OMICIDIO DEL CARDINALE MESSICANO POSADAS OCAMPO:
C'ERA ANCHE IL CAPO DELLA POLIZIA
28369. GUADALAJARA-ADISTA. È un pozzo senza fondo la polemica sull'omicidio dell'arcivescovo di Guadalajara, il card. Juan Jesus Posadas Ocampo, avvenuto nel maggio del '93 all'aeroporto di Guadalajara (dove si era recato per ricevere il nunzio apostolico Girolamo Prigione) durante uno scontro tra bande rivali di narcotrafficanti. Una polemica che, da quell'ormai lontano 24 maggio, divide sostenitori e critici della tesi dello scambio di persona sostenuta dal governo, secondo cui il cardinale sarebbe stato assassinato perché si trovava a bordo di un'auto uguale a quella di un boss del narcotraffico nel mirino di una banda avversaria. Tra i più critici riguardo alla versione governativa vi è il successore di Posadas Ocampo, l'attuale arcivescovo di Guadalajara, card. Juan Sandoval Iniguez, il quale ha sempre dichiarato di credere alla tesi di un attentato diretto proprio contro Posadas per le continue denunce avanzate dal cardinale contro i trafficanti di droga e contro la generalizzata corruzione indotta da questi ultimi.
Un personaggio scomodo, il card. Iniguez. Al punto che, come scrive il giornalista Andrea Tornielli sul mensile «30 Giorni», sei mesi fa, secondo quanto confermato alla rivista cattolica da «autorevoli fonti della Segreteria di Stato», «l'ambasciatore del Messico presso la Santa Sede ha chiesto al Vaticano di "promuoverlo" alla guida di un dicastero trasferendolo a Roma. Un modo elegante per togliere il cardinale da Guadalajara facendo così cessare di fatto le iniziative per far luce sull'omicidio del suo predecessore».
Intervistato dallo stesso Andrea Tornielli sul numero di novembre di «30 Giorni», Iniguez ha confermato le clamorose novità emerse sull'omicidio, soprattutto in relazione alla presenza all'aeroporto, il 24 maggio, del direttore generale della polizia giudiziaria del Messico, Rodolfo León Aragón, detto "el chino", che, secondo le nuove testimonianze raccolte, avrebbe diretto le operazioni con una ricetrasmittente. Il nome di colui che nel '93 aveva il comando di tutta la polizia giudiziaria del Paese era stato tirato in ballo già dal narcotrafficante Joaquín Guzmán Loera, noto come "el chapo", catturato due settimane dopo la sparatoria, secondo il quale Aragón (che, dice Loera, era nel suo libro paga) era presente all'aeroporto il giorno dell'omicidio del cardinale.
Ma ora le dichiarazioni del narcotrafficante coincidono, afferma Sandoval nell'intervista rilasciata a «30 giorni», con le nuove testimonianze emerse, alcune delle quali rese di fronte ai giudici e attualmente custodite in Vaticano e a Washington. «Posso confermarlo - dice Sandoval -. I testimoni oculari, che per ora devono rimanere anonimi, anche se non sono anonimi per me, hanno parlato della presenza massiccia della polizia all'aeroporto di Guadalajara fin dalle dieci del mattino di quel 24 maggio 1993. Hanno fatto anche quel nome, lo stesso di cui ha parlato il "chapo" Guzmán nelle sue dichiarazioni». Otto testimoni, precisa il cardinale, i cui racconti concordano tutti «nell'affermare che l'agguato era preparato e aveva come unico obiettivo il cardinale Posadas».
Le nuove testimonianze raccolte permettono anche di spiegare la genesi di quella tesi dell'errore di persona diventata da subito tesi governativa. E possibile infatti, secondo «30 Giorni», che gli esecutori materiali dell'omicidio fossero all'oscuro riguardo alla reale identità della persona che andavano ad uccidere. I mandanti avrebbero fatto credere loro che si trattava non del cardinale ma di un capo narcotrafficante, per evitare che si ripetesse quanto accaduto con il primo killer assoldato, Javier Llama, detto "el pollo", il quale, scrive «30 Giorni», «non appena appreso che l'obiettivo dell'operazione era l'arcivescovo di Guadalajara, si sarebbe rifiutato di agire e sarebbe scappato con i soldi» (sarebbe poi stato raggiunto ed ucciso). In Messico, dove la fede cattolica è ancora tanto forte, nessuno, neppure il killer più feroce, ucciderebbe a cuor leggero, commenta Tornielli, un vescovo della Chiesa cattolica.
