviamente, resta in piedi.
Richiesta di brevetto WO/9604928 presentata dalla HGS/ Smith-Kline Beecham: recettore di peptidi collegato al gene della calcitonina. La richiesta fa riferimento ad un solo gene che ha una funzione in parecchi processi metabolici. La HGS/ Smith-Kline Beecham nella richiesta di brevetto afferma (senza presentare prove) che il gene ha a che fare con malattie assai disparate "cancro, artrite, dolori, diabete, emicrania, [...] obesità [...] malattie della crescita ossea"; la precisa funzione del gene in relazione a tutte queste patologie non viene né descritta né spiegata. La HGS/ Smith-Kline Beecham non menziona alcun uso pratico del gene e non presenta piani per lo sviluppo di prodotti curativi. Questo non impedisce alla ditta di reclamare diritti sul gene, su tutte le proteine che esso serve a produrre nonché su tutte le varianti di tali proteine, e ovviamente su tutte le loro potenzialità terapeutiche o diagnostiche. La stessa ditta ha già presentato, oltre a questa, più di cento richieste di brevetto formulate nello stesso modo.
Da questi esempi risulta chiaro che le industrie biotecnologiche brevettano sistematicamente qualsiasi scoperta genetica, anche se non hanno la più pallida idea delle sue potenzialità pratiche o applicazioni commerciali, e che i brevetti su prodotti effettivamente sviluppati (la soia resistente al Roundup, il pomodoro "flavr-savr") vengono estesi a piacere fino a coprire una varietà e quantità illimitata di organismi, senza che la ditta che richiede il brevetto abbia alcun obbligo di dimostrare la propria effettiva capacità di applicare il procedimento a questi nuovi prodotti. Lungi dal promuovere l'economia o dal tutelare la ricerca, questi "brevetti pigliatutto" hanno l'unico effetto (e l'evidente scopo) di istituire un regime di monopolio, in cui il primo a brevettare una sequenza genica o un procedimento biotecnologico può impedire a chiunque altro di farne uso in qualunque modo (anche se il nuovo uso non ha alcuna relazione con quello descritto nel brevetto), o esigere diritti illimitatamente alti per concederne l'utilizzo. E' evidente che un tale regime giuridico permette alle industrie sufficientemente grandi e potenti di liberarsi di qualunque forma di concorrenza, non già sviluppando prodotti nuovi e strategie di mercato effettivamente competitive, ma semplicemente spaventandola a morte con la prospettiva di lunghe e costose azioni legali. Non si può non chiedersi se una legislazione che ha l'effetto e lo scopo di permettere e retribuire simili comportamenti sia coerente con i principi del libero mercato che ispirano le società occidentali. indice
10. TRA UOMO E ANIMALE: L'ULTIMA NOVITÀ IN FATTO DI PRODOTTI BIOTECNOLOGICI
Un caso recentissimo getta una luce inquietante su un altro aspetto della questione dei brevetti. Stewart A. Newman, biologo del New York Medical College, ha presentato il 18 dicembre 1997 domanda per brevettare una creatura parzialmente umana (Nature 2 aprile 1998); diversi animali contenenti parti di genoma umano sono del resto già stati brevettati, e quindi non sussiste nessun ostacolo legale alla brevettazione e alla produzione di chimere uomo-animale. Quanto alla fattibilità pratica, il metodo proposto da Newman è lo stesso usato più di dieci anni fa per creare i "geeps", ibridi tra pecore e capre; vi è quindi ogni ragione di credere che l'esperimento avrebbe successo. Una situazione del genere potrebbe verificarsi anche in Europa: la direttiva infatti non proibisce la creazione di chimere e pone ostacoli all'uso di embrioni umani a scopo commerciale e industriale, ma non per fini scientifici; esclude la brevettazione di esseri umani interi ma non di parti, non importa quanto grandi e, soprattutto non del patrimonio genetico, che è brevettabile e
sfruttabile nella sua interezza. L'esperienza degli Stati Uniti rischia di avere davvero qualcosa da insegnarci, anche se non è esattamente quello che i sostenitori della direttiva vorrebbero: la storia dei brevetti sulla vita negli Stati Uniti è cominciata nel 1978, quando l'ufficio federale dei brevetti respinse la richiesta di un ricercatore di poter brevettare un batterio; nel 1980 la Corte Suprema sovvertì con cinque voti contro quattro la decisione dell'ufficio brevetti; da allora ogni forma di brevetto sulla vita è diventata legale. La sconvolgente richiesta presentata da Newman potrebbe avere l'effetto di spingere la Corte Suprema o il Congresso a ritornare sulla decisione del 1980, riportando la legislazione sui brevetti allo stato originario, come molti dei più prestigiosi istituti di ricerca, e lo stesso ufficio brevetti, raccomandano da tempo. indice
11. UN INCENTIVO ALLA RICERCA?
Al centro della campagna di lobbying condotta dall'industria biotecnologica sugli europarlamentari c'e' stato il richiamo "umanitario" alle sorti dei malati che attendono una cura, espresso nel fortunato slogan "Patients need patents" ("i malati hanno bisogno dei brevetti"). Come la maggior parte degli argomenti usati dall'industria biotecnologica per difendere i suoi interessi, anche questo non si limita ad essere errato ma dimostra anche un'evidente malafede. Ciò di cui i malati hanno veramente bisogno non sono brevetti ma cure efficaci; ma, nella forma prevista dalla direttiva, i brevetti coprono non le cure ma l'informazione genetica necessaria a svilupparle (secondo le normative esistenti tutti i medicinali sono già brevettabili). L'effetto della direttiva sarà dunque esattamente opposto allo spirito della legislazione sui brevetti: lungi dal tutelare i diritti economici di chi inventa qualcosa di utile alla società, essa verrà usata per impedire a chiunque non possegga il brevetto sui geni di una malattia di arrivare all'invenzione vera e propria, cioè di mettere a punto la cura.
