Antipsichiatria on-line. Auto/tutela. Resoconti
Anche questa volta la psichiatria ha dovuto mollare la sua preda Mercoledì 16 giugno gli psichiatri dell’ospedale di Circolo di Varese sono stati costretti ad aprire le porte del reparto psichiatrico e far uscire N., una ragazza di 18 anni. Litigare pesantemente con i genitori e subire un Trattamento Sanitario Obbligatorio, scappare di casa e arrangiarsi con le proprie forze per otto mesi, tornare e sperare di trovare affetto e comprensione, litigare ancora, uscire e incontrare in strada, per caso, un medico amico di famiglia che, "per il tuo bene", ti convince a ricoverarti in psichiatria, poi cambiare idea e voler andare via immediatamente. "Cose da pazzi!". Tanto è bastato ai genitori per prospettare a N. una vita di psicofarmaci e gabbie dorate (i soldi, grazie a Dio, non mancano), ad alcuni amici di famiglia per diventare conniventi accettando come "il minore dei mali" la violenza dell’internamento e delle cure psichiatriche, ai medici per sentirsi autorizzati ad ignorare la volontà di N. e a noi per sentirci coinvolti e volerla libera. Vivere per otto mesi solo con l’arte dell’arrangiarsi porta ad allacciare rapporti, conoscere gente, farsi degli amici, non essere sola e persa, come tutti attorno a lei vorrebbero, nei meandri opprimenti di un reparto psichiatrico e dei suoi amministratori, vuol dire avere un numero di telefono in tasca a cui rivolgersi in caso di necessità; così N. telefona ad Anna, una donna che l’ha ospitata per un mese e le chiede aiuto, vuole uscire. Che una persona rifiuti l’internamento in psichiatria è cosa sensata, che voglia evadere da camicie di forza chimiche e preferire il calore del sole sulla pelle al gelo di un neon è puramente questione di sopravvivenza…mobilitarsi, per noi, un’inderogabile necessità. Anna contatta Carmen e Riccardo del Gruppo di iniziativa non psichiatrica di Tradate. Venerdì 11 giugno Carmen e Riccardo vanno a trovare N. in orario di visita e parlano con lei. N. è pesantemente sedata, non si regge in piedi e gli occhi faticano a restare aperti, ripete che vuole andarsene, è un suo diritto, dovrebbe essere scontato, ma la madre, lì presente, si allarma e chiama gli "esperti": ben cinque psichiatri fanno sapere ai due che se la malattia è la troppa voglia di libertà, la cura per N. si chiama T.S.O. e la loro Scienza non si discute! Non possiamo lasciare un essere umano indifeso e impaurito in mano agli aguzzini. Lunedì 14 giugno torniamo da N., siamo in cinque…"troppi" e per nulla compiacenti con gli psichiatri, questo è intollerabile per chi vuole lavorare discretamente sul "materiale umano", e allora nella profilassi per la paziente, oltre alle dosi massicce di Serenase (basta la parola) e di Aldol, aggiungono l’isolamento, le visite vengono bruscamente interdette e gli indesiderati buttati fuori. Se gli specialisti non hanno dubbi, la famiglia, il prete di sua fiducia e la suora compassionevole sentono l’impellente bisogno di esporci le loro ragioni, di trovare le loro giustificazioni, di rassicurarci sul loro affetto per la ragazza, neanche una parola, una riflessione sui desideri e sui bisogni di N.; eppure ci vorrebbe così poco, basterebbe fermarsi un momento per capire verso quale baratro disumano stia finendo, anche con la loro complicità, chi faticosamente sta cercando il suo percorso. La situazione si fa difficile, diventa indispensabile agire, sfruttare i pochi varchi che la diffusione capillare e invasiva della psichiatria lascia. Mercoledì 16 giugno siamo in quindici davanti al vetro che ci separa da N., che non consente quella fisicità così importante nei rapporti umani; ci siamo noi del Gruppo di iniziativa non psichiatrica, Giorgio e Mansueto del telefono viola di Milano, Anna (disponibile a ospitare N.) e il suo amico Fabio, e gli amici di N. (Dimitri, Davide e Francesca). Il personale entra subito in fibrillazione, gli psichiatri invitano ad un colloquio alcuni di noi nel tentativo di ammorbidirci, cercano di coinvolgerci e di renderci partecipi delle loro pratiche (ovviamente sempre per il bene di chi le subisce), mentre gli infermieri decantano, agli altri che aspettano fuori, la loro ottima preparazione professionale acquisita nei corsi di aggiornamento organizzati da chi gli psicofarmaci produce e vende…sicuramente una garanzia! Le cose vanno per le lunghe, vogliono incrinare la nostra determinazione, mettono a dura prova la nostra pazienza, ma piano piano arretrano: la Direzione Sanitaria ci fa sapere che il diritto alle visite non è mai stato revocato: il regolamento interno non lo permette (di fatto, però, permette una scrematura dei visitatori, dal momento che nei giorni precedenti alcuni di noi sono stati respinti e lasciati fuori dalle porte a vetri rigorosamente chiuse, mentre parenti ed amici di famiglia selezionati hanno trovato una gentile accoglienza). A questo punto chiediamo che N. possa esprimere, davanti a noi e senza pressione alcuna, il suo volere e che questo, qualunque esso sia, venga rispettato da tutti; prendono ancora tempo, si sprecano ancora parole, è incredibile ma per questi normalizzatori della mente umana sembra solo una questione di prestigio personale a cui non sono minimamente disposti a rinunciare. Decidiamo, quindi, di chiamare la polizia interna dell’ospedale per denunciare il sequestro di N. da parte degli psichiatri. Finalmente arrivano i nostri, ma il loro atteggiamento servile nei confronti dei dottori, com’era prevedibile, li porta a ravvisare una manifestazione non autorizzata e un probabile problema di ordine pubblico; dopo aver loro ricordato che siamo stati noi a chiamarli per denunciare un sequestro di persona, i solerti agenti chiedono conferma agli psichiatri se la ragazza sia veramente in ricovero volontario e, di fronte alla loro risposta affermativa, consigliano, per non avere problemi, di farle un T.S.O. e a noi, eventualmente, di chiamare il centotredici, e poi se ne vanno. Ormai sono passate quattro ore e ai professoroni, rimasti senza argomenti plausibili e nell’impossibilità legale di tramutare il ricovero volontario in T.S.O., non resta che chiedere a N., in nostra presenza, qual’è il suo volere; la sua risposta è: "voglio uscire subito!". E’ la loro capitolazione. Dopo un paio di firme N. è finalmente libera di correre abbracciata ai suoi amici nel parco dell’ospedale e di scegliere dove andare. La lotta contro la psichiatria è lotta per la riappropriazione del senso della nostra vita e dei nostri desideri. La scelta non è tra psichiatria e antipsichiatria, tra terapie dolci e terapie da shock, tra psicofarmaci e psicoterapie, ma tra sopravvivenza e un’esistenza pienamente vissuta, tra coercizione e libertà, tra omologazione dei comportamenti e molteplicità dei modi possibili di sentire, vedere, comunicare. Nessuno libera nessuno, ci si libera insieme.
GRUPPO DI INIZIATIVA NON PSICHIATRICA-TRADATE (VA) tel. e fax 0331/811662 – Email: kinesis@ecn.org |