INTERVISTA A ASLAN DEDIA
MINATORE
ALBANESE DI TREPCA IN KOSOVA, NEGLI ANNI 80 DELEGATO SINDACALE
11 agosto 1999
Parlaci delle lotte del sindacato dei minatori contro la politica del governo di Belgrado.
Dal 1980, dopo la morte di Tito, si è capito cosa stava per essere preparato contro il popolo albanese e che tutti i diritti garantiti dalla Costituzione del 1974 sarebbero stati negati. Noi, i minatori di Trepca, lo abbiamo capito e abbiamo scoperto, tramite lettere, che Milosevic aveva incontrato Rahman Morina, anche se non abbiamo saputo dove.
Così ci siamo uniti in protesta, chiedendo spiegazioni alle autorità della Federazione Jugoslava, della Serbia e del Kosova. Sapevamo che se fosse stata modificata la Costituzione del 1974 sarebbe stata la nostra rovina. Non ci hanno dato alcuna risposta; abbiamo continuato la protesta, abbiamo marciato fino a Prishtine con i vestiti di lavoro, volendo dimostrare al nostro popolo, ma anche a tutti i popoli dei Balcani, che noi rivendichiamo i nostri diritti, al pari di tutti gli altri popoli. Purtroppo non è servito a niente, ci hanno chiamati controrivoluzionari, ci hanno accusato di volere distruggere lo stato jugoslavo; siamo così arrivati allo sciopero della fame a Trepca.
Un piccolo gruppo di minatori, notando che sulla superficie della terra non abbiamo nessun diritto e non ne possiamo chiedere a nessun governo, disse di di rinchiudersi in miniera, e così facemmo, per rivendicare i nostri diritti; non saremmo usciti neanche con interventi internazionali. Abbiamo stabilito nove condizioni. Siamo stati sotto terra otto giorni e otto notti; sono venuti a visitarci leader del Kosova e altri in modo non ufficiale. Ci hanno promesso di accogliere le nostre richieste; dopo avere rifiutato di uscire per tre volte, abbiamo visto delle carte firmate e timbrate che accettavano le nostre rivendicazioni. Subito dopo sono cominciati i massacri, gli arresti, e per sei mesi quasi 600.000 persone sono passate per la Polizia Statale, interrogati e maltrattati.
Quali erano le vostre richieste?
Quelle che difendevano la Costituzione del 1974, che non doveva essere cambiata. Volevamo l'indipendenza del Kosova, io, come iniziatore dello sciopero, so che i miei amici lo volevano. Ma non era ufficiale. In seguito è diventata una richiesta ufficiale, ma non durante lo sciopero.
Come avete fatto a tirare avanti dopo i licenziamenti di massa del 1990?
Dopo lo sciopero, non solo ho perso il lavoro, ma la polizia non mi ha neanche permesso di lavorare da privato. Quindi, invece di guadagnare, dovevo sbarazzarmi dall'attenzione della polizia da solo, altrimenti ci maltrattavano, ci sottoponevano a torture e ti chiedevano di diventare loro spia.
Ajdin Tahiri, spinto dalla polizia, mi ha proposto di diventare capo-miniera se fossi diventato loro informatore; io mi opposi e dissi che preferivo un lavoro onesto piuttosto che accettare.
Ho lavorato come privato in Croazia, Slovenia, Montenegro per sopravvivere. Tanti sono andati all'estero anche dopo avere lavorato nelle miniere per 20-30 anni perché hanno avuto problemi per avere la pensione. Per esempio io sono rimasto senza pensione per otto anni. In questi anni non solo noi, ma tutta la classe lavoratrice kosovara, ha vissuto un periodo molto difficile.
Quali sono state le vostre azioni politiche negli anni '90?
Abbiamo sempre cercato di tornare a lavorare, ma non ci hanno ascoltato. Abbiamo chiesto di tornare ai nostri posti di lavoro, non solo noi come albanesi ma tutti i minatori e i lavoratori in generale. Volevano cacciare via tutti gli albanesi dal Kosova e lasciarlo in mano ai serbi. Per dieci anni abbiamo cercato di fare capire al mondo la nostra causa, ma nessuno ci ha mai capiti o appoggiati. Dal '68 abbiamo cercato di fare capire al mondo che eravamo un popolo sottomesso che cerca i suoi diritti, e adesso per noi è troppo tardi, dopo essere stati sotto la dittatura comunista per 50 anni e dopo avere vissuto i maltrattamenti, i massacri. Io ho lavorato in miniera per 30 anni per dare una casa ai miei figli. Ora ci hanno ucciso anche i nostri figli, per esempio il figlio di mio fratello, di 17 anni, ucciso solo perché albanese, e hanno bruciato le nostre case.
Che rapporti avevate con i vostri colleghi di lavoro serbi?
Se noi eravamo dieci albanesi e tra di noi c'era un solo serbo, tutti si parlava in serbo, per farci capire anche da lui; quindi abbiamo dato precedenza allo straniero e non a noi stessi. Eravamo in rapporti amichevoli con i serbi, cercavamo di non farli sentire una minoranza tra di noi. Purtroppo, questo comportamento non è servito a niente.