Ancora una volta, non si tratta di previsioni pessimistiche ma di fatti già avvenuti. Ad esempio, l'industria farmaceutica Pharmacia & Upjohn ha abbandonato le ricerche su un medicinale per la cura dell'emofilia che si trovava già in uno stadio avanzato di sperimentazione clinica e garantiva ottimi risultati: l'unico motivo per cui la Pharmacia & Upjohn ha deciso di non metterlo sul mercato è stato il contrasto con un'altra ditta che detiene il brevetto sul fattore ricombinante alla base del prodotto, con cui non è stato possibile raggiungere un accordo sul pagamento dei diritti. Nel 1995 la ditta farmaceutica Boehringer, che possiede il brevetto di base sull'interferone, ha vinto un processo contro un'altra compagnia che aveva messo a punto un medicinale a base di interferone con un'indicazione completamente nuova (la cura dei reumatismi); la Boehringer ha affermato di non avere alcuna intenzione di sviluppare un farmaco a base di interferone per questa nuova applicazione ma di voler semplicemente impedire a chiunque di utilizzare il suo brevetto.
Anche la ricerca di base, senza nessuna immediata prospettiva di applicazione commerciale, viene soffocata dal clima di sospetto e segretezza creato dalla legislazione sui brevetti. Negli Stati Uniti i laboratori pubblici e universitari che ricevono sovvenzioni dalle industrie (e sono la maggior parte) vengono obbligati al segreto sulle loro ricerche. Ovviamente questo regime di segretezza impedisce agli scienziati di scambiarsi informazioni utili: ciascuna equipe non sa se qualcun altro sta lavorando allo stesso problema, quali difficoltà ha incontrato, quali risultati ha raggiunto. Gli stessi esperimenti vengono ripetuti una, due, cinque, dieci volte da altrettanti gruppi di ricercatori a cui viene impedito di comunicare tra loro, con enorme spreco di tempo e di danaro. Come se questo non bastasse, la maggior parte delle industrie, "per sicurezza", obbligano gli scienziati al segreto anche dopo che il brevetto è stato ottenuto, per un periodo di uno o due anni; un tempo intollerabilmente lungo per i ritmi velocissimi della ricerca scientifica! indice
12. L'IMPATTO DELLA DIRETTIVA SULLA SANITÀ
Se usciamo dai laboratori di ricerca per entrare negli ospedali, la situazione è ancora peggiore. Con l'approvazione della direttiva i geni che causano malattie gravi e diffuse, come ad esempio la fibrosi cistica e il diabete, sono diventati proprietà di singole industrie. Questo avrà conseguenze gravissime, sia per il futuro della ricerca medica, sia per i sistemi sanitari nazionali, sia per i singoli malati. Nessun ente di ricerca, pubblico o privato, potrà più effettuare ricerche su queste malattie senza pagare i diritti all'industria "proprietaria" dei geni, che potrà assicurarsi il monopolio sulla ricerca e sulla cura semplicemente fissando dei diritti assurdamente alti, bloccando così la ricerca medica su qualsiasi malattia. Per sottoporsi a qualunque test diagnostico in cui venga impiegato materiale coperto da brevetto i singoli malati dovranno corrispondere dei diritti all'industria; anche i procedimenti di cura saranno sottoposti a questa limitazione: è facile immaginare come questi costi aggiuntivi peseranno sul bilancio della sanità pubblica, ma è utile analizzare in dettaglio alcuni esempi.
Il Manchester Regional Genetics Centre ha ricevuto da una ditta biotecnologica canadese proprietaria del brevetto su un gene per la fibrosi cistica una fattura che richiede il pagamento di una licenza di cinquemila dollari più una tassa di quattro dollari per ciascun test sulla fibrosi cistica eseguito presso il centro; questa richiesta risulta troppo pesante per il bilancio del centro, che con ogni probabilità smetterà di eseguire il test.