SULL'ASSASSINIO DI POSADAS OCAMPO,
IL CARD. SANDOVAL INIGUEZ SMENTISCE «30 GIORNI».
LA RIVISTA REPLICA: ABBIAMO LA REGISTRAZIONE
28370. GUADALAJARA-ADISTA. Le dichiarazioni rilasciate al mensile «30 Giorni» dal card. Sandoval Iniguez sul coinvolgimento dell'ex direttore generale della polizia giudiziaria, Rodolfo León Aragón, nell'omicidio di Posadas Ocampo (v. notizia precedente) hanno avuto vasta e immediata ripercussione in Messico. Finché non è arrivata la smentita dell'arcivescovo di Guadalajara, che ha prontamente sconfessato le dichiarazioni attribuitegli dal mensile italiano. «Non ho mai detto questo alla rivista», ha dichiarato Iniguez, secondo il quotidiano «La Jornada», ai giornalisti che lo incalzavano, aggiungendo: «Per caso non conoscete questa pubblicazione? è una rivista che manca di credibilità».
La smentita del cardinale ha oltremodo sorpreso l'autore dell'intervista, Andrea Tornielli, che, contattato da Adista, ha dichiarato di disporre della registrazione delle parole di Iniguez, precisando inoltre, a proposito della mancanza di credibilità della rivista, di aver intervistato l'arcivescovo di Guadalajara altre quattro volte. Strano comportamento, dunque, quello di chi accetta di parlare per ben cinque volte con un giornale considerato inaffidabile.
Sulle dichiarazioni rilasciate da Iniguez a «30 Giorni» è intervenuto anche Rodolfo León Aragón, detto "el chino", definendo «totalmente falsa» l'accusa che gli viene rivolta. «Quel 24 maggio del 1993 - ha dichiarato a «La Jornada» - ho partecipato a un pranzo a cui mi ha invitato l'allora procuratore Jorge Carpizo McGregor (a quel tempo il superiore di León Aragón e uno dei primi sostenitori della tesi dello scambio di persona, ndr). Non so chi mi vuole nuocere. È incredibile pensare che potessi trovarmi in due luoghi nello stesso tempo». León Aragón, oggi in pensione, fu incaricato da Jorge Carpizo di coordinare le prime indagini sull'omicidio di Posadas Ocampo, ma appena tre mesi dopo lasciò l'incarico di capo della polizia per assumere quello di legale aggiunto all'ambasciata messicana in Guatemala.
Su una cosa "el chino" si rifiuta di rispondere, nell'intervista concessa a «La Jornada», ed è il ruolo che gioca, nella polemica intorno al caso Posadas, il nunzio apostolico Girolamo Prigione, che ha sempre sostenuto la tesi governativa e che almeno in un'occasione ha ricevuto nella nunziatura i fratelli narcotrafficanti Arellano Felix, senza denunciarli alle autorità competenti (proprio al cartello degli Arellano Felix apparteneva quel Joaquín Guzmán Loera, detto "el chapo", che secondo la tesi ufficiale avrebbe dovuto morire al posto del cardinale e che arrestato poco dopo la sparatoria ha fatto il nome di León Aragón, aggiungendo che questi era sul suo libro paga e a conoscenza di tutti i suoi spostamenti; che, infine, la scorsa settimana ha ricevuto una condanna, definita «sorprendentemente bassa» da «La Jornada», di 6 anni di reclusione).
Intanto, è arrivata, inattesa, la rimozione del procuratore generale della Repubblica Antonio Lozano Gracia, sostituito da Jorge Madrazo Cuéllar, già responsabile della Commissione nazionale dei diritti umani, a cui il presidente messicano Zedillo ha ricordato, tra l'altro, il compito di intensificare le indagini sui crimini che hanno riguardato figure di spicco della vita pubblica del Paese. Una rimozione, quella di Lozano Gracia, motivata, secondo la maggioranza dei deputati, dalla sua inettitudine ed incapacità di far luce sui crimini politici commessi negli ultimi anni. Da parte sua, il portavoce dell'arcivescovado di Guadalajara, Antonio Gutiérrez, ha auspicato che il nuovo procuratore decida di riaprire il caso Posadas, come richiesto non solo dalla Chiesa cattolica, ma da tutto il popolo messicano.
Articolo tratto dal periodico di informazione cattolico ADISTA, via Acciaioli 7, 00186 Roma
(numero 87 pagine 8 e 9)