Uno dei due geni per il cancro al seno, BRCA 1, è stato scoperto contemporaneamente da diversi gruppi di ricerca nel mondo; la corsa al brevetto è stata vinta da una compagnia privata americana, la Myriad Genetics. Con l'approvazione della direttiva la ditta potrà chiedere ai servizi sanitari nazionali dell'UE di essere pagata per ciascun test diagnostico eseguito. A titolo di comparazione si può ricordare che oggi il test di screening per entrambi i geni costa al NHS (il servizio sanitario nazionale britannico) 600 sterline (circa un
milione e mezzo di lire) e i test successivi 30-35 sterline (dalle settantacinque alle ottantacinquemila lire); negli USA la Myriad Genetics fa pagare il primo test 2400 dollari (circa quattro milioni e mezzo) e i test successivi circa 500 dollari (circa novecentomila lire). E' evidente che la Myriad Genetics non avrà motivo di non imporre gli stessi prezzi anche in Europa, ed è altrettanto evidente che i servizi sanitari nazionali dei paesi dell'Unione europea non potranno permettersi di affrontare le spese che ne risulteranno: i test saranno disponibili solo presso laboratori privati, e solo per coloro che potranno permettersi di pagarli; anche le assicurazioni mediche private dovranno aggiornare i loro tariffari. I test per la fibrosi cistica e per il cancro al seno sono solo due delle innumerevoli importanti possibilità di cura che a causa della direttiva sui brevetti rischiano di diventare economicamente inaccessibili all'immensa maggioranza della popolazione.
13. LIBERO MERCATO O MONOPOLIO: L'ECONOMIA OCCIDENTALE A UNA SVOLTA
Nel 1993 nei laboratori dell'università di Harvard, con finanziamenti dell'industria farmaceutica Dupont, venne ottenuto tramite ingegneria genetica un topo che aveva il 100% di probabilità di ammalarsi di cancro, e che avrebbe dovuto rappresentare il modello sperimentale ideale per la ricerca. Ovviamente, l'animale fu immediatamente brevettato.
A tutt'oggi, dopo cinque anni dalla brevettazione dell'oncotopo, la Dupont non ha realizzato alcun profitto economico grazie alla sua "invenzione"; nessun laboratorio di ricerca al mondo, pubblico o privato, è stato infatti disposto a pagare le somme esorbitanti che la ditta richiedeva per concedere l'uso dell'animale, né ovviamente ad impegnarsi a corrispondere alla Dupont dei diritti sui i risultati delle proprie ricerche eseguite per mezzo dell'oncotopo, come stabilito dalla legislazione sui brevetti.
E' interessante osservare che il comportamento della Dupont dal punto di vista puramente economico sembrerebbe non avere senso: in un regime di libero mercato, se non si riesce a vendere un prodotto ad un certo prezzo, si abbassa il prezzo finché la richiesta e l'offerta non trovano un punto di incontro; riducendo le proprie esose pretese, la Dupont avrebbe certamente trovato compratori. La gestione economicamente poco avveduta della vicenda dell'oncotopo si spiega solo considerando che il brevetto sostituisce al libero mercato il monopolio: il detentore del brevetto può gestire l'uso del materiale brevettato come meglio gli pare, impedendo l'accesso a chiunque (anche allo Stato, anche per soli scopi di verifica o di ricerca) e imponendo il pagamento di diritti non importa quanto alti non solo sulla sua invenzione ma anche su tutti gli sviluppi che ne derivano. La Dupont non si trovava nella situazione migliore per sfruttare questi privilegi: è perfettamente possibile fare ottima ricerca sul cancro senza servirsi dell'oncotopo. Purtroppo però parecchie
"invenzioni biotecnologiche" brevettate non sono altrettanto prescindibili: ora che i brevetti sui geni delle più varie malattie hanno acquistato validità in Europa, i sistemi sanitari dei paesi europei non avranno altra scelta che pagare i diritti che i detentori dei brevetti esigeranno su ogni singolo test effettuato (nonché su eventuali test nuovi e migliori messi a punto, anche in laboratori di ricerca pubblici, usando il "loro" gene) oppure smettere di effettuare i test perché troppo costosi. Nel primo caso i costi dell'assistenza sanitaria pubblica, che già sono motivo di preoccupazione in tutti i paesi industrializzati, leviteranno al di là del tollerabile; nel secondo la medicina si troverà a rinunciare, per motivi esclusivamente economici, a strumenti diagnostici decisivi, tornando indietro di parecchi anni.
Nella stessa prospettiva è interessante notare che il brevetto della Agracetus (ora acquistata dalla Monsanto) che copre tutte le possibili varietà di cotone geneticamente modificato fissa la quota di licenza che altre industrie debbono versare a un milione di dollari. Un tale prezzo non rappresenta un ostacolo per le grandi industrie ma ha l'effetto di escludere dalla competizione tutte quelle medio-piccole. Lo scopo a lungo termine che le industrie biotecnologiche si prefiggono è evidentemente la creazione di un regime di oligopolio in cui pochissime grandi multinazionali controllano i settori chiave della produzione, quello alimentare e quello biomedico, con tutti i pericoli per il libero mercato e la salvaguardia dei consumatori che una situazione del genere inevitabilmente comporta. indice
14. INVESTIMENTI PUBBLICI, PROFITTI PRIVATI: UN PO' DI CONTI SULLA DIRETTIVA
Le industrie biotecnologiche che hanno sostenuto la direttiva sui brevetti affermano che la tutela economica delle scoperte genetiche è necessaria a ripagarle dei loro enormi investimenti a fondo perduto sulla ricerca. Per valutare correttamente questo argomento è fondamentale ricordare un fatto importantissimo, che nel dibattito sulla direttiva è stato sistematicamente passato sotto silenzio: gli enormi progressi compiuti nella ricerca biomedica negli ultimi decenni non sono stati il risultato di investimenti privati né del lavoro di ditte private. Sono avvenuti in istituzioni pubbliche, come gli ospedali e le università, grazie ad investimenti pubblici di proporzioni notevolissime; anche le industrie private che hanno effettuato ricerche in questi campi, giustamente considerati di pubblico interesse, sono state costantemente e abbondantemente rifornite di denaro pubblico. Con l'affermazione del principio della brevettabilità delle scoperte biotecnologiche, gli stati e i contribuenti si troveranno a dover pagare una seconda volta, corrispondendo diritti brevettuali alle industrie, qualcosa che hanno già pagato nel corso di decenni attraverso gli investimenti pubblici nella ricerca.
Oltre che del denaro dei contribuenti, l'industria biotecnologica ha poi potuto approfittare anche dell'altruismo e della disponibilità di innumerevoli persone, sane o malate. I geni che causano malattie, come ad esempio quello per il cancro al seno ereditario, possono essere isolati solo con la collaborazione di migliaia di famiglie di malati, che vengono coinvolte in programmi di ricerca su scala mondiale della durata di parecchi anni, naturalmente finanziati in larghissima parte con denaro pubblico. E' lecito dubitare che tutte queste persone sarebbero state altrettanto disposte a sottoporsi a visite e prelievi se fossero state informate che le conoscenze acquisite attraverso di loro sarebbero diventate monopolio esclusivo di un'industria che si proponeva di sfruttarle a fini commerciali. indice
15. MATERIA INANIMATA E MATERIA VIVENTE: UN EQUIVOCO PERICOLOSO
A questo punto è indispensabile una precisazione. La stessa esistenza di un dibattito sulla brevettabilità dei geni induce a immaginare i geni in maniera meccanica, come qualcosa di simile a un'automobile o a un computer. Questa logica fuorviante è stata duramente stigmatizzata dal rapporto della Commissione d'indagine sulle biotecnologie del Parlamento Italiano, che ha messo in questione proprio "il postulato di fondo posto a base della legislazione internazionale sulla materia vivente, e cioè l'assimilazione della stessa a cose inanimate. Non è pensabile che l'unico modo per proteggere la proprietà intellettuale nel campo biotecnologico sia quella di annullare la specificità della materia vivente per assimilarla a cose inanimate". (Atti parlamentari p.247, Camera dei Deputati, XIII Commissione Agricoltura).
Infatti i geni, come tutte le realtà biologiche, non possono essere concepiti come entità strutturali discrete; ad esempio, non sempre occupano la stessa posizione nei cromosomi e non si presentano necessariamente come sequenze continue. Inoltre il funzionamento di ciascun gene dipende da quello di uno o più altri geni che lo regolano, ed è spesso collegato a quello di altri geni. Soprattutto, geni che hanno la stessa funzione non presentano necessariamente la stessa struttura e geni che presentano la stessa struttura non hanno sempre la stessa funzione. Ad esempio, il gene di una certa proteina, l'isomerasi, si ritrova identico nei batteri, nei lieviti, negli insetti e nei mammiferi; ciononostante la proteina svolge funzioni diversissime nei diversi organismi. Le proprietà di ciascun gene non sono dunque una conseguenza meccanicamente prevedibile della sua struttura, ma dipendono da un complesso di fattori cromosomici, cellulari, fisiologici ed evolutivi. Queste conoscenze scientifiche di base hanno importanti conseguenze per la questione della brevettabilità. Uno dei requisiti preliminari per la richiesta di un brevetto è infatti la capacità di descrivere esaurientemente l'oggetto della richiesta; per quanto possa essere facile soddisfare questo requisito per un macchinario, per un gene esso presenta difficoltà difficilmente sormontabili. A titolo puramente esemplificativo possiamo ricordare che il cosiddetto gene CTFR, le cui mutazioni possono portare alla fibrosi cistica, ha più di quattrocento varianti finora note, e di queste solo pochissime causano la forma più grave della malattia. Come abbiamo visto, le industrie biotecnologiche, con la complicità degli uffici brevetti di vari paesi, hanno completamente eluso questo problema richiedendo (e ottenendo) brevetti formulati in maniera estremamente vaga e generica, ma, com'era facilmente prevedibile, questa anomalia giuridica ha avuto l'effetto immediato di innescare una serie di aspre controversie legali di cui non si riesce a prevedere la fine Bisogna inoltre considerare che il più importante requisito per la produzione industriale e la commercializzazione di qualsiasi merce è la standardizzazione; se l'industria automobilistica non potesse garantire che tutte le auto di uno stesso modello fossero identiche, se ogni copia di un quotidiano fosse lievemente diversa dalle altre, il mercato di questi beni entrerebbe in crisi. Ma questo è esattamente quello che accade con gli organismi transgenici: spesso le piante sembrano riconoscere in qualche modo i geni estranei e riescono ad inibirne l'azione; a volte questo fenomeno si verifica subito, a volte nelle generazioni successive, a volte sembra essere influenzato da fattori ambientali e climatici come la temperatura, la composizione del suolo, o persino l'età delle piante genitrici, tutte variabili che non vengono considerate negli esperimenti di laboratorio: così ad esempio può accadere che piante perfettamente in grado di resistere agli erbicidi nell'ambiente protetto di una serra soccombano rovinosamente se sottoposte all'azione degli stessi erbicidi in un campo aperto. In parecchi stati degli USA le piante di cotone resistente al Roundup della Monsanto non hanno portato raccolto perché hanno perso le infiorescenze prima della maturazione; nessun inconveniente di questo tipo si era mai verificato durante la fase di sperimentazione. In Gran Bretagna le patate rese velenose per i parassiti hanno ucciso anche gli insetti utili che dei parassiti si cibano. Anche l'immissione nell'ambiente della klebisiella planticola, un batterio geneticamente modificato in grado di produrre alcool dai rifiuti vegetali, ha avuto conseguenze catastrofiche: quando i residui di produzione, contenenti batteri vivi, uscirono dai laboratori per essere usati come concime, essi produssero effetti devastanti, sterminando tutte le piante di frumento che avrebbero dovuto concimare; anche l'ecosistema del suolo venne modificato, con la proliferazione esplosiva di un verme nocivo, la filaria. Nessuno sa perché si verifichino questi ed altri misteriosi fenomeni; ma è evidente che la logica industriale, evolutasi per risolvere problemi legati al funzionamento di macchinari, è del tutto inadeguata ad affrontare la complessità degli organismi viventi, e che la pretesa di applicare al mondo vivente lo strumento del brevetto, nato da quella stessa logica industriale, tradisce una completa incomprensione, o una colossale malafede. indice
16. XENOTRAPIANTI: "L'ULTIMA FRONTIERA"
La logica industriale non è all'opera soltanto nella questione dei brevetti ma pervade tutto l'approccio alla questione degli OMG.
Parecchie ricerche di ingegneria genetica riguardano la creazione di ibridi uomo-animale da usare per ricavarne "pezzi di ricambio" per i trapianti. Ma questa prospettiva, che spesso i mezzi di comunicazione di massa presentano trionfalisticamente come l'ultima frontiera della chirurgia sperimentale, non può non suscitare profonde riserve. Dal virus Ebola che sconvolse lo Zaire nel 1995 alla BSE, la cosiddetta "sindrome della mucca pazza", al virus dell'AIDS, probabilmente evolutosi da un virus delle scimmie, la maggior parte degli agenti patogeni più perniciosi per la salute umana comparsi negli ultimi anni sono virus che hanno oltrepassato la barriera naturale tra le specie. Come abbiamo visto, le tecniche dell'ingegneria genetica facilitano enormemente questo mortale passaggio; la pratica chirurgica dello xenotrapianto (trapianto di organi animali nell'uomo), trasportando i virus presenti nell'animale donatore nell'uomo che riceve l'organo, non farebbe che offrire ai virus nuovi e vecchi un campo libero in cui espandersi a volontà, coadiuvati dalla terapia immunodepressiva che accompagna inevitabilmente ogni intervento di questo tipo. E' bene ricordare che i virus hanno effetti diversi su diverse specie animali; spesso ad esempio una specie che ospita un virus da molto tempo ha sviluppato una resistenza naturale alla sua azione patogena. Soprattutto, non esistono test che permettano di individuare virus ancora sconosciuti; l'unico modo di sapere con certezza se un organo proveniente da un animale apparentemente sano ospita virus mortali per l'uomo è eseguire un trapianto e stare a vedere. Come ha affermato Jonathan Allen, membro della commissione FDA che aveva il compito di discutere i rischi collegati allo xenotrapianto: "Raramente, o forse mai, la razza umana ha avuto le conoscenze sufficienti a scongiurare una futura epidemia. Ciò che manca è la saggezza di agire secondo quelle conoscenze."
Inoltre, dopo qualsiasi trapianto le cellule del donatore si spargono tramite la circolazione sanguigna per tutto il corpo del ricevente e si insediano e si moltiplicano in tutti gli organi, ad eccezione del cervello; gli xenotrapianti non possono dunque avere successo se non dando origine ad esseri umani il cui corpo è composto da una percentuale sempre crescente di cellule animali, quelle che Thomas Starzl, il principale campione di questa tecnica, definisce "chimere post-trapianto". Gli effetti biologici a lungo termine di questo
fenomeno non sono noti perché nessun paziente sottoposto a xenotrapianto è mai sopravvissuto più di 70 giorni, ma la prospettiva è molto inquietante.
Non si può fare a meno a questo punto di chiedersi quali vantaggi gli organi animali, sia pure transgenici, offrano rispetto a quelli umani, che non presentano nessuno dei rischi che abbiamo discusso. Dal punto di vista dei pazienti, evidentemente nessuno. Purtroppo però il punto di vista dei pazienti generalmente non è quello che conta di più nell'industria biomedica. Anche nel caso degli xenotrapianti, le ragioni che spingono gli addetti ai lavori a sostenere una soluzione così evidentemente macchinosa e pericolosa sono in gran parte economiche. Come tutti sanno, il commercio di organi da trapianto è illegale in tutto il mondo; questa norma viene di fatto talvolta trasgredita, ma è impensabile che una grande industria biotecnologica pensi di costruire una parte consistente dei propri profitti sul business degli organi da trapianto umani. Fortunatamente gli organi da trapianto animali non sono sottoposti a simili restrizioni: sono considerati semplici frattaglie, e possono essere comprati e venduti liberamente. Il prezzo di un normale fegato di maiale, però, quali che siano gli esami clinici a cui l'animale è stato sottoposto prima della macellazione, non può ragionevolmente superare una certa cifra: il commercio sarebbe sì legale, ma garantirebbe introiti assai limitati. Per risolvere questo problema, più che medico finanziario, l'industria biotecnologica ha inventato i maiali transgenici; il "valore aggiunto" dei geni umani impiantati nell'animale e, soprattutto, il monopolio garantito dal brevetto, permetterebbero di esigere prezzi da capogiro: un rapporto della multinazionale Sandoz prevede un utile annuo di oltre 5 miliardi di dollari per 50.000 maiali già a partire dal 2010. indice
Queste osservazioni ci spingono a considerare più da vicino il lato economico della questione. Le industrie biotecnologiche affermano che l'ingegneria genetica è un campo in vertiginosa ascesa da cui l'economia mondiale potrà attendersi enormi benefici in termini di profitti e di posti di lavoro. E' bene inserire a questo punto una considerazione marginale: il solo fatto che un'attività sia economicamente assai redditizia non è comunemente ritenuto una ragione sufficiente per renderla legale: l'industria degli stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, il commercio di organi a scopo di trapianto sono solo alcuni esempi di attività indubbiamente redditizie che la legislazione di tutti i paesi civili non si astiene dal perseguire. Ma un esame più approfondito delle affermazioni trionfalistiche dell'industria rende addirittura superfluo ricorrere a queste astratte considerazioni morali.
Cominciamo col considerare la situazione che i sostenitori della direttiva prendono a modello, quella degli Stati Uniti. Negli USA vi sono circa 1300 aziende che lavorano nel campo dell'ingegneria genetica; il loro punto forte è la medicina: l'agricoltura copre meno del 10% del totale. Di queste circa 1300 aziende solo 35 (cioè il 3%) sono in attivo, mentre le altre, vale a dire il 97% del totale delle aziende, sono in perdita. Le industrie biotecnologiche hanno bisogno di enormi quantità di capitale a rischio; nel 1996 queste 1300 industrie hanno accumulato perdite per circa 4.6 miliardi di dollari: fino a questo momento l'industria americana delle biotecnologie si è dunque rivelata un'immensa macchina mangiasoldi. Nel 1996 circa 115.000 persone erano impiegate nell'industria delle biotecnologie; in rapporto al totale di circa 125 milioni di posti di lavoro negli USA, si tratta circa dello 0,1%: meno di un posto di lavoro su mille ha a che fare con l'ingegneria genetica. Ma al tempo stesso quest'industria assorbe quantità immense di denaro pubblico: nel 1987 2,7 miliardi di dollari, nel 1993 più di 4 miliardi di dollari, e nel 1994 4,3 miliardi di dollari; tuttavia il danaro pubblico non rappresenta la sua unica fonte di finanziamento: negli anni '80 le industrie biotecnologiche hanno infatti cominciato ad attrarre quantità enormi di cosiddetti "capitali d'avventura", investimenti ad alto rischio compiuti nell'attesa di favolosi guadagni a lungo termine. Sfortunatamente ora il "lungo termine" è scaduto, e gli investitori attendono impazienti profitti che le imprese sono ben lontane dal poter garantire. Le speranze di sopravvivenza economica dell'industria biotecnologica sono ormai legate a due strategie: l'immediata commercializzazione dei prodotti esistenti al loro attuale stadio di sviluppo, perché ogni prolungamento del periodo di ricerca allontana la prospettiva di profitti e rappresenta di per se' un costo aggiuntivo, e l'approvazione di una legislazione sui brevetti che garantisca introiti alti e costanti.
Sfortunatamente entrambe queste strategie, per quanto adatte a garantire la sopravvivenza dell'industria, rappresentano una catastrofe per la società civile. La commercializzazione precoce e avventata di prodotti non adeguatamente sperimentati creerà, come abbiamo visto, emergenze sanitarie che lo stato dovrà affrontare da solo, perché l'assenza di etichettatura renderà impossibile l'attribuzione di responsabilità legali alle aziende produttrici di OMG. La direttiva sui brevetti avrà l'effetto di costringere la sanità pubblica al pagamento di diritti esosi, con la conseguenza di un vertiginoso aumento dei costi dell'assistenza medica in tutti i paesi industrializzati. indice
Per quanto gli argomenti di ordine medico ed economico siano sicuramente più rilevanti, forse non è superfluo spendere qualche parola su un altro aspetto non marginale della questione: quello legale. Da questo punto di vista la direttiva sui brevetti rappresenta una vera e propria aberrazione. Infatti sia il GATT-TRIPS sia la EPC (European Patent Convention) che gli accordi NAFTA tra gli Stati Uniti, il Messico e il Canada escludono esplicitamente dalla brevettabilità le scoperte scientifiche, le tecniche terapeutiche e diagnostiche, gli animali e le piante, i processi biologici, nonché le invenzioni contrarie alla morale o che presentano rischi ecologici. La direttiva è dunque in palese conflitto con tutte queste normative, nonché con la Convenzione sulla Biodiversità. Inoltre l'approvazione della direttiva permetterà a pochissimi grandi gruppi industriali, con il pretesto di modifiche apportate al loro patrimonio genetico, di assicurarsi i diritti sulla maggior parte delle piante alimentari, creando una pericolosissima situazione di monopolio evidentemente in contrasto con qualsiasi normativa anti-trust.
E' perfettamente possibile mettere a punto strumenti giuridici che garantiscano, nella giusta misura, la salvaguardia dei diritti di proprietà intellettuale in campo biotecnologico e tutelino anche economicamente il lavoro effettivamente compiuto in campi considerati di pubblico interesse. Ma la definizione di questi strumenti non può essere lasciata all'arbitrio e all'avidità di pochi; essi devono essere il risultato di un dibattito che coinvolga tutta la società civile, nel rispetto di considerazioni scientifiche, etiche, economiche, sociali e giuridiche; devono salvaguardare il principio della libera concorrenza; devono implicare un equilibrio tra diritti e doveri. A tutti gli effetti, il dibattito sulla tutela giuridica delle invenzioni biotecnologiche deve ancora cominciare; l'approvazione della direttiva non ha fatto che ritardare l'inizio di un processo di crescita e di definizione che interessa tutta la società. indice
19. ALTRUISMO E CALCOLO NELLA QUESTIONE DELLA DIRETTIVA
A dispetto di tutti gli equilibrismi retorici con cui hanno cercato di far credere il contrario, la campagna delle industrie biotecnologiche a favore della direttiva sui brevetti non è ispirata da motivazioni altruistiche. Lo scopo che si propongono non è incoraggiare la ricerca scientifica o favorire il progresso medico, combattere la fame nel mondo o scongiurare il pericolo di carestie: è semplicemente stabilire diritti di illimitato sfruttamento monopolistico sulle basi stesse della vita, da cui dipende il soddisfacimento dei due bisogni fondamentali dell'uomo, il cibo e la salute.
Nessuno pretende che le industrie ignorino le leggi del mercato o rinuncino ai loro profitti. Ma le priorità dell'industria non possono essere l'unico criterio che determina i valori di una società civile, e che ne influenza l'espressione attraverso le leggi.
L'approvazione della direttiva sulle biotecnologie porterebbe immensi vantaggi economici a pochissime multinazionali, ma danneggerebbe irreparabilmente la società italiana ed europea, distruggendo le basi del progresso scientifico in un campo vitale come quello biomedico, e mettendo in crisi il sistema sanitario pubblico. La scelta è posta in termini molto semplici: tra la tutela degli interessi economici di poche industrie o della vita e la salute di decine di milioni di cittadini, il parlamento europeo si è schierato decisamente dalla parte delle industrie. indice
A questo punto dovrebbe essere chiaro che i motivi che spingono le industrie a caldeggiare l'introduzione immediata degli OMG sul mercato e la loro incondizionata copertura brevettuale non sono ne' altruistici ne' accettabili. Gli OMG, allo stato attuale del loro sviluppo, non sono uno strumento del bene pubblico, ma solo dell'avidità privata. La questione è stata esaminata, con lo stesso esito, sotto tutti i profili: scientifico, economico, medico, giuridico, politico. Resta da considerare un solo aspetto, quello che fa degli OMG la più
grave minaccia alla sopravvivenza non solo della specie umana ma di tutto il pianeta come oggi lo conosciamo, l'aspetto che può legittimamente essere definito apocalittico.
Ormai le società industrializzate si sono abituate a convivere con i disastri ecologici. Ogni tanto una petroliera affonda riversando in mare quantità immense di sostanze inquinanti; ogni tanto una centrale nucleare esplode, contaminando tutto ciò che è vivo per un periodo imprevedibilmente lungo. Ma il mondo va avanti: è il prezzo da pagare per il progresso.
Gli ottimisti (o, più precisamente, i responsabili delle pubbliche relazioni delle industrie biotecnologiche) vorrebbero credere (o almeno far credere) che il caso degli OMG sia analogo. "Il rischio zero non esiste", come ha affermato in un sorprendente accesso di onestà il presidente della Novartis; ma i danni saranno certo limitati e circoscritti.
Purtroppo non è così. Se le industrie biotecnologiche riusciranno a realizzare i loro piani, la disseminazione degli OMG interesserà tutto il pianeta. Non si tratterà, come nel caso dei disastri petroliferi o nucleari, di pochi focolai di rischio isolati nello spazio e nel tempo, ma di un unico grande esperimento senza ritorno su scala planetaria. Piante coltivate in campi vicini si ibridano facilmente; è quindi impossibile essere certi che il patrimonio genetico degli OMG non si diffonda ben al di là delle nostre intenzioni a gran parte della popolazione vegetale: già oggi sappiamo con certezza che i geni delle piante modificate possono superare barriere di spazio e di specie trasmettendosi ad altri organismi nel raggio di due-tre chilometri; del resto, anche la composizione stessa del terreno e la popolazione di batteri in presenza di piante transgeniche cambiano in maniera imprevedibile, non sappiamo se irreversibilmente. Anche l'uso di piante ed animali destinati all'alimentazione umana per la produzione di sostanze chimiche ad uso farmaceutico ed industriale rappresenta una seria minaccia alla salute: i geni che determinano la produzione di sostanze non alimentari potranno facilmente diffondersi ad atri organismi portando alla contaminazione delle risorse alimentari su vasta scala per un periodo imprevedibilmente lungo.
Questi rischi riguardano anche la fase di sperimentazione. Le misure di sicurezza non sono infatti sempre sufficienti ad impedire la diffusione nell'ambiente di materiale organico pericoloso: recentemente in Australia colonie di un virus patogeno contro i conigli allevate in un laboratorio situato su un'isola si sono diffuse sul continente per un raggio di 400 chilometri; nel tentativo di arginarne la diffusione è stato necessario avvelenare tutti i conigli, ma ancora nulla si sa sulle possibilità di mutazione del virus, che potrebbero renderlo letale per l'uomo. A questo si aggiunge il fatto che anche troppo spesso le misure di sicurezza non vengono neppure rispettate: il New Scientist del 4 aprile 1988 ha pubblicato un elenco di industrie biotecnologiche che hanno infranto consapevolmente le regole di sicurezza durante la fase di sperimentazione in Gran Bretagna; malgrado la lista comprenda nomi come Monsanto, AgrEvo e persino l'Istituto Nazionale britannico di botanica agricola, si tratta verosimilmente soltanto della punta dell'iceberg: le ispezioni diventano sempre più difficili man mano che gli esperimenti si moltiplicano, e il rischi di infrazioni non documentate, anche gravi, cresce continuamente.
Gran parte dei progressi nel campo della salute nel nostro secolo sono stati dovuti all'igienizzazione dei processi di produzione e confezionamento dei prodotti alimentari, che precedentemente erano micidiali veicoli di trasmissione di agenti patogeni (basti ricordare la pastorizzazione, che ha eliminato il rischio di mortali malattie infettive collegato fin dai tempi più remoti al consumo del latte).
Questi progressi rischiano ora di essere vanificati: i cibi geneticamente modificati rappresentano infatti efficacissimi vettori per innumerevoli virus superinfettivi, già predisposti per oltrepassare la naturale barriera tra le specie. Ancora una volta, si tratta non di un rischio isolato e circoscritto, ma di un pericolo reale che interessa tutta la popolazione mondiale.
Dalle manipolazioni genetiche non si torna indietro. Una volta che gli OMG saranno stati immessi nell'ambiente non sarà più possibile "ripulire" il pianeta come dopo un disastro petrolifero: i nuovi organismi si riprodurranno e si ibrideranno senza alcuna possibilità di controllo. Le scelte che compiamo oggi rischiano di cambiare per sempre la vita sulla terra, distruggendo un equilibrio che ha cominciato a formarsi con l'inizio dell'evoluzione. Per quel che ne sappiamo, il nostro è l'unico pianeta dove esiste la vita. Vale davvero la pena di mettere a repentaglio i risultati di un processo unico e irripetibile che è durato tre miliardi di anni per fare un favore a poche ditte che hanno problemi a far quadrare il bilancio?
Malgrado l'ottimismo che ostentano, le industrie biotecnologiche sono perfettamente consapevoli dell'aspetto apocalittico della questione. L'autorevole quotidiano britannico conservatore The Guardian (mercoledì 6 agosto 1997 p.9 Home News) ha recentemente pubblicato un documento riservato diretto alla EuropaBios, che rappresenta gli interessi delle industrie biotecnologiche, dall'agenzia di pubbliche relazioni Burson Marsteller, che in passato ha curato gli interessi della Babcock e Wilcox all'epoca dell'incidente nucleare di Three Mile Island del 1979 e della Union Carbide in occasione del disastro del Bhopal, in cui persero la vita circa 15.000 persone.
L'agenzia di consulenza consiglia caldamente alle industrie biotecnologiche di "tacere sui rischi legati agli OMG" in quanto "non possono sperare di vincere la discussione sulla questione dei rischi". L'atteggiamento ottimistico e fiducioso delle industrie non deriva dunque da una convinzione sincera, per quanto errata o superficiale, ma soltanto da calcolo e da malafede.
Le tecniche dell'ingegneria genetica non sono state ancora adeguatamente sperimentate e sono state commercializzate prematuramente contro il parere della grande maggioranza degli scienziati e dei consumatori. La malafede dell'industria biotecnologica è dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio dal suo atteggiamento nella questione delle etichette: se le ditte sono così sicure del consenso dei consumatori,
perché si rifiutano di identificare i prodotti transgenici? Evidentemente sanno che nessuno accetterà i rischi connessi al consumo dei loro prodotti, a meno di non venire privato di ogni libertà di scelta. Non si può fare a meno di chiedersi a questo punto se il compito dei governi democratici dei paesi industrializzati, tra cui l'Italia, sia veramente quello di privare i cittadini della libertà di scelta in una questione così importante, o non piuttosto quello di salvaguardare questa libertà con tutto il potere che deriva loro da un'autorità fondata proprio sulla libera scelta dei loro elettori. indice